mercoledì 15 gennaio 2014

Gennaio 2014. QUELLE LUCI SISMICHE CHE OGNI TANTO TORNANO IN SUPERFICIE SOTTO UNA LUCE DI NOVITA'

In questi giorni di inizio 2014 le “Luci sismiche” (Earthquake Lights) hanno avuto nuovamente risalto nell'ambito della divulgazione scientifica grazie a un articolo di “Robert Thériault (et Al.) del “Ministry of Natural Resources” di Quebec City, in Canada.

L'articolo di Thériault, R., St-Laurent, F., Freund, F. T. & Derr, J. S., è uscito sulla rivista Seismological Research Letters nel numero di gennaio/febbraio 2014 
ed è disponibile alla URL: http://dx.doi.org/10.1785/0220130059.

Oltre a riprendere una catalogazione dei supposti fenomeni luminosi legati al sisma tratta di una teoria, non nuova che continua a farsi strada grazie a un gruppo di studiosi di tutto il mondo, ovvero la possibilità che le luci sismiche abbiano origine da uno stress sotterraneo delle rocce , che genera cariche elettriche, che risalgono lungo le faglie verticali. L'iterazione con l'atmosfera genererebbe diversi tipi di luminosità, concomitanti con il terremoto.
Tra questi ricercatori impegnati nello studio dei precursori sismici c'è anche l'italiano Cristiano Fidani, citato nell'articolo, che a partire dal terremoto dell'Aquila, e in particolare dal 2010, ha trattato in diversi articoli la serie di testimonianze che ha personalmente raccolto in seguito ai disastrosi fatti (vedi ad es. in nota all'articolo (alla URL sopra indicata).

Un breve articolo giornalistico su Nature (vedi URL: http://www.nature.com/news/earthquake-lights-linked-to-rift-zones-1.14455) mette in moto un piccolo dibattito a distanza, interno all'articolo stesso, circa il fenomeno dei precursori luminosi.
John Ebel, geofisico in Massachusetts, intervistato dalla giornalista scientifica Alexandra Witze di Nature afferma, per quanto riguarda le luci sismiche, che: “Non è propriamente un'area regolare di inchiesta scientifica, perché non c'è modo di mettere in atto un esperimento su di loro”.

Ora, questa affermazione è molto curiosa perché spesso è la stessa argomentazione messa in atto per gli Ufo. Quegli “stessi” Ufo che per Thériault (et Al.) sono spesso erroneamente richiamati dai testimoni che casualmente osservano “luci sismiche”.
Vero che basarsi sulla semplice testimonianza è solo la fase prescientifica e non sufficiente dello studio di un possibile fenomeno sconosciuto, ma non si capisce perché le “luci sismiche” non sarebbero sperimentabili, dato che esistono ormai molti articoli su esperimenti di laboratorio, e nulla esclude (salvo le difficoltà implicite di ogni ricerca) che si possano usare strumenti di misurazione, per catturare il fenomeno e dimostrarne l'esistenza.
Evidentemente lo studio delle “luci sismiche” varca una zona non scritta tra ciò che consideriamo scienza e ciò che invece gli studiosi rimuovono nell'ambito della parascienza.
Eppure se la critica alle luci sismiche sembra nuova la catalogazione di Thériault et Al., non è una concezione per nulla nuova, studiosi del passato per quanto minoritari prima di loro avevano operato catalogazioni del genere, basti pensare ad Ignazio Galli, già più di 100 anni fa.

Dei 65 terremoti studiati (nelle Americhe e in Europa) l'articolo di Thériault (et Al.) rileva che ben 63, la quasi totalità, hanno presentato testimonianze di fenomeni luminosi che sembrano associati alla presenza di faglie verticali (o ad elevato angolo, nel testo richiamate come una steep geometry).

Uno degli autori, Friedemann Freund, fisico dei minerali alla NASA Ames Research Center in Moffett Field, California, sospetta che tutto il fenomeno abbia inizio in alcuni difetti della roccia, dove atomi di ossigeno in una struttura chimica minerale liberano elettroni. Quando aumenta lo stress nella roccia durante la fase preparatoria del terremoto, questo rompe i legami di perossido e
libera le P-hole (lacune positive), che fluiscono verso l'alto attraverso la faglia fino alla superficie. Quando ci sono delle asperità sulla superficie, li si concentrano le cariche generando dei campi elettrici locali intensi, e questo genera le luci.

In tal senso il catalogo realizzato dal team americano è una strada per suggerire vie di studio per monitorare le faglie attive e considerarne le modificazioni in atto.

Ebel ribatte alla giornalista, circa quanto afferma Freund che: “Ciò è sensato, ma non significa che sia corretto”.
Mi pare solamente l'ennesima affermazione e-semplificativa del termine di “ipotesi” (in scienza sono “sensate”anche se non ancora provate in modo robusto).
Nuovamente ci ritroviamo di fronte a uno dei tanti geofisici per niente interessato a volersi confondere con la ricerca di confine.

[Nico Conti, CIPH]






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