mercoledì 29 febbraio 2012

I GIORNALI FRANCESI RIPARLANO DEL GEIPAN

Visto da lontano, da noi cugini d’Oltralpe, il GEIPAN del suo nuovo direttore Xavier Passot è un oggetto non identificato, o quantomeno non ancora identificato.

Chi si interessa di Ufo sa bene che il GEIPAN francese è l’unico organismo pubblico che ha avuto a disposizione, da decenni, alcune risorse allo studio degli avvistamenti di quelli che con un termine meno evocativo ha denominato PAN (dal francese Fenomeni Aerospaziali Non-Identificati).

Ora a distanza di pochi giorni tre giornali francesi intervistano il suo ultimo direttore Xavier Passot, che come il suo predecessore Yves Blanc (in carica per pochi anni prima della pensione), mostra tutte le cautele del caso, ridimensionando gli entusiasmi della gestione di Jean Jacques Velasco.

Il primo è il giornale La Depeche , il 12 febbraio 2012, che pubblica una notizia su un caso bolidare nel dipartimento della Haute-Garonne, a cui fa seguito il commento di Passot, che spiega (come farebbe un astrofilo) come avviene la “misurazione”di un meteorite che lascia una traccia nel cielo durante la sua entrata in atmosfera. Passot spiega anche che esiste nei loro archivi un 20% di casi non identificati. All’evidenza del meteorite il giornalista contrappone l’attesa degli ufologi per il disvelamento dei documenti top secret della US Air Force.

Ancora una volta, chi avesse voluto capire qualcosa sul problema posto dalle testimonianze Ufo, resterà deluso dalla lettura di questo giornale che, per farla corta con gli Ufo, titola: “Meteoriti; quando il cielo ci cade sulla testa”.

Il secondo giornale, L’Alsace, pubblica un altro articolo riguardo il Geipan, il 19 febbraio 2012, dal titolo più problematico: “Il cacciatore di Ufo n. 1 di fronte al 22% di osservazioni senza spiegazione”.

L’Alsace riporta in breve la storia del Geipan iniziata 35 anni fa (allora Gepan), e intervista Passot che parla del rigore scientifico che mettono in atto come organismo nel trattamento delle testimonianze.

Si cita il successo di visite sulle pagine della casistica pubblicata sul sito web del CNES (Centre national d’études spatiales) di cui il Geipan fa parte, e si riassume il metodo di catalogazione delle testimonianze in uso.

Infine l’articolo del giornale nazionale Le Monde, il 26 febbraio 2012, con un titolo molto simile: “Professione: ingegnere, cacciatore di Ufo”.

Qui il giornale festeggia uno strano anniversario, il settantesimo anniversario dei “dischi volanti e dei loro occupanti” ovvero dei “fenomeni aerei strani”, che fa risalire al 26 febbraio 1942, quando a Los Angeles in piena guerra mondiale, la difesa americana fece fuoco su un “vascello sconosciuto nel cielo”.

Sappiamo che il termine “disco volante” risale al famoso avvistamento di Kenneth Arnold del 1947 (e che quello di “UFO” è successivo), ma non dobbiamo meravigliarci di queste retrodatazioni (da noi c’è chi ha festeggiato i 150 degli Ufo).

Poco importa, al giornalista interessa far notare che la vigilia di quella data di settanta anni fa è il compleanno di Passot, e che quindi il direttore del Geipan si sente in qualche modo “un predestinato”.

Non è certo il modo migliore per iniziare un discorso sulle “verifiche scientifiche rigorose”, ma sappiamo che così funziona “la notizia”.

Passot introduce nell’intervista un concetto abbastanza nuovo per quanto riguarda il 22% di non-identificato (una percentuale assai elevata se confrontata con le altre percentuali delle associazioni ufologiche) spiegando che una volta eliminate “le testimonianze poco consistenti” restano “molti pochi casi misteriosi”.

Per farla breve queste pagine di ben tre giornali dedicate al Geipan di Passot non è che ci rendano un particolare stato di ottimismo.

Il fatto è che la vera notizia, è sempre nascosta dietro un ammasso di deja-vu ufologici.

E’ infatti l’ultima frase in fondo all’articolo del giornale L’Alsace ad informarci che: “A fine 2014 il Geipan conta di disporre di un centinaio di telecamere che osserveranno i fenomeni luminosi sopra i 50 chilometri di altitudine per perfezionare la sua caccia”.

[Fonti: Gilles-R. Souillés, giornale La Depeche, http://www.ladepeche.fr/article/2012/02/12/1283045-meteorites-quand-le-ciel-nous-tombe-sur-la-tete.html;

André Schlecht , giornale L’Alsace, http://www.lalsace.fr/actualite/2012/02/19/le-chasseur-d-ovnis-n-1-face-a-22-d-observations-inexpliquees;

Jean-Guillaume Santi, giornale Le Monde, http://www.lemonde.fr/societe/article/2012/02/26/profession-ingenieur-chasseur-d-ovnis_1648228_3224.html

; Info: Roberto Labanti e Nadine Vasse]

domenica 26 febbraio 2012

ATTI DEL CONVEGNO DI FORNOVO- 2010. “FENOMENI LUMINOSI IN ATMOSFERA E PRECURSORI SISMICI”


Ricevo dal vicesindaco di Fornovo di Taro (Parma), gli Atti del Convegno (in inglese) che si era tenuto il 21 aprile 2010, presso il cinema Lux, su “Fenomeni Luminosi in Atmosfera e Precursori Sismici”, e volentieri riporto la notizia.

Erano intervenuti:

*James Bunnel (USA), ingegnere aerospaziale,

“Investigation of Luminous Phenomena Seen Near Marfa, Texas”.

*Massimo Teodorani, astrofisico e divulgatore scientifico,

“A Scientific Approach to the Investigation On Anomalous Atmospheric Light Phenomena”.

*Valentino Straser, geologo,

“Electro-magnetic fields and ball of light on the clayey outcrops of the River Taro Valley (North-Western Appendine- Italy)”.

E’ un’occasione rara che studiosi di questi argomenti riescano a scambiare le loro esperienze sul terreno. Questi sono pochi e dispersi sul pianeta.

In questo caso si sono incontrate due “zone di ricorrenza” di fenomeni luminosi anomali: la zona storica di Marfa nel Texas (dal 1883) e la nuova presunta zona della valle del Taro.

A fare da collante tra queste due distanti esperienze e diverso approccio, era stato l’intervento dell’astrofisico e divulgatore Massimo Teodorani, che aveva svolto una disanima delle ipotesi, delle diverse zone da lui inchiestate, con particolare riferimento alla valle di Hessdalen, ed infine delle problematiche dell’approccio scientifico per questo tipo di fenomeno.

Bunnell ha ricordato che le luci di Marfa possono essere confuse con diverse fenomenologie conosciute dagli esperti che sono fonte di molteplici errori di percezione (ad es. in certi casi anche Miraggi Notturni).

Resta un residuo di casistica, circa un 3%, che si ritiene possa essere sintomatico di un fenomeno sconosciuto e che Bunnell studia da tempo con una serie di strumenti (attraverso i quali ultimamente è riuscito anche a catturare dei TLE Sprite).

Qualche tempo fa pareva che il fenomeno fosse stato definitivamente spiegato da fari d’auto sulla Highway 67.

In effetti un gruppo di studenti di fisica dell’Università di Dallas (Texas) nel maggio 2004 ha solo “dimostrato” che fari di automobile provenienti dalla Highway 67 potevano esser visti dal punto da dove sono state più spesso osservate le Marfa Lights (View Park), e che in certi casi possono ingannare l’osservatore.

Sembra che anche per la valle del Taro esista una storia passata di luci, qui spesso legate al terremoto o alle situazioni di stress sismico (almeno a partire dal 1850).

Straser ha tracciato un elenco delle caratteristiche che potrebbero favorire l’apparizione di queste luci sismiche.

venerdì 24 febbraio 2012

2011- LA RIVISTA JOURNAL OF SCIENTIFIC EXPLORATION (JSE) E’ TORNATA SUL FENOMENO HESSDALEN

L’anno scorso la rivista JSE ha pubblicato due articoli sulle “Luci di Hessdalen”.

E’ bene ricordare che il JSE è una delle poche riviste a carattere scientifico dedicata ai fenomeni di confine, che normalmente trovano raramente posto nelle riviste scientifiche contemporanee più accreditate.

Detto questo sarebbe doveroso chiedere anche a queste rare iniziative su argomenti quali i Fenomeni Luminosi in Atmosfera del tipo di Hessdalen una maggiore severità nel referaggio degli articoli. Vero è che data la scarsa mole di studi riguardo questi fenomeni trascurati, è difficile trovare il bandolo della matassa dato anche che quei pochi scienziati che se ne sono occupati hanno operato su una scarsa quantità di dati.

Ciò è essenzialmente dovuto al fatto che non sappiamo dove certi FLA si verificano e le cosiddette “zone di ricorrenza” delle Earthlights sono spesso in luoghi lontani, come ad es. la valle norvegese di Hessdalen dove, l’esperienza insegna, è fisicamente difficile collocare strumenti e raccogliere dati. Senza parlare della scarsità di mezzi finanziari per meglio indagare il fenomeno.

Il primo articolo pubblicato dal JSE è:

Paiva S. Jarson & Taft C.A., “Hessdalen Lights and Piezoelectricity from Rock Strain”, riv. Journal of Scientific Exploration, vol. 25, n. 2, 2 febbraio 2011, pp. 273-279.

In questo articolo gli Autori tornano a parlare della loro ipotesi “Dusty Plasma Theory” di cui avevo dato informazione su questo blog, e suggeriscono che la piezoelettricità del quarzo, spesso portata a spiegazione di alcune Earthlights, non può spiegare certe particolari peculiarità assunte dal fenomeno luminoso di Hessdalen (HP), come la presenza di strutture geometriche di luce.

Gli Autori precisano che siamo spesso di fronte ad osservazioni di tipo contraddittorio ed altrettante spiegazioni, dove comunque l’ipotesi piezoelettrica ha assunto una maggiore credibilità.

Questa ipotesi però non basterebbe a spiegare tutti i comportamenti del fenomeno.

Un primo limite di questo articolo potrebbe proprio essere nel fatto che per documentare queste strutture geometriche a “bassa intensità luminosa” (?), si faccia riferimento a due immagini tratte da un video dell’astrofisico Teodorani (2004) che ha fatto molto discutere a quel tempo.

Vero è che disponendo di una quantità davvero limitata di immagini del fenomeno Hessdalen una tale scelta può essere comprensibile, ma non può essere attuata semplicemente eliminando i dubbi per via dialettica, circa un’immagine che non è attendibile al 100%. Non basta solo affermare che : “… is not a result of videocamera pixilation effects, since the same kind of shape is recorded by conventional photography” (p. 276).

Il secondo articolo su JSE è:

Paiva S. Jarson & Taft C.A., “Colors Distribution of Light Balls in Hessdalen Lights Phenomenon”, riv. Journal of Scientific Exploration, vol. 25, n. 4, 10 luglio 2011, pp. 735-746.

Qui, gli stessi due Autori, in accordo con la loro ipotesi che queste luci sono prodotte da elettroni accelerati da campi elettrici, durante rapide fratture di rocce piezoelettriche, indicano un modello fisico.

Le “sfere di luce” di Hessdalen sarebbero prodotte da onde acustiche di ioni ( IAW) interagenti con il nucleo centrale di luce di colore bianco dell’HP.

Anche in questo caso il testo dell’articolo presenta alcune affermazione che potrebbero essere considerate non proprio accurate. Per esempio si dice che “… the production of balls of distinctly different color at Hessdalen differ from standard ball lightning behavoir” (p. 736). Non si evidenzia che il “fulmine globulare” è un fenomeno ancora poco conosciuto (e dimostrato solo in laboratorio) e che coloro che hanno raccolto e catalogato testimonianze del fenomeno hanno rilevato un ampio spettro di colori (vedi ad es.: Carbognani Albino, “Fulmini Globulari”, Macro Edizioni, 2006, p. 50).

Questa differenza tra fulmini globulari e fenomeno di Hessdalen è stata spesso affermata ma mai dimostrata.

Gli Autori affermano che il colore delle sfere di luce di Hessdalen potrebbe essere il prodotto di “quantum dots” di spore di muffe, quali principali elementi semi-conduttori, su un solo lato del plasma o, in alternativa, prodotti da “aereosols” naturali, la cui natura varia con il luogo.

Precisano che comunque questa teoria non può spiegare l’intensità di luce delle sfere “satelliti” di certe osservazioni.

In questo lavoro gli Autori propongono un modello che spieghi la distribuzione spaziale del colore delle Hessalen Lights.

In accordo con questo modello, molti colori delle luci di Hessdalen sono il prodotto dell’accelerazione di elettroni dovuto ai campi magnetici che si formano con la frattura rapida di rocce piezoelettriche, specialmente nei periodi più freddi quando l’acqua sotterranea ghiaccia.

Le luci verdi (semi-relativistiche) del fenomeno Hessdalen sono dovute alla emissione di luce dell’ossigeno ionico, trasportato da onde acustiche di ioni ( IAW) che interagiscono con la luce bianca della sfera luminosa di Hessdalen.

Perché queste luci periferiche al fenomeno principale sarebbero verdi? Ciò sarebbe dovuto alla pressione della radiazione prodotta dall’iterazione tra VLF (Very Low Frequencies) e gli ioni dell’atmosfera (presenti nella parte centrale bianca della “sfera di luce”) attraverso le onde acustiche di ioni (IAW).

Questo modello mette in discussione le ipotesi sviluppate nel 2004 da Teodorani, circa le osservazioni di una luce centrale bianca che ne espelle altre.

Teodorani si era affidato all’ipotesi del fulmine globulare di Turner e riteneva che le luci “satelliti” potessero essere il frutto della ri-minimizzazione della superficie energetica effettiva.

Gli Autori dell’articolo, per confermare la loro tesi, riportano le analisi dello spettro di Hauge (2007) che parlava di presenza di ioni di silicio e scandio. Ciò sarebbe compatibile con il modello da loro proposto.

Ma noi sappiamo che i risultati dello spettro di Hauge sono stati relativizzati dallo studioso stesso dopo un iniziale entusiasmo.

Gli Autori aggiungono che linee di elio sono state ritrovate nello spettro di Hauge (2007) e questo per loro: “Può essere una forte evidenza di fusione nucleare fredda in questi plasma atmosferici, dato che l’elemento chimico è un prodotto di una fusione nucleare di atomi di deuterio in un reattore a fusione nucleare”.

Simili affermazioni con riferimento alla "fusione fredda" sono a parere di molti studiosi troppo speculative.

Per fortuna gli Autori concludono che il meccanismo di emissione dell’elio ha bisogno di essere ancora delucidato. Una alternativa, concludono più semplicemente, è che l’elio fuoriesca dalle rocce. Una volta che le rocce si fratturano, ioni di elio emettono luce una volta che ricatturano elettroni in atmosfera.

Molti studiosi potranno comunque apprezzare lo sforzo di modellizzazione di Paiva e Taft, ma se saranno abbastanza critici non potranno fare a meno di richiedere una maggiore solidità dei dati raccolti sul fenomeno, prima di mettere in campo sofisticati modelli di fisica.

Personalmente mi auguro che queste complesse speculazioni possano sollecitare l’interesse di nuovi studiosi, ma c’è il rischio, già corso in passato, di costruire un robusto edificio concettuale senza aver prima costruito le fondamenta atte a sostenerlo.