giovedì 30 gennaio 2014

24 gennaio 2014. SPRITE CON HALO AL LARGO DELLA SICILIA

La rete italiana di monitoraggio del cielo dei Fenomeni Luminosi in Atmosfera, IMTN (Italian Meteor and TLE Network), comunica il rilevamento della stazione Sky Sentinel di Caserta al largo della Sicilia, di un fenomeno Sprite insieme ad un fenomeno più raro, un Halo (che si presenta come un breve ed intenso fenomeno luminoso circolare)
L'informazione è anche presente nel forum dell'IMTN alla URL:


Complimenti a questa stazione del sud Italia, operativa da pochi mesi, che ha già ottenuto i suoi primi successi, nel rilevamento di fenomeni luminosi dell'alta atmosfera.

[Info: Ferruccio Zanotti, IMTN]

mercoledì 15 gennaio 2014

Gennaio 2014. QUELLE LUCI SISMICHE CHE OGNI TANTO TORNANO IN SUPERFICIE SOTTO UNA LUCE DI NOVITA'

In questi giorni di inizio 2014 le “Luci sismiche” (Earthquake Lights) hanno avuto nuovamente risalto nell'ambito della divulgazione scientifica grazie a un articolo di “Robert Thériault (et Al.) del “Ministry of Natural Resources” di Quebec City, in Canada.

L'articolo di Thériault, R., St-Laurent, F., Freund, F. T. & Derr, J. S., è uscito sulla rivista Seismological Research Letters nel numero di gennaio/febbraio 2014 
ed è disponibile alla URL: http://dx.doi.org/10.1785/0220130059.

Oltre a riprendere una catalogazione dei supposti fenomeni luminosi legati al sisma tratta di una teoria, non nuova che continua a farsi strada grazie a un gruppo di studiosi di tutto il mondo, ovvero la possibilità che le luci sismiche abbiano origine da uno stress sotterraneo delle rocce , che genera cariche elettriche, che risalgono lungo le faglie verticali. L'iterazione con l'atmosfera genererebbe diversi tipi di luminosità, concomitanti con il terremoto.
Tra questi ricercatori impegnati nello studio dei precursori sismici c'è anche l'italiano Cristiano Fidani, citato nell'articolo, che a partire dal terremoto dell'Aquila, e in particolare dal 2010, ha trattato in diversi articoli la serie di testimonianze che ha personalmente raccolto in seguito ai disastrosi fatti (vedi ad es. in nota all'articolo (alla URL sopra indicata).

Un breve articolo giornalistico su Nature (vedi URL: http://www.nature.com/news/earthquake-lights-linked-to-rift-zones-1.14455) mette in moto un piccolo dibattito a distanza, interno all'articolo stesso, circa il fenomeno dei precursori luminosi.
John Ebel, geofisico in Massachusetts, intervistato dalla giornalista scientifica Alexandra Witze di Nature afferma, per quanto riguarda le luci sismiche, che: “Non è propriamente un'area regolare di inchiesta scientifica, perché non c'è modo di mettere in atto un esperimento su di loro”.

Ora, questa affermazione è molto curiosa perché spesso è la stessa argomentazione messa in atto per gli Ufo. Quegli “stessi” Ufo che per Thériault (et Al.) sono spesso erroneamente richiamati dai testimoni che casualmente osservano “luci sismiche”.
Vero che basarsi sulla semplice testimonianza è solo la fase prescientifica e non sufficiente dello studio di un possibile fenomeno sconosciuto, ma non si capisce perché le “luci sismiche” non sarebbero sperimentabili, dato che esistono ormai molti articoli su esperimenti di laboratorio, e nulla esclude (salvo le difficoltà implicite di ogni ricerca) che si possano usare strumenti di misurazione, per catturare il fenomeno e dimostrarne l'esistenza.
Evidentemente lo studio delle “luci sismiche” varca una zona non scritta tra ciò che consideriamo scienza e ciò che invece gli studiosi rimuovono nell'ambito della parascienza.
Eppure se la critica alle luci sismiche sembra nuova la catalogazione di Thériault et Al., non è una concezione per nulla nuova, studiosi del passato per quanto minoritari prima di loro avevano operato catalogazioni del genere, basti pensare ad Ignazio Galli, già più di 100 anni fa.

Dei 65 terremoti studiati (nelle Americhe e in Europa) l'articolo di Thériault (et Al.) rileva che ben 63, la quasi totalità, hanno presentato testimonianze di fenomeni luminosi che sembrano associati alla presenza di faglie verticali (o ad elevato angolo, nel testo richiamate come una steep geometry).

Uno degli autori, Friedemann Freund, fisico dei minerali alla NASA Ames Research Center in Moffett Field, California, sospetta che tutto il fenomeno abbia inizio in alcuni difetti della roccia, dove atomi di ossigeno in una struttura chimica minerale liberano elettroni. Quando aumenta lo stress nella roccia durante la fase preparatoria del terremoto, questo rompe i legami di perossido e
libera le P-hole (lacune positive), che fluiscono verso l'alto attraverso la faglia fino alla superficie. Quando ci sono delle asperità sulla superficie, li si concentrano le cariche generando dei campi elettrici locali intensi, e questo genera le luci.

In tal senso il catalogo realizzato dal team americano è una strada per suggerire vie di studio per monitorare le faglie attive e considerarne le modificazioni in atto.

Ebel ribatte alla giornalista, circa quanto afferma Freund che: “Ciò è sensato, ma non significa che sia corretto”.
Mi pare solamente l'ennesima affermazione e-semplificativa del termine di “ipotesi” (in scienza sono “sensate”anche se non ancora provate in modo robusto).
Nuovamente ci ritroviamo di fronte a uno dei tanti geofisici per niente interessato a volersi confondere con la ricerca di confine.

[Nico Conti, CIPH]






martedì 14 gennaio 2014

Gennaio 2014. NON C'E' ANTROPOLOGI A CHILOMETRO ZERO. A proposito di un articolo di Pierre Lagrange

Il sociologo Pierre Lagrange, nel suo ultimo articolo per la rivista Politix, solleva un problema di metodo per l'antropologia di oggi che solo a parole sembra sostenere una parità tra le diverse culture e credenze, e che almeno nelle intenzioni di metodo aveva deciso di superare i concetti della prima nascente antropologia “occidentale” quando guardava ancora alle culture altre con la stimma di culture selvagge e primitive.
Nelle università il buon professore di scienze sociali spiega ai suoi studenti che non sono lì per giudicare, ma solo per comprendere e descrivere.
Ma nel concreto delle pratiche degli antropologi esiste veramente questo modo asettico di procedere nella ricerca?

Pierre Lagrange in “Pourquoi les croyances n'interessent-elles les anthropologues qu'au delà de deux cents kilomètres?”, afferma che questo non è vero quando l'antropologo si trova faccia a faccia con una credenza vicina al proprio contesto sociale.
Gli antropologi sembrano privilegiare gli studi di credenze lontane nello spazio e nel tempo (che si tratti degli amerindi o dei fantasmi dei morti nel medioevo.
Al contempo, gli stessi studiosi saranno portati ad evitare di studiare i discorsi messi in atto nelle pratiche scientifiche, per timore di essere accusati di relativismo.
Il rifiuto di studiare le credenze vicine (o l'incapacità di farlo) emana probabilmente da questa necessità di doversi schierare in favore della scienza. 
 
Sembra quindi a Lagrange, che ne porta diversi esempi concreti, che mentre l'antropologo affronta con serietà una credenza lontana, non è nella possibilità di applicare lo stesso metodo quando la credenza è a lui vicina.
E, anche quando certi lavori recenti hanno applicato lo stesso metodo di analisi sia per le credenze che per le scienze, lo hanno fatto evitando di mettere troppo rilievo sulle scienze.

A causa di questa perdita di neutralità assiologica l'antropologo può arrivare ad accusare un suo collega di essere un “ufologo” (ce lo dice in nota Lagrange stesso) semplicemente perché quest'ultimo pretenderà di trattare certe materie considerate parascientifiche (e quindi di fatto non attendibili come i discorsi sugli Ufo) e peggio quando con lo stesso metodo vorrà affrontare (da antropologo) il discorso degli scienziati.
La conseguenza è che sono soprattutto le pratiche scientifiche a restare un buco nero ( “une tache aveugle”, secondo la definizione di Lagrange) soprattutto per l'antropologia francese.

Lagrange Pierre, “Pourquoi les croyances n'interessent-elles les anthropologues qu'au delà de deux cents kilomètres?”, riv. Politix (De Broeck Supèrieur), vol. 15, n. 100, 4/2012, pp.201-202