Il sociologo Pierre
Lagrange, nel suo ultimo articolo per la rivista Politix, solleva un
problema di metodo per l'antropologia di oggi che solo a parole
sembra sostenere una parità tra le diverse culture e credenze, e che
almeno nelle intenzioni di metodo aveva deciso di superare i concetti
della prima nascente antropologia “occidentale” quando guardava
ancora alle culture altre con la stimma di culture selvagge e
primitive.
Nelle università il buon
professore di scienze sociali spiega ai suoi studenti che non sono lì
per giudicare, ma solo per comprendere e descrivere.
Ma nel concreto delle
pratiche degli antropologi esiste veramente questo modo asettico di
procedere nella ricerca?
Pierre Lagrange in
“Pourquoi les croyances n'interessent-elles les anthropologues
qu'au delà de deux cents kilomètres?”,
afferma che questo non è vero quando l'antropologo si trova faccia a
faccia con una credenza vicina al proprio contesto sociale.
Gli
antropologi sembrano privilegiare gli studi di credenze lontane nello
spazio e nel tempo (che si tratti degli amerindi o dei fantasmi dei
morti nel medioevo.
Al
contempo, gli stessi studiosi saranno portati ad evitare di studiare
i discorsi messi in atto nelle pratiche scientifiche, per timore di
essere accusati di relativismo.
Il
rifiuto di studiare le credenze vicine (o l'incapacità di
farlo) emana probabilmente da
questa necessità di doversi schierare in favore della scienza.
Sembra
quindi a Lagrange, che ne porta diversi esempi concreti, che mentre
l'antropologo affronta con serietà una credenza lontana, non è
nella possibilità di applicare lo stesso metodo quando la credenza è
a lui vicina.
E,
anche quando certi lavori
recenti hanno applicato lo stesso metodo di analisi sia per le
credenze che per le scienze, lo hanno fatto evitando di mettere
troppo rilievo sulle scienze.
A
causa di questa perdita di
neutralità assiologica
l'antropologo può arrivare ad
accusare un suo collega di essere un “ufologo” (ce lo dice in
nota Lagrange stesso) semplicemente
perché quest'ultimo
pretenderà di trattare
certe materie considerate parascientifiche (e quindi di fatto non
attendibili come i discorsi
sugli Ufo) e peggio quando
con lo stesso metodo vorrà affrontare (da
antropologo)
il discorso degli scienziati.
La
conseguenza è che sono
soprattutto le pratiche
scientifiche a restare
un buco nero ( “une tache aveugle”,
secondo la definizione di
Lagrange) soprattutto per
l'antropologia francese.
Lagrange
Pierre, “Pourquoi les croyances n'interessent-elles les
anthropologues qu'au delà de deux cents kilomètres?”,
riv. Politix (De Broeck
Supèrieur), vol. 15, n. 100, 4/2012, pp.201-202
Disponibile
alla URL:http://www.cairn.info/publications-de-Lagrange-Pierre--495.htm
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