venerdì 1 luglio 2005

SCIENZE E PARASCIENZE; UNA QUESTIONE MAL POSTA? [articolo di Bruno Latour]

Conferenza di Bruno Latour ©, 2001.
Questo articolo è il testo, rivisto dall'autore, di una conferenza tenuta all'Università di Ginevra l'11 maggio 2001. Si è conservato nella misura del possibile lo stile orale.
[versione originale francese all'URL: http:/www.ensmp.fr/~latour/poparticles/poparticle/p097.html N.d.T.]

Vorrei riparlare della Ragione in un modo un po' differente: non riprendendo il dibattito tradizionale tra razionalismo e irrazionalismo che non ha più l'interesse che aveva, ma opponendo piuttosto la ragione corta alla ragione lunga. Chiamerò corto o prematuro il razionalismo che accetta di produrre per opposizione un irrazionalismo che gli viene associato come l'ombra alla luce, e lungo o lento il razionalismo che ha per missione la modifica dell'irrazionalismo fino a farlo scomparire.

Compierò questa operazione in quattro movimenti, o quattro passaggi successivi, la cui complessità potrebbe apparire preoccupante anche se stimo che, quando si ha la pretesa di scuotere il razionalismo, lo si deve fare con attenzione perché si tratta di argomenti che non permettono né approssimazione né precipitazione. Il primo passaggio, il primo movimento che vorrei mettere in atto, è di ridare un po' di spazio e di durata alla tradizione razionalista interrogandola non dal punto di vista epistemologico, ma dal punto di vista politico.
Qual'è la politica del razionalismo e quali sono le cause del suo fallimento presente? Prima di tutto, c'è un fallimento? Credo che sia sufficiente misurare l'interesse duraturo del pubblico per le parascienze per giudicarlo.
Dopotutto se i fondatori di questa scuola avessero immaginato che nel 2001 si sarebbero organizzate una serie di conferenze sui dischi volanti, la parapsicologia, la criptozoologia ed altre curiosità, si sarebbero spaventati. Avrebbero considerato la cosa come una catastrofe, non potendo arrivare a pensare che cento anni più tardi "saremmo stati ancora a quel punto".
Dunque il fallimento del razionalismo nel convincere che queste cose bizzarre non esistono, o non sono più d'attualità, e che si possono semplicemente analizzare come forme arcaiche di comportamento, mi sembra una evidenza empirica che deve essere fatta oggetto di una domanda.
Perché il razionalismo si è arenato? Perché, secondo me, ha sbagliato politica.
Il razionalismo ha considerato che ciò che chiamo la composizione del mondo comune, ossia il fatto che noi viviamo nello stesso mondo, che condividiamo le stesse conoscenze, che abbiamo a che fare con gli stessi oggetti, in fondo fosse già realizzata.
Ha considerato che, per l'intermediazione delle scienze, noi conosciamo sufficientemente ciò che i filosofi chiamano le qualità primarie e che sarebbe stato sufficiente in seguito diffondere attraverso le università, le scuole e la volgarizzazione scientifica l'evidenza di queste realtà oggettive, affinché come la neve al sole, l'arcaismo, le rappresentazioni fantasmatiche e l'irrazionalità, sparissero dalla scena.
Ciò che chiamiamo le qualità primarie è l'insieme di cose che ci costituiscono, ad esempio in questa sala, i neuroni del nostro cervello, i geni del nostro patrimonio, la fisiologia dei nostri corpi, gli atomi di questo palco, tutto ciò che non possiamo né sentire né vedere, che è comunque già qui, che è già ciò che ci compone, ciò di cui siamo costituiti, e che non possiamo non condividere, in breve ciò che noi abbiamo in comune, che lo si voglia o no, che lo si sappia o meno.
Poi, dall'altra parte ci sono ciò che i filosofi chiamano le qualità secondarie, che sono soggettive, e che effettivamente divergono secondo le affiliazioni religiose, le ideologie, le posizioni politiche, e che hanno come caratteristica di non rinviare alla natura oggettiva delle cose. Dunque, noi abbiamo da un lato qualità che ci uniscono, le qualità primarie, che sono indiscutibili, e che fanno l'oggetto delle scienze, e dall'altro, ciò che ci divide che sono le posizioni soggettive, la molteplicità delle opinioni e degli affetti che non possono rinviare che all'interiorità e che non hanno vocazione ad avere accesso al mondo reale. Se noi riflettiamo su questa distinzione, è chiaro che si tratta di un'organizzazione politica perché ci dice quanto segue: il mondo comune esiste già e le scienze lo conoscono. Ciò che esiste e ci divide deve evidentemente essere rispettato perché si tratta della soggettività, delle passioni, etc., ma tutti questi valori non debbono interferire su ciò che ordina realmente il mondo. Il razionalismo dunque non si è sbagliato a causa di un errore epistemologico, non è una cattiva teoria della conoscenza - anche se poi in realtà è proprio così, come mostrerò più avanti- ma è prima di tutto un impatto politico. Il razionalismo consiste nell'affermare che l'unità di ciò che ci riunisce è già raggiunta e che ciò che ci divide infine non ha molta importanza, poiché le qualità primarie non hanno vocazione a dire altre cose del mondo che non sia ciò che popola l'interno delle nostre coscienze soggettive- in tutti i casi ciò che ci divide non ha profondità oggettiva. Ora, la caratteristica degli oggetti che compongono ciò che chiamiamo sinteticamente le "parascienze" è quella di rifiutare giustamente di essere fenomeni limitati alla soggettività e all'interiorità. Quando i dischisti pretendono di portare le prove dell'esistenza dei dischi volanti è proprio nel mondo reale, nello spazio, lo stesso delle qualità primarie, che pretendono di farli volare. Non si accontentano affatto di fare volare i loro dischi nello spazio interiore del sogno, nello spazio virtuale della fantascienza, o di reimpatriarli nei neuroni di un mondo proprio della sola mente cognitiva. Mai accetterebbero la posizione nella quale li mette il razionalismo classico: "E' una opinione soggettiva e divertente, interessante , rispettabile, ma che evidentemente non può pretendere di raggiungere gli oggetti del mondo, circolare in un'atmosfera o in uno spazio che è quello della conoscenza oggettiva. Dunque non possiamo accettare di discutere con voi ufologi, rispettando comunque la vostra interiorità, ma a condizione che voi non parliate che dei vostri fantasmi e dei vostri sentimenti interiori. Noi non dobbiamo considerare" dicono i razionalisti "che gli oggetti di cui parlate abbiano un peso ontologico, come dicono i filosofi; noi vogliamo pure discutere ma a condizione che non si tratti di rivendicazioni concernenti il mondo reale".
Ora, esiste in tutti questi oggetti delle parascienze, e per i partecipanti stessi, una esigenza di realtà e un bisogno di partecipare alla composizione del mondo comune. Quelli che i razionalisti chiamano irrazionalisti hanno giustamente l'ambizione di affermare: "Noi vogliamo partecipare alla definizione del cosmo. Noi vogliamo popolare con i nostri dischi ed i nostri succubi anche l'universo delle cose e non solo l'interiorità psicologica delle nostre coscienze. E se voi ci reinviate alla nostra psicologia, allora ci arrabbiamo, ed entriamo in dissidenza e infine rifiutiamo ogni dialogo".
Per fare un esempio conosciuto, il dibattito americano entro darwinisti e creazionisti è esattamente di questo tipo. Se i creazionisti dicessero: "Noi abbiamo una volontà, delle opinioni e dei sentimenti che devono essere rispettati ma evidentemente non abbiamo la pretesa di intervenire sulla definizione di ciò che è successo nel mondo a partire dalla Creazione", non ci sarebbe una controversia e sarebbero rispettati così come si rispettano i sentimenti religiosi in un mondo di tolleranza relativa e relativista.
Ci si accontenterebbe di dire: "Molto bene, voi avete delle posizioni soggettive, ma evidentemente la cosa non va oltre, e dunque questo non interferisce con il darwinismo, che, quanto a lui, parla del modo in cui è fatto il mondo esteriore, e non quello interiore". Dunque, ciò che rende il creazionismo così pericoloso per i razionalisti e gli evoluzionisti americani è che questi settari pretendono non solo di avere dei sentimenti religiosi ma anche avere accesso, attraverso questi sentimenti religiosi, a degli esseri che popolano il mondo, ad una storia reale e non semplicemente ad una storia soggettiva. Non domandano che si rispettino le loro credenze interiori ma che si riconosca anche la verità esteriore di ciò che affermano.
Il caso dell'aborto, per restare agli esempi americani, offre un parallelo consorprendente. Quelli contrari all'aborto non vogliono dire semplicemente: "noi abbiamo dei sentimenti rispettabili che concernono la vita e la morte che rinviano alla nostra soggettività e al nostro diritto più stretto ad una opinione ed un credo privato". Assolutamente! Essi vogliono intervenire direttamente nella definizione di ciò che è vivente e ciò che non lo è, nella politica della vita e della morte e, come dicono, non vogliono a nessun prezzo che si limitino le loro posizioni a dei sentimenti privati. Si potrebbero ovviamente moltiplicare i casi in cui la politica del razionalismo, che consiste a rinviare le rivendicazioni concernenti il mondo comune alla semplice soggettività o all'accordo evidente della ragione, non funziona più. La situazione in cui il razionalismo potrebbe rinviare gli irrazionalisti alla soggettività, si trova in qualche modo fermata, sospesa, gli si resiste.
Da parte mia, non è affatto attraverso un dibattito epistemologico che bisogna affrontare questi problemi, ad esempio provando a dimostrare che i parascientifici sono dei "cattivi ricercatori", che non comprendono il "buon metodo scientifico", che fanno degli "errori di ragionamento", che non sanno "falsificare" le loro ipotesi alla maniera di Popper etc., ma piuttosto in termini di resistenza politica a una composizione del mondo comune fatta da altri senza composizione progressiva, senza discussione e senza dibattito.
La ragione per cui questa assenza di dibattito è shoccante, è che nel caso del mondo costruito dal razionalismo, questo mondo comune, questo mondo di qualità primarie, ha un piccolo inconveniente che i razionalisti hanno sempre riconosciuto: pur considerando che il mondo è il solo davvero oggettivo, ha il leggero difetto di essere privo di senso umano.
Esso è sia reale, obiettivo, invisibile - poiché necessitano delle scienze sempre più elaborate per scoprirlo- e anche senza significato, vale a dire che non risponde, come si è detto, alle esigenze della soggettività. Il tema è molto ben conosciuto, ed ha fatto vibrare tutti i modernisti: "Questo spazio infinito ci stupisce". D'altra parte, le qualità secondarie, come sappiamo assai bene, quelle che popolano secondo i razionalisti l'animo umano, l'interiorità delle nostre coscienze, se hanno l'immenso inconveniente di essere false, di non poter procurare nessun accesso al mondo reale, hanno l'enorme vantaggio di avere un senso, vale a dire di parlare alla povera umanità.
Ciò che Alfred Morth Whitehead, il grande filosofo inglese del secolo scorso, chiamava la biforcazione della natura, la distinzione entro qualità primarie e qualità secondarie, non è semplicemente una impossibilità filosofica, non è semplicemente una impossibilità etica, ma è anche una impossibilità politica. Come possiamo immaginare di essere combattuti da un lato dalle qualità primarie che ci uniscono, ma che non hanno senso, e dall'altro delle quantità secondarie che ci dividono ma che hanno il vantaggio di avere un senso che però non permette alcun accesso al mondo reale? La realtà non ha senso ed il senso non ha realtà!
A causa di questa biforcazione insensata, la storia moderna non è affatto diretta, contrariamente a quanto auspicavano i nostri antenati razionalisti, verso un movimento di conquista progressivo della ragione sul senso comune, con qualche sacca di irrazionalismo persistente che presto, grazie all'insegnamento, scomparirà.
Ci si trova piuttosto, se posso permettermi una metafora grossolana, nella situazione del pistone di una siringa ostruita mentre cerchiamo di comprimerlo senza che possa essere spinto oltre. Io credo che la situazione attuale è una situazione di incomprimibilità.
Il razionalista continua a comprimere ma si scontra con una barriera, con sacche di resistenza sempre più numerose. Possiamo discutere finché vogliamo, organizzare tutti i dibattiti che si vuole, come ci ha mostrato Marianne Doury, nel suo simpatico libro, "Le Débat immobile", ma non cambia assolutamente nulla, perché non si tratta né di fatti, né di razionalismo epistemologico, ma di politica.
Il razionalismo corto aveva fatto un'ipotesi un po' prematura. Aveva pensato che se noi fossimo divenuti tutti degli scienziati, o quasi-scientifici come gli studenti a scuola, avremmo finito per trovarci tutti d'accordo: più la gente fosse divenuta scientifica, più sarebbe stata in armonia. Questo era il sogno. Voleva dire conoscere male gli scienziati.
Il razionalismo non ha visto che questa supposizione aveva qualcosa di insopportabile: si costruiva un mondo comune senza dispute e senza dibattito. Se si guarda su Arté [un canale televisivo culturale franco-tedesco, NdT] quel bel film di Emmanuel Laurent , "L'homme de Kennewick", si può assistere ad uno di questi dibattiti tipici del momento attuale.
L'uomo detto "de Kennewick" è uno scheletro scoperto al Nord-Ovest degli Stati Uniti e questo scheletro parrebbe datare 10.000 anni sfuggendo dunque, di molto, all'insieme delle tradizioni del luogo poiché nessuna filiazione è possibile su quella scala temporale tra la popolazione attuale e quella di uomini così antichi.
Per contro viene rivendicato dagli scienziati che hanno domandato che quello scheletro rientrasse in qualche modo nei territori della scienza, alla quale sembrerebbe appartenere di diritto, per poterlo studiare in profondità.
Ma ora siamo in un'epoca diversa, in quello stato che chiamo di razionalismo incompressibile. Conseguentemente l'uomo di Kennewick viene fatto oggetto di un'azione in giustizia. Alcune tribù Indiane del Nord-Ovest degli Stati Uniti domandano che lo scheletro sia rimpatriato, perché sia dignitosamente seppellito secondo la legge americana, la NAGPRA, che obbliga lo Stato a rendere agli Indiani i resti dei loro antenati. Ma l'inconveniente è che bisogna, per applicare la legge, provare che esiste una filiazione plausibile tra lo scheletro e la tribù che lo reclama. Ora lo scheletro è così vecchio che non c'è solo una tribù che lo reclama ma diverse. Si può vedere durante il film la cerimonia della commemorazione in onore dello scheletro svolta dagli Indiani di una tribù seguita a qualche giorno di distanza dai Neo-Celti che pretendono che sia anche il loro antenato, ciò che proverebbe che sarebbero stati i Bianchi ad aver conquistato gli Stati Uniti molto prima dei Pellerossa, i quali non sarebbero più "autoctoni"!
Ed i ricercatori allora? Bene, il giudice ha il coraggio, stupefacente, di domandare agli scienziati che reclamano questo scheletro per i loro studi: "Di che tribù siete?". Vale a dire: "A che popolo appartenete?".
Evidentemente gli scienziati restano sorpresi, e rispondono: "Questo scheletro ci appartiene perché noi apparteniamo al mondo della scienza, noi apparteniamo al mondo dell'oggettività". Lontano dall'appartenere al popolo della scienza, come se fosse una evidenza naturale, lo scheletro diviene la posta in gioco tra le varie tribù. Tra queste tribù, quella degli uomini in camice bianco non è più che una tra le tante parti in conflitto, invece che essere come prima, il giudice indiscusso di ogni conflitto concernente l'oggettività. A partire da questa disputa sbalorditiva, irrisolta, lo scheletro viene strappato dalle mani dell'antropologo che l'aveva scoperto e rimesso in una no man's land che sfugge sia alla scienza, che agli Indiani o ai Celti.
Il Ministero degli Interni lo ha in qualche modo ritirato dal mondo comune prima di qualsiasi studio e di ogni rito di sepoltura. Io trovo che questa faccenda dell'uomo di Kennewick è assai tipica di questo genere di situazioni di arresto o di sospensione del razionalismo di un tempo che fu, senza che si possano ancora vedere gli effetti di un'altra politica, ciò che chiamo il razionalismo lungo o razionalismo lento.
Il secondo passaggio, e lo svolgerò più rapidamente, concerne non tanto il razionalismo, ma questa volta l'altro lato, la sua ombra proiettata: l'irrazionalismo.
Questa volta bisogna cercare di capire ciò che per tanto tempo abbiamo accusato di irrazionalità. La faccenda in fondo è abbastanza semplice: essa si concentra attorno alla questione dei feticci, vale a dire l'accusa di essere naifs diretta da sempre a coloro che credono.
La forma stessa dell'accusa anti-feticista, da ciò che possiamo leggere, ad esempio nel fumetto di "Tintin au Congo" o in forme un po' meno popolari in Karl Marx, Feuerbach, Voltaire etc. è la seguente: un naif selvaggio fa con le sue mani un idolo, questo idolo una volta costruito sembra fare un'azione che sembra uscire dall'idolo attraverso un fenomeno di ventriloquia, che si ritrova anche in un altro Tintin, "L'Oreille cassée" (difficile qui a Ginevra quando si arriva all'Hotel Cornavin non pensare al disegnatore Hergé)...
In breve, l'anti-feticista immagina semplicemente che colui che fabbrica il feticcio sia stato catturato, o in qualche modo avuto di ritorno dalla cosa che ha fabbricato. Non ci sono che tre possibilità per l'anti-feticista per poter spiegare la naiveté del feticista: la prima è evidentemente la naiveté stessa: il feticcio fabbricato sorprende talmente il selvaggio o il naif che attribuisce "come vera" l'azione del feticcio. La seconda, molto più corrente, è la malafede, vale a dire che, in fondo, il feticista è un farabutto, in senso sartriano, che sta al tempo stesso fabbricando il feticcio e attribuendo l'azione del feticcio a qualcosa che ha fabbricato sembrando dimenticare la differenza tra le due. Infine, la terza possibilità, è la grande scenografia del razionalismo classico, la manipolazione: prestidigitatori perversi, e più spesso sacerdoti di ogni sorta, hanno ingannato i poveri naifs facendo loro credere che abbiamo, nel caso del feticcio, un essere reale mentre abbiamo solo un prodotto fabbricato dalle nostre mani.
E' la denuncia dei falsi miracoli e dei falsi prodigi che l'uomo dei Lumi non ha mai smesso di ripetere.
Ora, cosa sconvolgente, se ci poniamo la domanda: "Abbiamo prove empiriche di questo feticismo tanto denunciato?", la risposta è no. Non esistono prove antropologiche ed empiriche dell'esistenza di questo famoso credente che sarebbe sia in cattiva fede, naif, o manipolato da sacerdoti.
Porterò due esempi, uno brasiliano e l'altro svizzero che mi stanno parecchio a cuore. L'esempio brasiliano, è basato sullo studio di una mia collega, Patricia de Aquino, che lavora sul rito candomblé in Brasile, una nuova religione al tempo stesso africana e cristiana, diciamo sincretica. La prima intervista che ha riportato di ritorno dalla sua prima inchiesta sul terreno, era quella di una giovane donna che veniva da un convento del candomblé e che si era spostata in un altro convento, fornendo questa spiegazione: "Si, vengo in questo convento perché vi si fabbricano degli dei migliori che nel convento dove ero". La parola che utilizzava questa persona era derivata dalla parola fazer che, come probabilmente sapete, è all'origine della parola feticio, feticcio. Sono rimasto impietrito e stupefatto, davanti all'uso di questo verbo poiché mi avevano insegnato, quando leggevo Feuerbach, Voltaire, Marx e Hergé che quando avevamo a che fare con un feticista, avevamo a che fare con qualcuno che era preso e scelto, che credeva dur comme fer agli dei, ma non mi avevano mai preparato a vedere nel credente anche qualcuno che dicesse: "Qui si fabbricano, modelliamo degli dei buoni", o ancora: "Si fabbricano proprio degli dei".
Si suppone che le persone che credono siano ingenue, si suppone che siamo prese, non ci si aspetta che dicano "io fabbrico", senza questo non sono più dei feticisti, queste persone occupano in una volta sola tutte le posizioni, quella di colui che fabbrica, quella di colui che riceve la grazia di ciò che è fabbricato e quella di colui che è fabbricato dallo shock di ritorno di ciò che ha fatto. Ora questa iniziata diceva assai esplicitamente: "Qui si fabbricano degli dei buoni".
Una cosa è sicura, se prendiamo seriamente questa frase, la malafede scompare, pure la manipolazione e con lei la naiveté.
Contrariamente alla scenografia dell'antifeticismo, noi ci troviamo in questo caso davanti ad un'azione sottile per la quale l'antropologo non ha spiegazione alcuna: niente di meno naif che un feticista.
Il secondo esempio, questo svizzero, riguarda una esposizione a Berna, Bildersturm, che ora spero sia terminata, e che ha come tema la distruzione delle immagini all'inizio della Riforma.
Questa esposizione ha per oggetto, in modo esplicito, attraverso la scelta delle opere, i pannelli e i manichini di cera, di ripetere quattro secolo dopo, il gesto iconoclasta della distruzione delle chiese e delle statue ridicolizzando i cattolici svizzeri che sono accusati di "credere ancora" a tutte quelle cose di cui il protestantesimo bernese si è sbarazzato, attraverso un atto di coraggio fondante, nel corso della Riforma.
Questa esposizione accumula le immagini massacrate della Vergine Maria, di crocifissi distrutti, di santi sgozzati dai protestanti. Vi si trova pure, in una scena che è l'apoteosi dell'antifeticismo, dei personaggi di cera del genere di quelli del Museo Grévin, che ricostituisce la scena di eroici bernesi dell'anno 1620 che rompono, frantumano e fondono dei calici e delle croci preziose per farne qualcosa di più utile per la Svizzera: pezzi di moneta sonante e saltellante!
Ma tutto ciò è presentato senza un minimo di ironia e senza la minima indicazione che questa furia distruttrice, talmente vicina a quella dei detestati talebani, ponga il più piccolo problema di coscienza. In questa esposizione si tratta, passo dopo passo, di celebrare la distruzione delle immagini messa in atto dagli eroici protestanti bernesi . C'è anche un piccolo video che mostra una cerimonia religiosa cattolica nella cattedrale di Lucerna, nella quale un Cristo policromo sale dal nartece tirato con una corda il giorno della cerimonia dell'Ascensione; la telecamera è piazzata in modo che l'immagine che viene data dei cattolici lucernesi, in questa esposizione bernese, è quella dei selvaggi che "credono ingenuamente", come pretende questo video, al Cristo che sale realmente in cielo e che i cattolici lucernesi sono talmente " imbevuti delle loro credenze naives" che sono forzati ad associare il loro pensiero a questi oggetti policromi per poter "pensare" l'Ascensione.
Fortunatamente, ci dice l'esposizione, nel 1620, i coraggiosi bernesi hanno strappato la chiesa da queste credenze, hanno bruciato, demolito e distrutto tutti questi oggetti; sono passati dall'icona alla croce che è un simbolo astratto, come sapete, e sono entrati sia nel protestantesimo che nel sacro regno del denaro...
Abbiamo qui un caso tipico: i protestanti bernesi credono che i cattolici lucernesi credano. Invece, i cattolici lucernesi non credono ingenuamente che il Cristo che sale in chiesa sia effettivamente il Cristo, non più dell'iniziata di candomblé che non ignora che fabbrica lei stessa i suoi oggetti di culto. Ma, certamente, quando si demolisce il loro Cristo policromo in nome di questa credenza nella credenza, i lucernesi si rivoltano contro i bernesi, cosa che agli occhi dei riformatori conferma, evidentemente, la loro certezza di avere a che fare con ritardati idolatri.
Questa storia è veramente esemplare, perché ci mostra dal vivo un caso in opera di imputazione fatta dai razionalisti verso coloro che credono, e la facilità sconcertante con cui si accusano gli altri di credere ingenuamente.
Poiché evidentemente, coloro che hanno un minimo di conoscenza teologica a proposito di icone, sanno bene che questa immagine del Cristo che sale il giorno della cerimonia dell'Ascensione non impegna rigorosamente alcuna "illusione" nel senso di dover immaginare che i poveri lucernesi "credano" davvero che il Cristo sale in cielo. Ciò che io chiamo la credenza nella credenza è precisamente ciò che rende impossibile capire cosa succede negli atti di fede. Noi abbiamo quindi un paradosso divertente di una ironia mordente: non sono altri che i razionalisti a credere alla credenza. La credenza nella credenza, la credenza nell'idea che gli altri credano ingenuamente è precisamente ciò che non è mai verificabile empiricamente. Se il primo passaggio consisteva nell'interrogare la politica del razionalismo, il secondo consisteva nel mettere in atto una disputa su ciò che viene chiamato a torto irrazionalismo, il terzo passaggio consiste nel porre domande non ai feticci ma ai fatti, ciò che è un po' la mia specializzazione. Dall'altro versante di questa dicotomia tradizionale tra credenza e sapere, razionalismo e irrazionalismo, che ne è di quei luoghi dove si fabbricano le scienze che dopotutto servono come garanzia alle pretese politiche del razionalismo di voler occupare tutto l'universo esterno? E' vero, in fondo, come ho appena suggerito, la credenza nella credenza non mette in movimento che il razionalista, e mai il credente; cosa ne è allora dei fatti? Il razionalismo che chiamo corto o prematuro, non potendosi appoggiare sull'esistenza reale dell'irrazionalismo, può almeno prevalere sulla base della solidità dei fatti scientifici?
Sorvolerò velocemente questo punto, ma credo che si possa riassumere, una delle scoperte delle scienze studiate, se la parola non è troppo forte, dello studio scientifico delle scienze, nell'affermazione seguente: "in laboratorio si scopre un altro fenomeno completamente diverso da ciò che il razionalismo immagina essere proprio delle scienze, quello del far-fare.
Allo stesso modo in cui, dal lato dei feticisti, ciò che interessa il féticheur, il fabbricante di feticci, il produttore di divinità, è la capacità di far-essere, di far-fare dei feticci, dall'altro lato, nel caso del laboratorio, come ho spesso dimostrato, ciò che è davvero straordinario, è la capacità dello scienziato a far-essere dei fatti. I sapienti non cadono mai su dei fatti "già fatti", lo sappiamo già da Bachelard.
Il ricercatore costruisce una situazione nella quale, per fare un esempio che ho spesso utilizzato, Pasteur in laboratorio fa-fare ai suoi microbi qualcosa. Egli stabilisce la scena che rende possibile l'autonomia oggettiva dei microbi.
Se voi togliete Pasteur non ci sono microbi. Ma se voi pensate che Pasteur "fabbrichi" nel senso dell'anti-feticista i suoi microbi "un pezzo dopo l'altro", allora non avete capito ciò che succede in un laboratorio. Egli fa-essere i suoi microbi, ovvero sta lavorando duramente affinché i suoi microbi siano autonomi, e dunque, indipendenti da lui.
Più lavora e più i microbi sono autonomi; più lavora e più i microbi sono oggettivi. Ed è precisamente questo far-fare o questo far-essere, vale a dire questo raddoppio della parola "fare" che si rompe quando se ne parla più semplicemente, come se si trattasse di una semplice evidenza del buon senso, il "fatto".
Ma ciò che è interessante, lo si comprende ora, è che allorquando si vuole rompere un feticcio, vale a dire quando si distrugge l'attività propria della fabbricazione dei feticci non si capisce più neanche la relazione del "credente" con il suo feticcio o con la divinità che sta fabbricando. Ed è per questo che ho proposto, qualche anno fa, la parola faitiche, vale a dire una specie di coniugazione delle due parole fatti e feticci, ma non per ridicolizzare i fatti pretendendo che siano "come dei feticci" ma, al contrario, per ricordare che in entrambi i casi, sia nel caso dei fatti che dei feticci, c'è un'azione di fabbricazione che non è contraria alla loro realtà autonoma.
Detto in altra maniera, l'antifeticista si sbaglia due volte: sul sapere come sull'opinione. L'aspetto bizzarro dell'anti-feticismo consiste nel porre i fabbricanti di feticci davanti a questa scelta comminatoria: "I vostri idoli sono fabbricati oppure sono reali?".
Risposta dell'iniziata nel suo convento che citavo prima: " Tutt'e due! E' perché sono ben fabbricati che sono reali". "Certo" insiste il razionalista: "Ma sono veri o sono inventati?". "Qui sono ben fabbricati mentre altrove essi erano mal fabbricati"."D'accordo, ma sono veri?". "La sua domanda prova che lei non capisce che cosa significa fare delle buone divinità". "Ma si" esclama il razionalista esasperato: "Però noi vogliamo la credenza sola e pura, senza la fabbricazione". "Allora signore" replica l'iniziata prima di metterlo educatamente alla porta della sua cella: "Lei non avrà nemmeno la credenza".
Ma l'impostura dei razionalisti non si rivela che nel momento in cui ci si rende conto, simmetricamente, che la domanda comminatoria stessa non ha più senso neanche sull'altro fronte.
Se andassero in laboratorio e chiedessero a Pasteur: "I suoi microbi, li fabbrica, o sono davvero reali?". Pasteur semplificando un poco nei limiti consentiti direbbe: "Sono un 'fabbricante' molto bravo di fatti autonomi ed è per questo che merito riconoscenza dal mio Paese. Si sono precisamente un buon fabbricante". "Certo" insistono ancora i razionalisti irritanti e maleducati tanto a Parigi che a Rio: "Ma i suoi microbi sono fabbricati o reali?". "Non posso ottenere l'oggettività senza la fabbricazione. Se voi levate la mia buona fabbricazione, qui in laboratorio, non avrò più neanche i fatti, poiché sono un buon sapiente". "Si ma noi..." esclamano più esasperati i razionalisti: " Noi vogliamo dei fatti senza fabbricazione". "Allora signori" risponderebbe Pasteur prima di buttarli fuori dalla porta del suo laboratorio: "Voi non avrete neppure i fatti!".
Così il razionalismo e la tradizione razionalista propongono una scelta tra "E' reale o è costruito?" che, né dal lato del sapere né dal lato della credenza, corrispondono alla pratica. Il mio metodo, a riguardo, consiste dunque a prendere la semplice decisione di non porre proprio più questo tipo di domanda.
E questo il "faitiche", questo nome un po' barbaro che ha precisamente lo scopo di ricordare che la domanda non si pone mai. E se non si pone mai, non è per una sorta di relativismo molle che vorrebbe dire che in fondo, come Ponzio Pilato, ci si può lavarsene le mani della domanda sulla verità. Al contrario, bisogna rifiutare la domanda chiave dei razionalisti, per cercare infine di capire cosa significa costruire delle verità indiscutibili. Questa "grande domanda" che occupa il dibattito tra razionalisti e irrazionalisti, è ininteressante, non ha senso, non tiene occupati i produttori, i costruttori, i fabbricanti di sapere e nemmeno i produttori, i costruttori, i fabbricanti di credenze.
In ogni caso, non è ciò che distingue il sapere dalla credenza. Ma allora, e sarà il mio quarto ed ultimo passaggio, che cosa tiene occupati questi fabbricanti di verità? Qual'è la vera differenza tra di loro?
Per tentare di rispondervi, bisogna passare dal razionalismo corto o prematuro a ciò che propongo di chiamare il razionalismo lungo e lento. In entrambi i casi bisogna cambiare i termini della domanda e non porsi più la domanda "E' reale o è costruito?" ma piuttosto questa: "E' costruito bene o è costruito male?". "Sono dei fatti buoni? I vostri fatti nel laboratorio sono interessanti?".
Da quando sono entrato in laboratorio con il mio primo mentore Roger Guillemin, ormai parecchi anni fa, mi sono sempre posto questa domanda proprio perché non l'ho mai sentito parlare di verità ma sempre discutere di ciò che è interessante o meno.
Cosa vuol dire uno scienziato quando si chiede: "E' interessante?".
Rischiando di impressionare gli organizzatori di questo convegno e di attentare alla legge dell'ospitalità, io dirò che gli oggetti che rendono così furiosi i razionalisti e che tengono tanto occupati coloro che chiamiamo gli irrazionalisti, non mi sembrano molto interessanti. Sono mal costruiti. Per essere più educato, più amichevole e forse più diplomatico, dirò che perseguono degli altri scopi che non hanno assolutamente niente a che vedere con una domanda epistemologica che richiederebbe delle prove comparabili a quelle delle scienze. Tutti questi oggetti del genere dischi-volanti mi sembrano piuttosto disegnati per fare arrabbiare i razionalisti. E questo, bisogna riconoscerlo, è un motivo ragionevole e perfettamente comprensibile. Far imbestialire un razionalista con un disco-volante, alla cui esistenza l'irrazionalista si tiene stretto coi denti come un bulldog, per potergli impedire di riempire il mondo semplicemente di pianeti e cosmo, devo riconoscere che è interessante. E' il piccolo granello di sabbia che impedisce di credere che il razionalismo possiede una buona politica. Forse si tratta di cattiva scienza, è della parascienza, vedi della patafisica, ma è una buona politica. Resistere.
Resistere è sempre una buona politica. Ma giustamente, se non sono mai riuscito ad interessarmi di un solo di questi argomenti delle parascienze, è per la ragione che non praticano in modo chiaro la politica delle loro ambizioni. Gli oggetti a loro cari mi sembrano sempre mal costruiti, dal punto di vista che ho sviluppato sin qui, poiché giustamente non sanno rispondere meglio dei razionalisti alla domanda della buona o della cattiva costruzione. Si ostinano, al contrario, a porre in ogni momento, la sola domanda che parrebbe loro importante senza rendersi conto che essa gli è stata suggerita dagli razionalisti: "I fenomeni di cui parliamo sono veri o falsi?".
Ciò che ho scoperto leggendo ormai da diversi anni le ricerche di Pierre Lagrange, è che i soli che davvero si interessano esclusivamente alla cattiva domanda "Questi fatti sono veri o falsi?" sono gli irrazionalisti! Ecco chi mi è sempre sembrato di una bizzarria stupefacente.
Sono i discovolantisti che si occupano solamente dei fatti veri e di quelli falsi.
Sono i parapsicologi che si ostinano all'infinito a dire "Noi abbiamo dei fatti veri".
Ciò che interessa un vero psicologo non è affatto "E' vero o è falso?", questa è certo una domanda importante, ma secondaria, una domanda d'intendenza.
Piuttosto la domanda è : "Ciò è interessante? Porta da qualche parte? Ci permette di fare qualcos'altro?".
Ora, le parascienze credono che la sola ed esclusiva domanda che permette loro di rispondere alle altre, è molto bonariamente e molto stupidamente: "Ciò è vero?".
Per loro, se fosse vero sarebbe sufficiente. Ma invece non ci basta. Dite ad uno scienziato che un fenomeno è vero e vi risponderà: "So what? Dove ci porta? A che cosa lo si può collegare? Che cos'altro ne possiamo fare? E' costruito bene?". Ecco delle buone domande.
Il paradosso delle parascienze, per me, è che le sole persone che in questo problema sono ostinatamente convinte che la domanda epistemologica è la sola domanda importante, sono precisamente gli irrazionalisti, ossia quelli che trattengono questi oggetti per far imbestialire, per disturbare o per resistere... Gli altri, i sapienti, i ricercatori, non hanno affatto questa credenza, avvinghiata a loro, nelle virtù dell'epistemologia.
E' per questa ragione, d'altra parte, come l'ha dimostrato Doury, nei dibattiti sulle parascienze, che gli scienziati perdono quasi sempre. Non riescono a restare sul terreno epistemologico che i loro avversari dominano in generale molto bene. Ancora una volta resistere è bene, ma non è per niente sufficiente come politica.
Il vantaggio della mia ipotesi è, a mio parere, che essa permette di capire perché la scelta degli oggetti attraverso i quali le parascienze hanno scelto di resistere poggia su degli oggetti pseudo o para scientifici. Perché, in effetti, fare resistenza con degli oggetti che assomigliano al tipo di fenomeni di cui parla la fisica, l'astronomia, la psicologia? Dopotutto se si trattasse veramente di resistere a delle definizioni moderniste del mondo, lo si potrebbe fare con dei veri feticci, delle vere religioni. Ci sono mille modi di resistere politicamente al mondo che i razionalisti vogliono costruire senza discuterne. Perché andare a cercare degli oggetti che sono sempre un po', ma non del tutto, come quelli delle scienze, degli oggetti che sono se così si può dire "fattoidi"?
Notate che questi oggetti sono appena somiglianti a quelli delle scienze perché si possa affermare che esiste "una grave domanda epistemologica", che si tratti di planetologia, di criptozoologia, di paramedicina, di astrologia, ma mai sufficiente per essere coinvolta nella grande storia dei dati scientifici che giustamente esigono una risposta, non alla domanda "è vero" ma piuttosto "è interessante"?
Secondo me è precisamente perché i parascientifici aderiscono all'immagine che il razionalismo ci ha dato delle scienze, che i loro oggetti assomigliano a degli oggetti scientifici, secondo l'immagine strana che si fanno dell'attività sapiente.
Vogliono imitare l'epistemologia e la sua politica ma non la realtà pratica delle scienze che perseguono tutt'altri scopi e che rispondono a domande politiche assai differenti.
I parascientifici cercano di riprodurre l'atto di forza dei razionalisti senza accorgersi che non parlano assolutamente di scienze vere, ma che desiderano solamente chiudere la bocca ai loro oppositori con dei fatti non fabbricati che sfuggono, di conseguenza, alla domanda fondamentale della buona costruzione.
Senza questa ipotesi, non vedo assolutamente alcun motivo per interessarsi di criptozoologia, o di paramedicina, quando c'è già tanto da fare con la zoologia e la medicina! Se non si fosse trattato solo di imitare e far arrabbiare i razionalisti, ci si sarebbe occupati di oggetti davvero interessanti, come per esempio quelli delle scienze. Ma perché occuparsi di parascienza? Di certo questi oggetti possiedono una capacità politica a resistere ma soffrono, a mio parere, di un difetto irrimediabile: non si può porre per quanto li riguarda la domanda: "siete ben costruiti o mal costruiti?", cosa che non è affatto il caso per gli oggetti veramente scientifici o per le credenze veramente religiose che sono, al contrario, ossessionati da questa domanda.
I "fatti" parascientifici si ostinano a dire: "Noi non siamo costruiti! noi siamo veramente scientifici". Non avete fortuna alcuna, signori parascientifici, voi state sbagliando bersaglio: se foste veramente come gli scienziati, vi si potrebbe porre la domanda della buona costruzione poiché i veri fatti scientifici costruiscono i loro oggetti e li riconoscono volentieri, almeno quando si decidono ad abbandonare la fragile difesa che gli epistemologi offrono loro. Sono sgradevole nei confronti dei parascientifici, lo riconosco, ma in fondo non si può trattare la domanda dell'allargamento del razionalismo se uno cerca solo e semplicemente di piacere. Perché i parascientifici restano lontani dai veri oggetti interessanti ai quali si può porre la domanda: "Siete costruiti bene o male?". Perché bisognerebbe superare gli stessi anatemi che hanno pronunciato i razionalisti contro la religione e contro i feticci. Detto in altro modo, razionalisti e parascientifici non condividono solo una identica epistemologia ed una identica politica, ma condividono pure le stesse inibizioni.
Perché, ad esempio, se si deve proprio resistere alla composizione prematura di un mondo comune, non scegliersi degli oggetti veramente religiosi, degli oggetti capaci di salvare, dato che dopo tutto, il problema della salvezza è un problema che i razionalisti non hanno mai considerato e che è senza contesto vitale. Il caso delle immagini cattoliche del quale ho parlato prima è un caso evidentemente particolare, ma ve ne sono molti altri dove la domanda "E' costruito bene o è costruito male?" si pone costantemente. Dopo tutto il problema delle buone immagini e delle cattive immagini ha impegnato e continua ad impegnare in un lungo dibattito tutta la storia occidentale della religione da dopo Abramo fino ai talebani.
Perché dunque interessarsi a degli oggetti parascientifici poco interessanti fatta salva la loro capacità di resistere quando vi sono talmente tanti oggetti che, loro sì, avrebbero la capacità di salvezza e per i quali la domanda "ben costruiti o mal costruiti" si porrebbe nettamente?
Secondo esempio: perché non interessarsi agli oggetti terapeutici, quegli oggetti che non hanno come scopo la salvezza ma la guarigione? Faccio questa domanda sotto l'influenza del mio amico Tobie Nathan che produce nella cura rechiana etnopsichiatrica, dei feticci, dei veri feticci capaci di interrogare le divinità, e che si occupa di oggetti molto più strani, ma anche assai più vitali che i dischi volanti o l'astrologia. Vi è in quelle sedute terapeutiche, una proliferazione di esseri, di divinità capaci di guarire e, dopo tutto, guarire è una di quelle attività essenziali per la quale il razionalismo non è mai riuscito ad essere di grande utilità.
La mia domanda è perciò questa: perché andare sempre a cercare oggetti che hanno l'apparenza di oggetti scientifici quando ci si può interessare di ben altri oggetti che, loro sì, hanno le capacità di resistenza evidentemente enorme ma anche le capacità di salvezza e di guarigione altrettanto grandi?
Direi, per concludere, che non è sufficiente far arrabbiare i razionalisti per creare interesse. Certo poteva essere salutare irritare i razionalisti all'inizio, negli anni cinquanta, o sessanta o anche settanta, perché essi rappresentavano in qualche modo una egemonia sulla definizione di mondo esterno ed obiettivo, che pretendevano di unificare e definire al nostro posto come mondo comune senza dibattito, e che volevano riempire in modo tale che non restava altro, a quelli che lo contestavano politicamente, che delle soggettività soggette all'errore e delle interiorità senza accesso al mondo.
Ma direi che ora, nel 2001, il problema è completamente rovesciato e che bisogna piuttosto proteggere quella specie in via di estinzione che sono i razionalisti. Solleticare i razionalisti aveva un aspetto corroborante che ora non ha più.
Ora la domanda completamente nuova è quella della costituzione di un mondo comune: in quale mondo siamo capaci di vivere collettivamente e di quali esseri deve essere progressivamente composto? Sono ben d'accordo che a questa domanda i razionalisti non hanno diritto di rispondere dicendo che questo mondo comune è già costituito una volta per tutte, sotto forma di qualità prime e che noi il vulgus pecus, non abbiamo diritto che a disaccordi soggettivi. C'è in questo effettivamente qualcosa di politicamente indegno.
Si tratta in questo caso, come dice Isabelle Stengers di una tolleranza intollerabile che taglia corto le esigenze della diplomazia e che permette di sbarazzarsi del problema rinviando tutti i disaccordi all'irrazionalità e alla soggettività.
Si, il razionalismo era davvero un po' corto, pretendendo di risolvere troppo velocemente il problema della composizione del mondo comune. Ma se c'è qualcosa di politicamente inutile per la composizione di questo mondo comune, è quella di cercare semplicemente di produrre oggetti che hanno la forma di oggetti scientifici ma che non si prestano alla domanda della buona costruzione solo per lasciare la porta aperta e per imbestialire i razionalisti. Ciò era politicamente interessante nel momento in cui il razionalismo pretendeva di occupare il mondo, ma ora non lo è più, a mio parere dal momento che il problema diventa di sapere in che mondo dobbiamo vivere e quale forma di vita comune, quale cosmogramma dobbiamo condividere.
Questo è il problema del razionalismo lungo e lento, quello che ci permette di riprendere l'ambizione del razionalismo corto, ma con altri mezzi, altre istituzioni, un'altra filosofia della natura, un'altra ontologia. Ma questo sarà oggetto di un'altra conferenza.

*Traduzione N. Conti, pubblicata on web la prima volta nel 1 luglio 2005