In questi giorni di
inizio 2014 le “Luci sismiche” (Earthquake Lights) hanno
avuto nuovamente risalto nell'ambito della divulgazione scientifica
grazie a un articolo di “Robert Thériault (et Al.) del “Ministry
of Natural Resources” di Quebec City, in Canada.
L'articolo di Thériault,
R., St-Laurent, F., Freund, F. T. & Derr, J. S., è uscito sulla
rivista Seismological Research Letters nel numero di
gennaio/febbraio 2014
Oltre a riprendere una
catalogazione dei supposti fenomeni luminosi legati al sisma tratta
di una teoria, non nuova che continua a farsi strada grazie a un
gruppo di studiosi di tutto il mondo, ovvero la possibilità che le
luci sismiche abbiano origine da uno stress sotterraneo delle rocce ,
che genera cariche elettriche, che risalgono lungo le faglie
verticali. L'iterazione con l'atmosfera genererebbe diversi tipi di
luminosità, concomitanti con il terremoto.
Tra questi ricercatori
impegnati nello studio dei precursori sismici c'è anche l'italiano
Cristiano Fidani, citato nell'articolo, che a partire dal terremoto
dell'Aquila, e in particolare dal 2010, ha trattato in diversi articoli la serie di
testimonianze che ha personalmente raccolto in seguito ai disastrosi
fatti (vedi ad es. in nota all'articolo (alla URL sopra indicata).
John Ebel, geofisico in
Massachusetts, intervistato dalla giornalista scientifica Alexandra
Witze di Nature afferma, per quanto riguarda le luci sismiche,
che: “Non è propriamente un'area regolare di inchiesta
scientifica, perché non c'è modo di mettere in atto un esperimento
su di loro”.
Ora, questa affermazione
è molto curiosa perché spesso è la stessa argomentazione messa in
atto per gli Ufo. Quegli “stessi” Ufo che per Thériault (et
Al.) sono spesso erroneamente richiamati dai testimoni che
casualmente osservano “luci sismiche”.
Vero che basarsi sulla
semplice testimonianza è solo la fase prescientifica e non
sufficiente dello studio di un possibile fenomeno sconosciuto, ma non
si capisce perché le “luci sismiche” non sarebbero
sperimentabili, dato che esistono ormai molti articoli su esperimenti
di laboratorio, e nulla esclude (salvo le difficoltà implicite di
ogni ricerca) che si possano usare strumenti di misurazione, per
catturare il fenomeno e dimostrarne l'esistenza.
Evidentemente lo studio
delle “luci sismiche” varca una zona non scritta tra ciò che
consideriamo scienza e ciò che invece gli studiosi rimuovono
nell'ambito della parascienza.
Eppure se la critica alle
luci sismiche sembra nuova la catalogazione di Thériault et Al.,
non è una concezione per nulla nuova, studiosi del passato per
quanto minoritari prima di loro avevano operato catalogazioni del
genere, basti pensare ad Ignazio Galli, già più di 100 anni fa.
Dei 65 terremoti studiati
(nelle Americhe e in Europa) l'articolo di Thériault (et Al.) rileva
che ben 63, la quasi totalità, hanno presentato testimonianze di
fenomeni luminosi che sembrano associati alla presenza di faglie
verticali (o ad elevato angolo, nel testo richiamate come una steep
geometry).
Uno degli autori, Friedemann Freund, fisico dei
minerali alla NASA Ames Research Center in Moffett Field,
California, sospetta che tutto il fenomeno abbia inizio in alcuni
difetti della roccia, dove atomi di ossigeno in una struttura chimica
minerale liberano elettroni. Quando aumenta lo stress nella roccia
durante la fase preparatoria del terremoto, questo rompe i legami di
perossido e
libera le P-hole
(lacune positive), che
fluiscono verso l'alto attraverso la faglia fino alla superficie.
Quando ci sono delle asperità sulla superficie, li si concentrano le
cariche generando dei campi elettrici locali intensi, e questo genera
le luci.
In tal senso il catalogo realizzato dal team
americano è una strada per suggerire vie di studio per monitorare le
faglie attive e considerarne le modificazioni in atto.
Ebel ribatte alla giornalista, circa quanto afferma
Freund che: “Ciò è sensato, ma non significa che sia corretto”.
Mi pare solamente l'ennesima affermazione
e-semplificativa del termine di “ipotesi” (in scienza sono
“sensate”anche se non ancora provate in modo robusto).
Nuovamente ci ritroviamo di fronte a uno dei tanti
geofisici per niente interessato a volersi confondere con la ricerca
di confine.
[Nico Conti, CIPH]