giovedì 29 ottobre 2009

28 ottobre 2009. L'IPOTESI DEL LAGO CHEKO PER SPIEGARE IL FENOMENO DELLA TUNGUSKA (1908)

L'inserto del giornale LA STAMPA, "Tuttoscienze" (28 ottobre 2009), ritorna sull'ipotesi degli studiosi bolognesi, che vedono nel lago Cheko, l'impronta lasciata da un meteorite nel momento del supposto impatto nel lontano 1908, quando una luce attraversò un ampio pezzo di cielo e si sentì una forte esplosione.
L'ipotesi fa seguito alle prime missioni condotte nel 1991 dagli studiosi bolognesi Giuseppe Longo e Menotti Galli.
Fu in seguito Luca Gasperini a notare la forma sospetta del lago Cheko che poteva ben essere stata causata da un impatto.
A questo punto urgerebbe una ulteriore missione di trivellazione del lago ma, come fa notare Longo, mancano i fondi.
E' bene precisare, come fa l'articolo di Tuttoscienze, che l'ipotesi trova anche critici tra gli esperti di Tunguska come lo studioso russo Vladimir Rubtsov (autore di "Tunguska Mistery"), secondo cui il meteorite non spiega tutto.

giovedì 22 ottobre 2009

ottobre 2009. ARTICOLI RECENTI SU TLE & SPRITES

1) E' uscito di recente un articolo dell'esperto di chimica dei TLE,Enrico Arnone, et Al., centrato sulla "firma" CO2 lasciata dai TLE nella stratosfera e mesosfera.

Arnone Enrico et Al., "Title: Seeking sprite-induced signatures in remotely sensed middle atmosphere NO2: latitude and time variations", riv. "Plasma Sources Sci. Technol. ", vol. 18, IOP PUBLISHING, 15 luglio 2009.

L'articolo è disponibile alla Url:
http://wwlln.net/publications/Arnone_et_al2009_PSST_MIPASpriteIb.pdf

2) Dobbiamo a C. Haldoupis, et Al., uno studio sui disturbi VLF in relazione a TLE con particolare riferimento a Sprites e Halos:

Haldoupis C., Á. Mika, & S. Shalimov, "Modeling the relaxation of early VLF perturbations associated with transient luminous events", riv. "J. Geophys. Res.", 114, 17 ottobre 2009.

[info Renzo Cabassi]

mercoledì 14 ottobre 2009

9-10, 12-13, 13-14, 14-15 e 16 ottobre. "ONDATA" DI SPRITES

La rete italiana di rilevamento meteore e TLE (Transient Luminous Events), IMTN, di cui fa parte anche il nostro CIPH, con due sue stazioni SOSO (Idice, Bologna) e SOSO2 (Medicina, Bologna), ha ripreso una serie innumerevole di eventi Sprites.
Ci vorrà ancora un pò di tempo per fare il punto della situazione creatasi sui cieli italiani, ma è la prima volta che una serie di telecamere riprende in diverse zone del territorio italiano eventi Sprites.
Siamo ancora in una fase di sviluppo della rete IMTN che sarà senza ombra di dubbio la rete di rilevamento più ampia d'Europa.
In questo momento si stanno mettendo a punto nuove strumentazioni e nuove stazioni, per una copertura ottimale del territorio .

[fonte : Renzo Cabassi, Ferruccio Zanotti, in forum IMTN, http://meteore.forumattivo.com/sprites-f24/]

martedì 6 ottobre 2009

Ottobre 2009. IL PERCHE' DI QUESTO BLOG

IL LABORATORIO DELLE ANOMALIE TRA SCIENZA E PARASCIENZA

[Articolo Nico Conti]

Premessa

Quando poco più di un anno fa ho intitolato il mio blog personale "Il laboratorio delle anomalie", intendevo, in un tentativo di sintesi possibilmente felice, dare una indicazione abbastanza precisa circa gli argomenti che vi avrei sviluppato al suo interno e le modalità.

Stabilendo che si trattava di un "laboratorio", pensavo agli studi del sociologo francese Bruno Latour [1], ed intendevo un luogo sul web attento al come fare e al come produrre innovazioni scientifiche attraverso pratiche scientifiche attorno alle anomalie, ed infine volto a dare un piccolo contributo ad una comprensione migliore della scienza dei limiti: in altre parole di tutta quella scienza che per forza di cose si trova in posizione confinante e talvolta sovrapposta agli argomenti trattati dalle parascienze e alle conoscenze pregresse.

La scienza normale ha a che fare quotidianamente con anomalie, alcune delle quali però non sono accettate nel suo ambito per una serie di ragioni che cercherò di tracciare con il supporto dei pochi studi fin qui svolti in ambito sociologico.

L’idea proposta dal presente blog è che i problemi posti dalle parascienze (con particolare riferimento ai problemi dell’ufologia) potessero trovare un tentativo di soluzione in un qualche tipo di alleanza tra la sociologia delle scienze e le scienze dure; per questo avevo messo insieme un termine molto pratico come laboratorio insieme ad un termine essenzialmente teorico (e per certi versi indeterminato) come anomalia.

In questo mio laboratorio [2] avrei tentato di capire come gli scienziati ed i tecnologi ricercatori cercano o meno di com-prendere quei fenomeni definiti appunto come "anomalie". In altre parole considerare l’idea che ogni tipo di anomalia trattata come pseudo-oggetto posto al di là degli schemi scientifici in realtà possa celare problemi interessanti per le scienze.

Quanto al termine "anomalia" ho preso spunto iniziale dal lavoro di un collezionista dell’insolito e di out-of-place-artifacts (oggetti fuori posto) quale era stato nella prima metà del secolo scorso Charles H. Fort [3] e più tardi, ai giorni nostri, il suo epigono il divulgatore scientifico William R. Corliss.

Pochi si sono presi la briga di collezionare anomalie che potessero avere risvolti scientifici (e nessun’altro in una forma così ampia come questi due autori). Nel primo caso le anomalie catalogate da Fort erano dei veri e propri "dannati", e così li definiva nel suo libro più famoso.

Per Fort la scienza sembra avanzare in base al solo principio di autorità (è lo scienziato in quanto tale a poter definire ciò che è vero e ciò che è falso) ed in base ad un metodo ad escludendum, fondato su dogmi: i fatti dannati di Fort sono prima di tutto degli esclusi dalle scienze proprio perché le scienze sono dogmatiche. C’è qualcosa di vero in questa visione, ma Fort la porta alle estreme conseguenze, tanto da porlo per molti versi al di fuori di ogni tipo di scienza (critica aspra e ironica della scienza, ipotesi surrealiste, etc.).

Il termine "anomalia", viene in seguito espressamente utilizzato da Corliss, per la catalogazione di questo tipo di fatti bizzarri ed inspiegati che si metterà a raccogliere proprio in seguito alla lettura di Fort.

Corliss aveva notato nella sua ricerca di biblioteca, che il termine non era molto adottato dalla letteratura scientifica.

Solo di recente se ne fa un uso molto più esteso nelle patologie del corpo umano, nella fisica delle particelle e nell’astrofisica. L’utilizzo di questo termine è apparentemente neutro, ma in realtà si rivelano una serie di indeterminatezze interessanti, di confini ampi tra ciò che è una anomalia accettata e una solo supposta, che cercherò di analizzare nelle prossime pagine, facendo il più attenzione possibile a come viene praticato.

Quanto all’uso che ne fa Corliss, la sua ampia catalogazione è una operazione che vuole restare all’interno della scienza, e senza eccessivo spirito critico nei confronti degli scienziati, perché vuole essere di stimolo a nuove ricerche scientifiche.

Ma tale catalogazione è tutt’altro che ortodossa rispetto alla pratica scientifica: gli scienziati non collezionano farfalle.

Vi è chi pensa che ogni tipo di conoscenza sia fondamentalmente una pura e semplice "costruzione sociale", e che la sua accettazione o rigetto dipendano dalla contrattazione e dal consenso all’interno di un determinato collettivo sociale. Il rigetto di una anomalia o di una dottrina parascientifica significherebbe che i "parastudiosi" non sarebbero stati abbastanza abili da negoziare l’accettazione delle loro idee. Parte della sociologia attuale ha parlato diffusamente di questa "costruzione".

Ma ovviamente questo concetto di puramente "costruito" rende fragile l’intera concezione di una realtà "reale".

Si deve considerare piuttosto un tipo di costruzione e di socializzazione delle anomalie, e in modo più ampio della realtà, dove gli attori non sono semplici produttori feticisti di idee astratte, ma di feticci che funzionano concretamente e che sono frutto di pratiche specifiche che, appunto, li socializzano. In altre parole i fatti prodotti dalla scienza, come suggerisce Latour, sono una sorta di feticci che funzionano meglio degli altri, perché meglio costruiti, e più autonomi [4].

Se consideriamo il modo con cui la predizione della teoria della relatività di Einstein ha trovato conferma sperimentale nelle osservazioni di Eddington, si può constatare come entrambe siano legate da una serie di mutue conferme circolari, che non sono indipendenti l’una dall’altra, come ci si dovrebbe aspettare dall’idea convenzionale che abbiamo del fare scienza come una verifica convenzionale. I sociologi Harry Collins e Trevor Pinch ci spiegano che nessuna di queste esperienze, considerate a sé stanti, era stata decisiva, ma che tutte insieme formavano un movimento che sollevava ogni reticenza residua nell'ambito del mondo scientifico. Evidentemente non c’era una semplice realtà, là fuori, in attesa di essere scoperta, ma un processo più complesso di scientificazione della realtà. Spiegano Collins e Pinch a proposito di questo processo: "Se lo si compara, per contro, con la nozione idealizzata di "metodo" scientifico, nel quale le esperienze obiettive impediscono che il partito preso degli osservatori influenzi le loro osservazioni, allora esso sembra molto più prossimo alla politica" [5].

Potrebbe sembrare presuntuoso considerare le anomalie delle parascienze qualcosa di comparabile alle anomalie generate dalla teoria della relatività di Einstein, ma vedremo che la definizione di anomalie è un processo che comporta pratiche molto simili.

In queste pagine, tra le tante analisi, cercherò di capire perché l’apporto di "collezionisti" di anomalie, come Corliss, non ha funzionato da innesco della miccia di nuove ricerche scientifiche, e in ultima analisi sul come una anomalia diventa o non riesce a divenire un fatto normale.

Cercherò di riportare qualche esempio di situazioni concrete attraverso le quali questa divisione tra oggetti scientifici ed oggetti parascientifici viene costruita o eventualmente decostruita, tentando di mettere in atto un’analisi il più possibile simmetrica.

Riprenderò in questo articolo quelli che mi sono sembrati i principali contributi apportati dalla sociologia delle scienze e delle parascienze a riguardo delle anomalie.

Cercherò anche di andare a scovare alcuni concetti sociologici in altre discipline che poco sembrano avere a che vedere con la sociologia, come ad esempio la psicologia comportamentale, per pensare alla coscienza come ad un certo tipo di pratica e di relazione col mondo caratterizzata storicamente e socialmente.

A questa sintesi analitica sul come vien concretizzata la scienza delle anomalie aggiungerò alcuni miei ragionamenti cercando di riordinare e riorganizzare quanto è stato definito fino ad oggi a tale riguardo.

La domanda di un confine ben definito come frontiera alla deriva irrazionale

E’ evidente che a proposito delle anomalie parascientifiche è in corso da decine di anni un dibattito apparentemente nuovo, ma non tanto tra gli scienziati, non nei loro laboratori, nei loro articoli, nei discorsi tra di loro o nelle loro pratiche, ma piuttosto in una parte della società.

Si è trattato di un dibattito tra sordi che ha visto spesso in campo scettici e credenti circa le parascienze e che, a partire da posizioni inconciliabili, si sono posti prima di tutto il problema se certi fenomeni dovessero o meno essere argomento di scienza o se fossero solo da relegare nell’ambito della credenza pseudoscientifica (il termine è dispregiativo).

Talvolta in questo dibattito si sono inseriti anche scienziati ed addetti ai lavori, ma non nel loro ruolo di operatori delle scienze, ma di epistemologi improvvisati, il che ha contribuito solo a rendere la controversia maggiormente slegata dalle pratiche quotidiane di chi "fa scienza".

Ne sono nate controversie assai astratte, relegate al mondo delle idee e senza particolari conseguenze nella pratica scientifica, controversie che hanno discusso dapprima gli argomenti del paranormale e successivamente dell’ufologia, della criptozoologia, etc… [6]; gli esperti scettici e credenti hanno contribuito, loro sì, a generare una mitologia delle parascienze, laddove invece eravamo semplicemente in presenza di testimonianze di anomalie.

Si è trattato di controversie dove di fatto una parte degli "esperti" non riconosceva all’altra parte contendente titolo alcuno per affrontarle: in altre parole ciò che può giustamente definirsi un dibattito immobile.

Di rado gli scienziati sono entrati in questa arena filosofica, e questo rigetto sembra essere stato molto più pratico che ideologico poiché ha evitato il dibattito tout-court (sottolineo "sembra").

Spesso si è parlato di opportunità nell’applicazione del principio di cautela a proposito di questi "supposti fenomeni", ma più spesso ancora certi lavori e commenti critici messi in atto da componenti della comunità scientifica sono stati molto più semplicemente dei "tentativi di ridimensionamento" [7] ed un modo per tenere ben distinte le scienze dall’anomalistica [8].

Ci sono ragioni, sul fronte della scienza, per non credere che un certo tipo di anomalie possa esistere, e sono ragioni di tipo sia teorico che pratico. Gli scienziati possono in primo luogo argomentare che tutto ciò che sappiamo va contro la possibilità di certe anomalie, ed in secondo luogo che evidenze per dimostrare questa possibilità sono sempre state molto scarse. Essi possono così concludere che si tratta semplicemente di rappresentazioni erronee. Quindi la scienza ricorre ad entrambi gli argomenti affermando che ci sono buone ragioni per non credere e scarse evidenze per confermare le anomalie [9].

E’ abbastanza chiaro che nella nostra società le affermazioni che non giungono a legittimazione sono quelle che vengono rigettate dalla comunità degli scienziati professionisti. Ed è dimostrato che gli interessi specifici degli scienziati ed i paradigmi consolidati giocano un ruolo consistente nel fondare i confini della nostra conoscenza. Parliamo in altre parole del potere sociale del collettivo scientifico che attraverso le controversie (che hanno come uno dei principali obiettivi la determinazione dell’errore) stabilisce questo confine [10].

A ben vedere esiste da sempre un vero dibattito mobile contrapponibile alla diatriba tra scettici e credenti (quelli del dibattito immobile), ed è quel tipo di contrasto che nell’arco della storia delle scienze fa discutere gli scienziati con le anomalie: le anomalie in modi diversi si confrontano con le credenze scientifiche (fatte di idee, ipotesi, teorie, paradigmi, etc.).

Questo dibattito mobile tra scienziati consiste in una particolare retorica, affinata a partire dalla nascita della scienza moderna, attraverso la quale si tende a fare parlare i fenomeni, attraverso esperimenti, correlazione di dati, modelli, etc.: per dirla alla Latour il fenomeno è un feticcio che parla autonomamente (perché a tale scopo è stato costruito) ai propri costruttori, gli scienziati …

Mentre sull’altro fronte il dibattito immobile si è irrigidito in interminabili diatribe tra coloro che ad esempio credono ai dischi volanti (la maggior parte degli ufologi), e coloro che credono che il proprio scetticismo sia l’unica via per (non dover) interpretare le testimonianze di fenomeni strani quali gli Ufo [11] (penso all’associazione scettica internazionale CSICOP, che ha un corrispondente nell’italiana CICAP e in associazioni ufologiche come il CISU).

I fatti scientifici parlano a partire da una base di incertezze, che muovendo da modelli, portano a teorie, mentre i "dati" degli esperti scettici e credenti, si sviluppano su contrapposte certezze, e a complicare la situazione la contrapposizione è spesso più apparente che reale.

Infatti quello che sembra il discorso basato sul dubbio, in realtà non è espressione di vero scetticismo ma di disillusione rispetto alle iniziali aspettative che avevano messo in moto la loro curiosità di ufologi.

Anche in questo tipo di dibattito sociale sulle anomalie un punto della discussione verte proprio sulle evidenze, sulla loro mancanza, e quindi sull’esistenza stessa delle anomalie in questione, che tendono così a rimanere all’interno di una categoria di "deviant phenomena". Quali evidenze supportano l’esistenza stessa di certi fenomeni "devianti"? Questa questione è stata la maggior preoccupazione della letteratura di anomalistica, ovvero la qualità delle evidenze a supporto: testimonianze visive, tracce fisiche, fotografie, etc. … [12].

Il problema dell’evidenza dell’anomalia "deviante" (quella delle parascienze) non è diverso da quello richiesto nella anomalia validata dalla scienza (si pensi al caso dei meteoriti di Biot che verrà ripreso in queste pagine).

Sull’impressione erronea che si tratti di diversi tipi di evidenze, necessarie alla scientificazione dell’anomalia (come se ve ne fossero di due tipi, una deviante ed una no), si incancrenisce il dibattito.

Vedremo invece che uno dei problemi fondamentali delle anomalie non consiste nella mancanza di evidenze, ma nel modo disorganizzato ed inefficiente di trasmissione dei dati [13].

Ma quando parliamo ad es. di anomalia Ufo di cosa stiamo esattamente parlando? Parliamo della possibilità di visitatori extraterrestri o piuttosto di fenomeni sconosciuti in atmosfera? Parliamo di errori percettivi ed allucinazioni? Di allucinazioni provocate da fenomeni naturali sconosciuti? La disputa purtroppo rimane sempre prevalentemente a livello filosofico e, iniziata nel 1947 l’anno ufficiale del primo avvistamento di "dischi volanti", non rischia certo di produrre pratiche di tipo scientifico, dato che non trova alcun punto di condivisione tra gli interessati all’argomento.

Lo stesso concetto "Ufo" rimane un indeterminato e non c’è neppure una identità di vedute circa cosa debba essere chiamato col termine di Ufo, se non il fatto che il testimone stesso riferisca certe sue esperienze come avvistamenti di Ufo e non altrimenti.

Uno dei principali scopi dell’ufologia è quindi quello di definirne i confini e la propria materia di studio. Ma dato che questi confini variano a seconda dell’investigatore, ciò significa che tali confini sono ampi e gli scopi diversi [14].

Inoltre a complicare la situazione entrambi i contendenti, scettici e credenti, condividono ciò che possiamo definire una "sacralizzazione" del metodo scientifico, mentre di fatto le pratiche scientifiche vengono escluse.

E, vi è ancora, a ulteriore complicazione, una certa ostilità verso gli scienziati accusati di trascurare l’argomento degli Ufo, quando non anche, nei casi estremi l’accusa di far parte di un complotto politico-militare per nascondere la verità.

Il richiamo all’utilizzo del metodo scientifico è comunque universale nel campo dell’ufologia: ogni ufologo, al di là delle proprie convinzioni sull’argomento, difende "la" metodologia scientifica mentre, alla prova dei fatti, le metodologie di inchiesta e di analisi variano ampiamente tra gli ufologi [15], e non potrebbe essere diversamente.

In realtà si tratta di uno scontro tra chi fa "affermazioni straordinarie" su "eventi straordinari" e chi riduce il tutto ad una richiesta generica e al tempo stesso ridondante di "prove straordinarie". Ma perché non basterebbe una semplice prova? [16].

Quanto al metodo, già numerosi sociologi a partire da Collins hanno analizzato ciò che risulta essere in concreto un "corretto metodo scientifico di lavoro" nell’ambito di un collettivo di scienziati che operano in un’area controversa, collettivo che definisce core-set. Questo metodo corretto non può mai essere conosciuto, nei suoi aspetti più importanti, prima che la controversia sia risolta.

In ultima analisi anche il significato di un "esperimento adeguato" alla controversia ("competent experiment") è frutto di una negoziazione all’interno di questo collettivo di scienziati, dove non sono escluse contingenze sociali esterne che giocano anch’esse la loro parte nelle negoziazioni.

Collins arriva a concludere che le nostre certezze scientifiche ci provengono più dall’esperienza sociale interna al core-set che dall’esperienza pratica sperimentale (ed ecco perché qui parliamo di pratiche scientifiche piuttosto che di metodo).

Il metodo scientifico è innanzi tutto un processo sociale con tutto ciò che comporta, ma questo non significa che tali influenze rendano la scienza meno rispettabile, siamo piuttosto di fronte ad un fattore inevitabile: "l’inevitabile processo sociale del metodo scientifico" [17].

Le ricerche scientifiche non sono immuni dalle componenti sociali (social forces) [18].

Ecco quindi, che se accettiamo di desacralizzare il metodo scientifico (pur riconoscendo la massima utilità ed efficacia alle scienze) avremo ben chiaro come il dibattito tra gli appassionati delle parascienze sia del tutto irrealistico.

Ci deve essere, se analizziamo le pratiche scientifiche (per quello che sono in concreto e non per quello che ci piacerebbe fossero), una soluzione diversa a questo modo astratto di relazionarsi alle anomalie messo in campo dai contendenti al di fuori dalla scienza.

Questo probabilmente riguarda un modo diverso di porsi le domande sui supposti fenomeni e di porre le domande alle anomalie (di farle "parlare", di "socializzarle"), che assomigli di più a quello messo in atto dagli scienziati per tutti i problemi scientifici ordinari.

"Quali dati scientifici sto cercando di isolare e produrre per dare risposte al testimone e per interagire con il supposto fenomeno?". Questa potrebbe essere una prima domanda per porre eventi come gli Ufo nell’ambito delle problematiche scientifiche e non in un limbo discorsivo di pretese opposte in cui, peraltro, la pratica scientifica non viene neanche sfiorata.

Quindi, se è vero che la scienza è innanzi tutto un inevitabile processo sociale, è vero anche che essa contratta al suo interno le sue certezze attraverso modalità e pratiche specifiche, ben diverse da quelle messe in campo dagli appassionati del mistero (pro e contro).

E’ quindi comunque bene precisare, ancora una volta, che il confine tra scienza e parascienza non è così netto come alcuni vogliono credere o farci credere; non si tratta di un confine definibile con precisione, ed è anche un confine mobile dove i paletti vengono rimossi e riposizionati attraverso una serie di strategie che gli attori del mondo scientifico mettono in opera [19] sia nel breve che nel lungo periodo.

Invece, nel dibattito immobile il confine resta stabile, immutabile. Quando gli ufologi affermano che "la scienza non vuole interessarsi di Ufo" oppure che "ci nascondono la verità", mentre gli scettici insistono sulla fallibilità del testimone, è chiaro che entrambi pongono l’argomento Ufo distante dalla scienza, al di fuori dei suoi territori.

Beninteso, la scienza non si interessa di Ufo e di altri misteri in modo esplicito come gli appassionati pretenderebbero: quando qualche scienziato si è interessato di testimonianze Ufo e di altre anomalie lo ha fatto in modo discontinuo e/o isolato dal resto della propria collettività scientifica di appartenenza [20].

Ma come non vedere in un progetto quale il SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence) qualcosa che emana dall’idea di uno stesso problema che gli Ufo sollecitano? Il SETI è in qualche modo un tentativo di risposta al noto paradosso di Fermi: se non sono qui sulla Terra li cerchiamo strumentalmente più lontano. Eppure i ricercatori del SETI, ma anche gli ufologi stessi, tendono a mantenere nettamente separati le due tematiche, come a volersi nascondere l’uno all’altro la stessa spinta fondante della loro ricerca [21].

Raramente gli esobiologi o gli astrofisici del SETI si sono interessati di Ufo [22] anzi per lo più si sono nettamente demarcati dall’argomento per tutti questi anni, sin dalla nascita del progetto di ascolto.

Ma ultimamente come ha rilevato Pierre Lagrange, sempre più di frequente, assistiamo al fatto che l’argomento Ufo entra nei seminari del SETI: all’ultimo seminario SETI a Parigi, settembre 2008, hanno parlato diversi ricercatori che nella loro storia hanno avuto a che vedere con lo studio dei fenomeni Ufo, e vi è stata anche una relazione sulle "Luci di Hessdalen" del tecnologo ricercatore norvegese Bjorn G. Hauge. Questo potrebbe significare che stiamo assistendo ad un qualche spostamento di confine nell’ambito del collettivo di ricercatori del SETI che peraltro è sempre stato riconosciuto essere all’interno dei binari della scienza, seppur di stretta misura.

Che i confini tra scienza e parascienza siano mobili è ancora più evidente se prendiamo alcuni esempi dal passato. Oggi infatti nessuno metterebbe in dubbio che l’astrologia debba starsene zitta e buona nell’ambito della magia, mentre sappiamo che la scienza rinascimentale ne fece ampio utilizzo accanto all’astronomia. Così pure, per abbondare in esemplificazioni, nessuno scienziato odierno porrebbe Nostradamus tra i suoi colleghi, mentre egli era sicuramente a tutti gli effetti un uomo di scienza del suo tempo [23].

Nostradamus era medico ed astrologo e nella sua epoca tra medicina ed astrologia, per quanto possa sembrarci strano, la separazione non era così rigida. Per capire perché si sia assistito ad un sempre maggior successo della medicina e ad un declino dell’astrologia la ragione non deve essere ricercata nella differenza del loro potere cognitivo, ma piuttosto su come sono andati diversificandosi i due ruoli sociali di queste due pratiche nella società del tempo e attraverso quali contrasti in ambito sociale [24].

E, per quanto riguarda Newton o Keplero, ed altri ancora, pochi sarebbero dell’idea di metterli in compagnia dello stesso Nostradamus perché essi, ai nostri occhi, sono stati gli scopritori di asettiche certezze sul mondo. Eppure non possiamo dimenticare che questi aspiravano ancora ad una visione alchemica del mondo. Si ricordi il poeta William Blake che aveva già denunciato gli "oscuri mulini satanici" che operavano dietro le idee di Newton [25]. Blake intendeva con il "sonno di Newton" l’eredità dello scienziato, cioè la visione limitata della prospettiva newtoniana per comprendere il mondo, che era strettamente legata al suo non affrancamento dall’esoterismo.

Anche la sociologia si è interessata di questi aspetti attraverso l’interpretazione di figure di scienziati come appunto Newton, concludendo che: "ciò che classificheremmo come vera scienza e ciò che classificheremmo come pseudoscienza hanno coabitato nell’universo mentale e scientifico di questi uomini senza la minima contraddizione apparente che sembra oggi saltarci agli occhi"; ne risulta che: "è impossibile dividere il mondo in due, da una parte l’umanità che sarebbe sottomessa al pensiero magico, mentre l’altra parte sarebbe illuminata dal pensiero scientifico" [26].

E, non può essere un caso se lo scienziato Carl Sagan, l’astronomo ideatore all’inizio degli anni 60 del progetto SETI (ed anche studioso dedicato all’insidioso argomento degli Ufo), oggi tende a smarcarsi da questa visione molto più realistica della storia della scienza, per ritagliarsene una che non sollevi particolari dubbi sul proprio posizionamento nell’ambito stretto della scientificità e della razionalità senza "se" e senza "ma".

Per affermare questa necessità di una scienza che ha sempre successo lo scienziato americano deve porre la sua scienza in una posizione di continua lotta contro l’oscurantismo dell’irrazionalità: "science as a candle in the dark", così riporta il sottotitolo originale del suo "Il mondo infestato dai demoni", facendo peraltro esplicito riferimento ad un testo seicentesco.

La prima operazione che fa lo scienziato Sagan nell’ambito della sua strategia in difesa di questa scienza continuamente presa d’assalto dalle parascienze è inizialmente quella di accettare (almeno parzialmente) la critica di riduzionismo che le viene rivolta, ma per poi difenderne i motivi ispiratori, partendo dalla constatazione che "la gente vuole credere a certe cose anche se le prove sono pressoché inesistenti".

Il fulcro del problema scienze/parascienze sarebbe quindi che la gente "crede" piuttosto che sentire l’esigenza della ricerca della "prova". E’ proprio Sagan ad affermare per primo, seguito poi da una folta schiera di scettici (e non), che una affermazione straordinaria richiede una prova straordinaria.

Collocare la prova nell’ambito di una sua pretesa e necessaria straordinarietà significa più semplicemente non cercare di produrre alcuna prova, senza poi dimenticare l’altra pretesa che vuole la prova di una affermazione straordinaria a carico di chi fa tale affermazione.

Argomento questo ultimo molto caro agli scettici ma di cui non si capisce bene il meccanismo logico: se l’affermazione straordinaria parte da un problema interessante per la scienza, non rimarrà altro che cercare di svilupparlo scientificamente, chiunque sia a farlo. Sembra invece un’altra scappatoia per non mettere in atto alcuna pratica scientifica ma per restare a livello del dibattito immobile.

Si potrebbe quindi affermare che, se fosse vero che l’onere della prova debba ricadere su chi sviluppa l’affermazione più straordinaria, essa dovrebbe proprio ricadere sui razionalisti, che affermano un mondo deterministico, determinabile attraverso un metodo scientifico, dal quale i sensi dovrebbero essere esclusi per meglio aiutarci a rendere oggettivamente il mondo stesso [27].

Sagan ci dice che la gente è ottenebrata da credenze esoteriche mentre ciò non accadrebbe mai in ambito scientifico, comunque mai in modo così totalizzante per lo scienziato: ad es. afferma che l’affrancamento di Newton dall’esoterismo è certo "incompleto", ma si è verificato.

Il razionalista Sagan finisce così per affermare che i problemi posti dalle parascienze non sono buoni problemi: "pseudoscienze e superstizione tendono a non riconoscere alcuna costrizione in natura e a considerare possibile qualsiasi cosa".

In conclusione, come non meravigliarsi che le leggi del meccanismo dell’orologio newtoniano funzionino così bene con i moti degli oggetti astronomici? Lungi dal descrivercela assolutamente perfetta la scienza di Sagan funziona comunque perfettamente…

Egli deve però evitare di sottolinearci, nel proporci il suo discorso, che questo perfetto meccanismo funziona solo dato un determinato sistema di riferimento, tagliando corto con la teoria della relatività e quella quantistica e, più in particolare, con tutta la congerie di problemi ancora senza soluzione che si affacciano in certe situazioni pratiche, sperimentali, di laboratorio [28].

Con l’introduzione della rivoluzione della fisica del 900 l’orologio comincia ad avere qualche ulteriore difficoltà di funzionamento nel suo meccanismo divinamente perfetto: le discrepanze tra teoria quantistica e teoria classica sono alla base anche di molti fenomeni fisici su scala ordinaria. Era proprio quanto irritava Einstein a proposito della teoria quantistica quando affermava indispettito " Dio non gioca a scacchi" [29].

Ma le nuove teorie (relatività e quantistica) erano state una esigenza pratica resa necessaria dalla constatazione che il meccanismo dell’orologio classico stava già dando alcuni segni di ulteriore malfunzionamento.

Lo stesso fenomeno della coscienza apparve ben presto incomprensibile nei termini della pura fisica classica. Alcuni, ispirandosi al fisico Niels Bohr, sono perfino giunti alla conclusione che non esiste "alcuna immagine obiettiva della realtà" [30].

Da parte mia preferisco restare realista: una realtà è empiricamente dimostrabile nel nostro quotidiano, anche se essa non è qualcosa a sé stante al di fuori della nostra mente (qui esprimo una qualche credenza); di certo la fisica, l’astronomia, la matematica, la statistica, nella loro definizione della realtà, devono mettere in campo enormi atti di fiducia nelle proprie discipline ed attuare adattamenti tali da renderle molto meno meccanicistiche nei loro ritrovati di quanto desidererebbero: se non esiste una realtà "oggettiva" esiste comunque una realtà metaforica largamente condivisa attraverso l’iterazione con gli oggetti e le nostre proiezioni su di essi (affronterò questo tema in uno dei prossimi capitoli, in funzione delle anomalie).

Quindi in conseguenza di quanto sopra descritto, la scienza, diversamente da quella descritta da Sagan, e altri, è tutt’altro che quel meccanismo perfettamente calibrato che una certa rappresentazione di essa tenta di veicolare, per significarci il trionfo della Ragione.

Ma perché in Sagan (come negli altri razionalisti) vi è un bisogno così forte e pressante di definire il confine tra scienze e parascienze in modo così rigido e ben delimitato?

Se prendiamo le considerazioni svolte da Sagan all’inizio del anni 70, possiamo constatare che egli fosse decisamente aperto all’ipotesi che gli avvistamenti Ufo ponessero un serio problema scientifico, e non escludeva nemmeno la possibilità che gli Ufo fossero veicoli spaziali di avanzate civiltà extraterrestri. Egli afferma in quel periodo che "le evidenze sono insufficienti per escluderlo". L’ipotesi extraterrestre sugli Ufo non poteva essere considerata più probabile o improbabile di qualsiasi altra ipotesi. La spiegazione di questo successivo slittamento verso uno scetticismo riduzionista sta molto probabilmente nel fattore di disillusione e nella propria intima constatazione che anche lo studioso è potenzialmente minacciato da quella che viene considerata una deriva irrazionale. La spiegazione che suggerisco è che Sagan (non diversamente da una parte consistente di ufologi) negli anni 80 abbia subito un forte disincanto nei confronti di un fenomeno, quello degli Ufo, verso cui si erano nutrite troppe aspettative.

La scienza posta di fronte all’estrema fiducia delle parascienze, circa nuovi oggetti che ancora non conosceremmo, è messa pubblicamente in gioco e teme questo horror vacui: i confini tra discussione scientifica e non-scientifica richiedono (imperativamente) di essere delineati in modo esplicito [31].

La religiosità della scientificità

Quando viceversa noi opponiamo un confine mobile e labile tra scienze e parascienze significa anche che accettiamo l’idea che, a seconda del periodo storico e della cultura egemone, diventi maggiormente concreta la possibilità di verifica di certe ipotesi su fenomeni adiacenti alla scienza accettata, e che attraverso i sistemi scientifici tradizionali in forza (esperimento in laboratorio, matematica, statistica, modelli, etc …) si possa, anche se non agevolmente, grattare un po’ di percezione scientifica della realtà alla percezione pura e semplice dell’anomalia raccolta dai sensi.

L’analisi delle pratiche scientifiche rende anche evidente che questo confine in continua ricerca di stabilità non viene ridefinito solo in funzione di un semplice contesto sociale opportuno (le mode, il potere dell’establishment, la carriera dello scienziato di turno, etc.), ma che anche nuovi oggetti della natura, nuovi ingredienti, possono contribuirvi attivamente [32].

Modificando tutti questi ingredienti prodotti dal fare scienza si modifica l’oggetto stesso della ricerca, che diviene altro rispetto al suo essere solo anomalia, e si può anche modificare diverse volte come tipo di oggetto scientifico, diventando altro ed altro ancora. Nel contempo, si modificano gli stessi scienziati mentre spostano il confine, o più "oggettivamente" il confine della realtà sposta loro, dalle loro convinzioni pregresse.

Incertezza e indeterminazione, lontano dall’essere dei casi particolari in scienza, sono l’essenza del rapporto costitutivo e circolarmente virtuoso, tra osservatore ed osservato [33].

Ma torniamo appunto al nostro termine "anomalia" (che continua a sembrarci tanto al di sopra delle parti): alla lettera ci indica ciò che si differenzia dal normale, ossia ciò che per differenza non è normale.

Filosofi come Willard C. Humphreys hanno osservato che la nozione di anomalia è un termine relativo a qualche tipo preesistente di spiegazione circa qualcosa che non sta insieme allo schema ordinario delle cose [34].

Come è facilmente intuibile, nasce il grosso problema di stabilire cosa è la normalità fenomenica e, in altre parole, cosa è "secondo natura" e cosa non.

Un termine così apparentemente privo di coinvolgimento emotivo come "anomalia", presenta tutte le insidie di un dibattito di lunga durata che ricade facilmente in campo religioso, dato che ogniqualvolta intendiamo nella storia delle scienze parlare di natura, in qualche modo siamo obbligati a parlare anche di storia del divino.

Come si è visto, gli scienziati che avviarono l’epoca moderna si diedero un gran daffare per separare razionale ed irrazionale, Dio e natura, ma ponendo sempre l’attenzione sul fatto che la natura risultasse uno strumento perfetto come un orologio, dotato di regole esatte come ben conveniva ad una creazione che restava a tutti gli effetti divina; in tal senso la causalità delle cose stabilita dagli scienziati di un tempo, e che continua a replicarsi, dipende da una loro immagine divina circa la natura delle cose.

D’altra parte Galileo non aveva forse definito la matematica il linguaggio di Dio, e Pascal come Liebniz, facendogli eco, non affermarono di udire Dio nelle esattezze della matematica?

Cartesio che è stato il padre della causalità, ovvero dell’assoluto determinismo di tutti gli eventi naturali, aveva costruito questo concetto affinché Dio non potesse mutare le sue leggi già fissate. Con Cartesio iniziò in effetti ciò che lo psicologo Carl G. Jung definì tagliando corto "quella stupida fantasia dell’orologio": Dio avrebbe creato una volta per tutte il mondo e questo da allora fa tic-tac, come un meccanismo [35].

Inoltre Cartesio si era domandato come una mente isolata potesse essere assolutamente sicura di una qualsiasi cosa a proposito del mondo esteriore. La sua domanda era formulata in modo tale che nessuna risposta poteva essere data ragionevolmente. Oggi l’antropologia delle scienze ci fa capire che possiamo essere abbastanza sicuri della realtà e della maggior parte delle cose con cui siamo quotidianamente ingaggiati, ad esempio nelle pratiche di laboratorio. L’assoluta certezza che Cartesio richiedeva imperativamente proveniva da ciò che il sociologo Bruno Latour ha definito, non senza ironia, come il "cervello dentro ad un recipiente" separato da tutto il resto.

Oggi, come ci spiega Latour, non c’é più bisogno di certezze assolute dal primo momento che il cervello (o la mente) viene fermamente ricollegato al corpo e quel corpo pienamente immerso nella propria ecologia normale: "L’assoluta certezza è quel genere di stravaganza nevrotica che solo una mente strappata dal suo corpo chirurgicamente si sforzerebbe ad ogni costo di recuperare dopo aver perduto tutto il resto". Ed aggiunge: "Solo una mente posta in questa situazione estremamente singolare - osservare un mondo a partire dal proprio interno ed essere legato all’esterno che dalla sola fragile connessione del proprio sguardo – sarà sottoposta alla preoccupazione permanente di una perdita di realtà…".

Anche Latour constata che, per Cartesio: "la sola via attraverso la quale la-sua-mente-in-un-recipiente avrebbe potuto ristabilire un legame ragionevolmente certo con il mondo esteriore passava per Dio". Dopo Cartesio sempre più persone ritennero che passare da Dio per giungere al mondo era una strada davvero periferica e dispendiosa, e cominciarono a pensare che ci potesse essere una scorciatoia: il mondo forse poteva inviarci direttamente abbastanza informazioni in modo tale da poter offrire una immagine più chiara di sé. Ma anche in questa alternativa, spiega ancora Latour, siamo stati ben presto posti di fronte all’illusione di poter considerare la natura come una unità omogenea e poter così unificare le differenti idee che le scienze si sono fatte a riguardo della natura stessa [36].

E’ bene quindi ribadire che l’idea che alcuni scienziati vogliono darci della scienza come completamente indipendente dalla religiosità, è solo un’illusione positivista. In effetti anche le teorie della fisica moderna si muovono sulle basi di archetipi che possono essere ritrovati, tali quali, nelle antiche religioni e credenze [37].

"Homo Religiosus", che per Mircea Eliade caratterizzava il modo di essere dei nostri lontani antenati "primitivi", sembra caratterizzare, in grado ed in modo diverso, anche la scienza odierna. Eliade osserva come il pensiero mitico non sia stato completamente abolito, ma sia riuscito a sopravvivere, anche nel mondo moderno, "anche se completamente mutato" [38]. Egli però, nell’analizzare le varie sopravvivenze, non sembra fare accenni a questa sopravvivenza nel pensiero scientifico, che è altrettanto evidente.

Certo tra il XVII° ed il XVIII° secolo si era creato un divario tra i due tipi di pensiero, mitico e scientifico, dato che questa scissione era stata necessaria per far sì che il pensiero scientifico fosse in grado di costituirsi. Come afferma Claude Lévi Strauss, si pensò che: "la scienza avrebbe potuto esistere solo se avesse voltato le spalle al mondo dei sensi, al mondo che vediamo, gustiamo e percepiamo. La sfera sensibile era un mondo illusorio; quello vero era il mondo delle proprietà matematiche, che poteva venir compreso solo con l’intelletto ed era in completo disaccordo con la falsa testimonianza dei sensi" [39].

Già Ernesto de Martino aveva osservato in diverse pagine del suo "Il mondo magico" che proprio in questa divisione dovuta alla nascita della scienza stava la difficoltà nell’accettazione della fenomenologia del paranormale: "La scienza è nata ritirando gradualmente ed in modo sempre più consapevole la psichicità dalla naturalità: la possibilità di fenomeni paranormali significa per essa un vero e proprio segno di contraddizione, uno scandalo, in quanto la paranormalità è, in generale, di nuovo psichicità che torna nella natura, e natura che si carica di psichicità" [40].

Ma questo divario che si era reso necessario non ha comportato una completa rottura con l’homo religiosus.

Questo non significa voler mettere sullo stesso piano la spiegazione scientifica e quella mitica; afferma in tal senso Strauss "… la grandezza e la superiorità della spiegazione scientifica risiedono non solo nei risultati pratici e teorici della scienza ma nel fatto, sempre più evidente nei nostri occhi, che la scienza riesce ormai a render conto non solo della propria validità, ma anche ciò che è in parte valido nel pensiero mitico" [41].

Nel tempo abbiamo modificato i nostri strumenti tecnici ed i nostri procedimenti per catturare la realtà (o meglio socializzarla), ma i nostri presupposti concettuali sono sempre gli stessi basati su una religiosità di fondo sempre molto simile a sé stessa (solo "travestita" direbbe Eliade), dove, come abbiamo già precisato, per religiosità intendiamo meccanismi psicologici intrinseci alla coscienza dell’essere umano e al suo modo di far fronte al mondo e all’ignoto.

Ora la semplice affermazione della possibilità di anomalie che si riscontrano nell’osservazione e nella separazione di alcuni fatti/dati dalla natura, come la conosciamo, pone una serie di problemi che non possiamo trascurare prima di approfondire ancor meglio il termine stesso di "anomalia" e le sue diverse tassonomie.

La convinzione, più o meno latente, che abbiamo in una creazione divina (in un mito delle origini per dirla meglio), non può fare a meno di far assumere, in certi casi, l’anomalia in termini di deviazione dalla creazione stessa. Ma l’anomalia che resta per forza di cose nell’ambito dell’atto divino può essere solo un miracolo o, se ci riferiamo agli antichi, un prodigio poiché non può comunque mettere in discussione l’esattezza dell’orologio divino.

Usciamo per un attimo dal concetto scientifico, per restare a quello religioso puro e semplice.

In questo caso la convinzione di chi crede è che quando si tratta di manifestazioni che "chiaramente" derogano dalle leggi di natura, così come sarebbero state stabilite nell’atto della creazione, "evidentemente" siamo di fronte ad una attività divina allo scopo di inviare precisi messaggi agli uomini [42].

Anche per colui che crede in una costruzione divina non tutte le anomalie possono essere considerate come miracoli o come eventi soprannaturali, solo una parte saranno interpretate come eventi miracolosi, ovvero solo quelle anomalie ad elevata stranezza e con un intrinseco messaggio simbolico, mentre la maggior parte dei casi riguardanti le altre anomalie saranno la semplice traduzione della nostra non conoscenza di eventi, ancora ignoti, e delle loro cause non ancora comprese [43].

Negli altri casi, e per le scienze nello specifico, la costruzione del concetto di anomalia diventa più macchinosa e sembra richiedere di dover accettare come "veri" una serie di riferimenti e di concetti scientifici che tendiamo a considerare validi erga omnes: correlazione, legge e causalità, ordine, norme, complessità, etc. [44].

In altre parole questi concetti sono tutte quelle strategie messe in campo per comprendere i fenomeni che definiamo sotto l’alveo di scientificità anche se si tratta di concetti nomadi che operano in modo diverso nell’ambito delle diverse discipline scientifiche.

Ed è in questo contesto, più realistico ma non meno insidioso, che possiamo provare a delimitare il territorio per un possibile studio scientifico delle anomalie, che ci possa permettere di non tralasciare lo studio di quelle anomalie attinenti alla concezione del paranormale (ossia tutto ciò che va oltre il normale).

Il problema dei razionalisti è che essi invece intendono la natura come un fatto certo, e che di conseguenza la natura ha certamente un funzionamento. Essi tendono, tralasciando il dibattito tuttora attuale tra "natura deterministica" e "natura probabilistica", acceso a suo tempo dalla teoria quantistica [45], a considerare comunque la natura come sicuramente data; in altre parole la natura "è" al di là dell’osservatore [46].

Questa idea di una realtà della natura collocata là fuori, all’esterno dell’osservatore, solo in attesa di essere scoperta tale quale, sembra nasca dalla confusione sulla natura della realtà, e ciò porta inevitabilmente a sopravvalutare la necessità della prova e a ritenere che la testabilità di ogni teoria scientifica sia sempre possibile e sempre necessaria (al fine di dimostrare ciò che è reale e ciò che non lo è) e porta a credere, in quanto scettici, di poter non credere, e infine di essere capaci davvero di riuscire a vivere una scientificità del mondo esente da credenze.

Non è privo di ironia constatare invece che il determinismo come idea razionale della natura abbia, come si è visto, un’origine nella religiosità, e che sia connesso all’idea archetipale dell’onnipotenza divina.

In altre parole è difficile liberare le domande sulla natura, ad esempio quelle sull’origine dell’universo, da ciò che l’astronomo John D. Barrow chiama "pregiudizi religiosi ereditari" (forse per non incappare in termini per cui si potrebbe essere accusati di neo-esoterismo, come nell’utilizzo del termine junghiano di "archetipo"). Questo sfondo culturale religioso, ad esempio la descrizione giudaico-cristiana della creazione, ha fornito un ambiente fertile all’idea di un universo cominciato in un tempo ben preciso, nel passato (il big-bang) [47].

Il determinismo scientifico è quindi solo una sostituzione dell’idea di Dio con l’idea di natura, dell’idea di legge divina con quella di legge naturale [48].

Ma non spingiamoci oltre, ritorniamo al problema dell’approccio alle anomalie.

Noi dobbiamo accettare questi vincoli di praticabilità delle scienze, anche se non ci piacciono, ed accettare di essere su quel confine sperimentabile e quindi mutevole, lasciando aperte le varie ipotesi sulla natura delle cose. Provvisoriamente possiamo pensare di limitarci a studiare solo quei fenomeni che sembrano funzionare secondo un principio di causa ed effetto o secondo un principio probabilistico di tipo matematico, attraverso mezzi e metodi pratici che sono tutt’altro che obbiettivi e validi in ogni momento, e che definiamo e ridefiniamo continuamente sotto la voce di scientificità.

Troppo spesso il razionalismo scettico, ciò che io chiamo nella sua estremizzazione l’atteggiamento pararazionalistico, si è limitato ad eliminare ogni dibattito circa le diverse idee di natura (ma anche la possibilità stessa di alcune anomalie di poter esistere in un mondo delle idee); troppo spesso il parazionalismo ha limitato il dibattito circa ciò che è reale e non reale a ciò che è vero o falso. Se ci sono problemi la dea Scienza provvederà in futuro, e non ci sarebbe niente altro da fare che attendere con devozione.

Sappiamo invece che le concezioni della realtà e della natura (di ciò che possiamo includere nella realtà della natura) variano nel tempo e che noi siamo parte inscindibile di queste variazioni. Come è già stato detto "una mappa non è il territorio", e noi ridefiniamo continuamente quella che è la mappa più rappresentativa del nostro territorio, ma facendo questo non ci limitiamo solamente a scoprire ciò che sta là fuori, ma ad interagire profondamente, in altre parole modifichiamo il territorio della realtà come qualsiasi altro territorio tangibile ed il territorio a sua volta agisce nei nostri confronti, modificandoci [49].

Il punto è che, piuttosto che considerare la natura come qualcosa di dato e l’anomalia una deviazione rispetto alla natura, essa deve essere considerata come una non-corrispondenza alle nostre teorie e leggi scientifiche per inquadrare la natura stessa.

L’anomalia è quindi un problema che può, se risolto, modificare un piccolo o grande paradigma scientifico all’interno della comunità scientifica.

Il filosofo Thomas S. Khun usa esplicitamente il termine anomalia, precisando: "Per essere anomalie esse devono essere in esplicito ed inequivocabile conflitto con qualche dogma strutturalmente centrale del pensiero scientifico corrente". Infatti spiega: "Ogni problema di ricerca pone lo scienziato di fronte ad anomalie, la cui origine egli non può identificare in modo completo. La sua teoria e le sue osservazioni non si accordano mai completamente; osservazioni successive non danno mai esattamente gli stessi risultati; i suoi esperimenti hanno sottoprodotti sia teorici che sperimentali che richiederebbero un altro progetto di ricerca per essere chiariti. Ciascuna di queste anomalie o fenomeni non completamente compresi potrebbe presumibilmente essere il segnale di una innovazione fondamentale nella teoria o nella tecnica scientifica…" e conclude: "Il perseguire una anomalia è fruttuoso solo se l’anomalia è qualche cosa di più che semplicemente non banale". Khun ritiene che lo scienziato che affronta le anomalie, quando produce cambi di paradigmi (un innovatore di successo che fa scoperte) debba essere comunque "un tradizionalista cui piace giocare complicati giochi secondo regole prestabilite".

I problemi verrebbero quindi scelti dagli scienziati in "aree nelle quali i paradigmi erano chiaramente applicabili ma dove restavano eccitanti rompicapi su come applicarli o su come rendere la natura conforme ai risultati delle applicazioni". In realtà, sottolinea Khun, gli scienziati non sono liberi di scegliersi rompicapi di questo tipo: "I problemi tra i quali essi possono scegliere sono probabilmente determinati in larga misura dalle circostanze sociali, economiche o militari esterne alla scienza" [50].

L’idea illusoria del fenomeno raro

Non può comunque ritrovarsi solo nella mentalità razionalistico-religiosa la spiegazione della carenza di studi scientifici sugli argomenti anomalistici (spesso portati all’attenzione della scienza da non-scienziati). Non può essere solo il dogmatismo all’interno della categoria degli scienziati come pensava Fort e come pensano spesso i cultori delle parascienze.

Accusando troppo semplicisticamente la scienza di dogmatismo essi da un lato finiscono per mitizzare la scienza come strumento di conoscenza e dall’altro dimostrano che non ne conoscono i suoi funzionamenti concreti.

Non può essere neanche e solo la mancanza di motivazione personale dello scienziato (ad. es. un certo studio non è di aiuto alla carriera) o il contesto sociale che indirizza verso certi studi scientifici anziché altri (ad es. è più di moda o utilitaristico studiare l’effetto serra). Certo il fatto che l’anomalia che sta sui confini delle parascienze sia incrostata di mitologia, folklore, credenze popolari, e testimonianze estemporanee, non facilita l’approccio dello scienziato che in genere si considera, ed è considerato dalla società, come uno dei capisaldi della modernità, colui che lascia le sue convinzioni soggettive e le sue credenze sulla soglia del laboratorio nel quale opera solo oggettività.

Ripetiamo: non può essere solo in conseguenza di questi aspetti la latitanza della scienza circa le anomalie: ci deve essere altro.

Forse dobbiamo considerare anche la possibilità che vi siano aspetti intrinseci ai fenomeni anomali, evidenziati dalla difficoltà ad interagire strumentalmente con gli stessi. C’è anche da mettere in conto la convinzione ricorrente della scienza che non vi sia più molto di nuovo da scoprire, e quindi quest’idea che, nella migliore delle ipotesi, vi siano fenomeni rari che abilmente si nascondono ai nostri strumenti.

Nell’ambito delle parascienze questa difficoltà nel catturare il fenomeno con gli strumenti scientifici viene spiegato con l’elusività del fenomeno stesso (elusiveness). Che si tratti della sfuggevolezza degli Ufo, dell’impossibilità di avvicinarsi ad un fuoco fatuo, della difficoltà di ripetere statisticamente un fenomeno paranormale di precognizione, gli studiosi parleranno di elusività come di una caratteristica propria all’oggetto del loro studio, piuttosto che di una difficoltà di ordine scientifico.

Il sociologo anglosassone Ron Westrum ha identificato tre livelli di elusività di certi "eventi nascosti" (hidden events): il primo consiste nel semplice fatto che certi fenomeni naturali sono rari (o accadano solo in luoghi poco accessibili) ma, se si riesce a porsi nelle condizioni richieste, si può osservarli; il secondo livello è quello che riguarda ad es. la certi animali rari che disporrebbero di particolari mezzi di fuga o nascondimento, o vivrebbero in un habitat particolarmente ben dissimulato; ad un terzo livello saremmo confrontati con una intelligenza almeno pari a quella dell’uomo, che offre possibilità di dissimulazione estremamente raffinate [51].

Questa idea di rarità appartiene a tutte le categorie di anomalie (Ufo, poteri paranormali, Yeti, pianeti simili alla Terra, etc.)

Basta pensare alla storia dei meteoriti, per lungo tempo considerati fenomeni inesistenti (leggi impossibili), che poi una volta compresi dalla scienza sono diventati dei fenomeni estremamente "comuni" e con elevata frequenza (sciami meteorici): da fenomeno negato a fenomeno raro (ed elusivo), infine a fenomeno frequente.

Questa idea di fenomeno raro appartiene anche a scienziati che alle anomalie hanno dedicato parecchi studi: penso ad esempio a Michael A. Persinger che riteneva che certi tipi di allucinazioni (visioni della Vergine, di bigfoot, di fantasmi, o piuttosto di entità aliene) avvenuti in concomitanza con eventi sismici fossero motivate da una influenza elettromagnetica del fenomeno a livello del lobo temporale, in funzione della vicinanza al fenomeno.

Persinger affrontava questi fatti come originati da un fenomeno raro.

Trattando brevemente della sua ipotesi detta Teoria dello Stress Tettonico non ci interessa capire se il neuropsicologo canadese avesse ragione o meno. Ci interessa piuttosto evidenziare il fatto che questa ipotesi aveva affascinato a tal punto il geologo americano John S. Derr, tanto che finì per collaborare con Persinger in diversi lavori scientifici.

E’ interessante quindi capire il tipo di definizione di "anomalia" che Persinger, all’inizio dei suoi studi, mette in campo e con quali motivazioni tali da convincere successivamente lo studioso di precursori sismici (altre anomalie poco riconosciute dalla scienza mainstream).

Persinger iniziò un lavoro pluridecennale definendo le sue anomalie come "Transients and Unusual Events": era la propria scientificazione del termine assai indeterminato di "fenomeno fortiano" (da Fort) in uso tra gli amanti dell’insolito per questi eventi.

Scrive Persinger: "I fenomeni fortiani sono dei dati difficili in ragione della loro natura: essi esistono ma sono transitori. Non solo non capitano di frequente- ciò che rende il loro studio sistematico già difficoltoso- ma essi sono anche fenomeni di vita-breve". In altre parole per Persinger non vi sarebbe il tempo sufficiente per misurarli con strumenti, ed abbiamo visto che senza possibilità di misurazione un fenomeno semplicemente non esiste per la scienza [52].

In quello stesso periodo il geologo Derr stava iniziando il suo studio delle anomalie dei precursori sismici e specificatamente delle earthquake lights (luci sismiche come presunti precursori del terremoto). E’ interessante notare che il geologo americano, a differenza di Persinger non fa uso del termine "anomalia" o di suoi sinonimi: Derr si riferisce alle earthquake lights come al "problema delle earthquake lights" o semplicemente al "fenomeno".

Scrive Derr: "Il problema delle luci sismiche (EQL), o fenomeni luminosi, così come precisava Byerly (1942), è sempre stata l’area più buia della sismologia. Pochissimi scienziati hanno lavorato sul problema, e pochi oggi hanno la volontà di approfondire perché nella maggior parte dei casi i rapporti sono osservazioni personali di persone non addestrate, e fino ad ora non c’era alcun ‘dato-duro’ [hard-data] che possa essere sottoposto ad analisi scientifica" [53].

Nel caso delle anomalie, i già parziali strumenti scientifici sembrano funzionare ancora peggio che nella normalità dei casi, se non proprio non funzionare addirittura, fino al punto che certe anomalie sono completamente rimosse dall’ambito di possibili problemi scientifici (ad es. gli stessi esperimenti di laboratorio messi in atto da Persinger con il suo "elmetto" ad impulsi elettromagnetici posto sul lobo temporale, per generare allucinazioni, sono stati replicati solo una volta da studiosi svedesi, e senza successo).

E’ in definitiva il problema posto alla scienza dal fenomeno cosiddetto raro: non si può estrarre alcuna informazione statistica da un evento che avvenga solo una volta o in modo occasionale. Anche fisici eminenti hanno sostenuto che l’evento occasionale non cade nell’ambito dell’indagine fisica, di fatto sottraendolo al campo della ricerca, dato che non si lascia catturare da strumenti matematici.

Ma questa rarità dei fenomeni non ancora compresi si è spesso rivelata un puro pregiudizio scientifico, nel senso che una volta scoperto un nuovo fenomeno, il fenomeno oltre a cominciare ad esistere come fatto scientifico, si è anche rivelato assai meno raro di quanto si potesse supporre.

E, non è nemmeno più elusivo di altri fenomeni già conosciuti.

Potrei fare, tra i tanti, di nuovo l’esempio dei meteoriti, a lungo relegati a semplice folklore, come pietre di fulmine, oppure quello recente degli sprite (fenomeno luminoso della ionosfera), un fenomeno inesistente fino al 1989 e scoperto del tutto accidentalmente, durante i test di un nuovo tipo di telecamera digitale ad alta sensibilità.

Quanto serve agli scienziati una raccolta di anomalie?

E’ stato assodato che una "immensa accumulazione di anomalie" sia dispersa proprio tra i testi scientifici. Pochi anni fa William R. Corliss faceva il punto circa la sua raccolta, Sourcebook Project, spiegando quali erano le sue aspettative all’inizio di questa impresa. Egli aveva la speranza che tutta questa mole di anomalie irrisolte avrebbe incoraggiato nuovi progetti di ricerca, qualche scivolamento di paradigmi accettati, e forse anche la formulazione di nuove ipotesi, fino al momento neanche immaginabili, che ci avrebbero aiutato a "meglio descrivere la natura" [54].

Nonostante la notevole cura che Fort aveva messo in atto come raccoglitore di anomalie, Corliss aveva constatato che ne erano state tralasciate tantissime su tanti altri argomenti scientifici (archeologia, geologia, biologia, etc.); si era accorto inoltre della loro ampia diffusione nelle varie discipline ed in una quantità tale che mai si sarebbe immaginato. Nell’ambito della letteratura scientifica aveva cercato parole chiave come "enigma", "misterioso", "irrisolto", "singolare", etc...

Corliss sottolineava che la parola "anomalia" raramente veniva usata tra il 1960 ed il 1990, "nel senso che la usiamo oggi" [55]. Le sue fonti principali erano state reputate riviste scientifiche: Nature, American Journal of Science, e Science. E’ interessante notare che la rivista Science, alla sua nascita alla fine dell’800, trattasse anche "fenomeni psichici" (nel senso dell’odierna parapsicologia) dato che il suo responsabile Simon Newcomb, come molti altri scienziati eminenti dell’epoca, non aveva disdegnato di considerare questi argomenti nell’ambito della scienza.

A partire dalla fine degli anni 70 esistono ben poche possibilità che un articolo di parapsicologia abbia la possibilità di superare il referaggio ed essere pubblicato da una rivista scientifica, e le possibilità aumentano solo nel caso di articoli critici [56].

Il progetto di Corliss trasformato in un primo libro, stampato in proprio nel 1977 (Handbook of Unusual Natural Phenomena), aveva successivamente fatto una tiratura di circa 100.000 copie. Ma chi erano i lettori di queste sue dettagliate catalogazioni?

Di certo non i fortiani che avevano considerato il suo lavoro "non abbastanza bizzarro". Questo aspetto poteva trovare una spiegazione nel fatto che Corliss (a differenza di Fort) non era affatto ironico nei riguardi della scienza e che tutti i suoi riferimenti erano basati prevalentemente su informazioni tratte dalla letteratura scientifica (mainstream science literature).

Ma la sua opera era stata trascurata anche da ufologi, criptozoologi, e parapsicologi.

Quanto al fronte opposto degli scettici (ad es. il CSICOP) essi non avevano trovato alcun interesse nei cataloghi corlissiani, tanto che Corliss afferma: "Gli scettici, ci sembra, non sono mai scettici sui paradigmi ufficiali, ma solo su quelle osservazioni che rischiano di destabilizzarli" [57].

Per contro il suo lavoro aveva ricevuto qualche recensione benevola su riviste scientifiche, ma la sua speranza di avere molti lettori tra gli scienziati ed un interscambio fecondo con loro, anche se non poteva essere considerato un "collega", era stata vana. Non si poteva dire che il suo Sourcebook Project facesse in qualche modo parte della comunità scientifica.

Chi erano allora i suoi lettori? Erano nella grande totalità generici lettori con interessi scientifici che non facevano parte di alcuna accademia o membri di un gruppo specifico, o di una associazione.

Corliss ha potuto constatare che di norma gli scienziati ammettono che nel loro campo di specializzazione esistano anomalie. Talvolta alcuni di questi scienziati si sono anche presi la briga di segnalargliene. Però questi stessi scienziati sono molto riluttanti al fatto che nell’ambito di tutte le altre scienze vi siano delle anomalie.

E, quindi Corliss constata che tra di loro esiste un bisogno molto ampio di certezze: "Uno scienziato che ammetta la possibilità che Nessie [il mostro di Loch Ness] esista non dubiterà dell’espansione dell’universo. Uno scienziato favorevole agli UFO non metterà in dubbio il neo-Darwinismo. Gli scienziati come ogni altra persona, preferiscono un quadro referenziale ampio e stabile, che non abbia troppe cose sconosciute o troppe incertezze" [58].

Si può giungere alla conclusione che la raccolta e catalogazione della casistica di anomalie non sia mai riuscita a contribuire alla scientificazione di certi fenomeni e a sollecitare un sufficiente numero di scienziati ad una più attenta indagine scientifica.

Un’altra prova circa l’inutilità delle catalogazioni, al fine della scientificazione delle anomalie, è costituita dalle centinaia di migliaia di casi Ufo che in più di sessanta anni sono stati raccolti dalle associazioni ufologiche di tutto il mondo, e poi riposti ordinatamente nei loro archivi. Se la dimensione problematica di un supposto fenomeno fosse mai rappresentata sul fronte della scienza da una possente catalogazione quantitativa, che poi giunge dalla società fino a loro, gli Ufo più di ogni altra anomalia avrebbero dovuto incitare l’apertura di tanti laboratori e tante ricerche. Ma è evidente che così non è.

Il fatto è che gli scienziati producono fatti scientifici nell’ambito di un collettivo di colleghi, di una rete di relazioni interna al collettivo stesso e di pratiche condivise: basta un buon dato per fare di una anomalia un fatto, mentre non bastano mai molti "fatti" accumulati da non-scienziati, o alcuni "fatti" raccolti occasionalmente da scienziati.

Qualcosa di diverso dall’oggettività nell’uso del peer-reviewed nella letteratura scientifica

Dobbiamo maggiormente approfondire il perché anomalie di fatto scientifiche, contenute nella letteratura scientifica, non fanno da impulso a nuove ricerche come Corliss ingenuamente desiderava. Per fare questo dobbiamo, prima di tutto, capire meglio come lavora lo scienziato professionista.

Spesso abbiamo sentito ripeterci la constatazione che "le scienze del passato sono spesso state le pseudoscienze del presente"; però questo mutamento del confine può essere solo constatato a posteriori per via di una serie di comportamenti di difficile precisazione, se non si accetta l’idea che la scienza non sia un mero fatto di metodo, ed un metodo certo.

Secondo J. V. Grove, esiste una tradizione scientifica ed una attitudine scientifica per cui, nonostante il contenuto, la pratica ed il metodo scientifico possano mutare nel dettaglio, si creano comunque un serie di confini ben delimitati (boundaries) di tipo sia pratico che filosofico che la maggior parte degli scienziati sentono di dover proteggere. Gli scienziati prima di tutto devono far accettare le loro idee ad altri scienziati se vogliono che il loro sia un "contributo alla scienza".

Processi formali (ed anche informali), come ad esempio il referaggio di un articolo scientifico, che giudica il risultato di una ricerca prima della sua pubblicazione in un giornale scientifico, potranno contribuire a questo tipo di barriere protezionistiche.

Non si tratta solo di barriere di ordine filosofico ma anche di ordine pratico, come quando ad esempio specifici comitati di garanzia della scientificità di un lavoro determinano che un progetto di ricerca riceva o meno dei fondi di finanziamento. Un tale sistema opera a tutti gli effetti per stabilire cosa sia da considerare scientifico e cosa non-scientifico. Il fatto curioso è che in questo sistema, un’idea, una teoria, un problema, un esperimento o il risultato di una ricerca generatisi "all’interno delle frontiere della scienza" sono di solito giudicati scientifici anche se rigettati, ignorati, o visti con scetticismo da altri scienziati. Con una serie di esempi J. V. Grove fa notare che molte idee, teorie o risultati di ricerche hanno inoltre dovuto aspettare tempi a volte estremamente lunghi prima di trovare accettazione.

Ne è un esempio il caso di Peter Mitchell, un biochimico che nel 1978 ottiene il premio Nobel ma con un ritardo di vent’anni durante i quali le sue idee vengono ignorate ed anche ridicolizzate: le convinzioni scientifiche del momento volevano che le trasformazioni della luce in energia nelle piante e nei batteri fossero chimiche e non fisiche come lo scienziato indicava.

Evidentemente nella valutazione della scientificità di quella ricerca entravano elementi comportamentali che erano non-scientifici o extra-scientifici [59] che potrebbero essere meglio definiti con l’atteggiamento di conservatorismo proprio della scienza, già evidenziato da Khun quando parla di tensione essenziale della ricerca scientifica tra conservazione ed innovazione [60].

Eppure, Grove considera che vi siano buone ragioni per l’attuazione di un principio di cautela che gli scienziati applicano nell’ammettere nuove idee. Ad esempio per evitare le frodi [61].

In realtà, come già aveva fatto notare Truzzi, in molti casi che riguardano le anomalie, non si tratta di un semplice principio di cautela ma di un rigetto a priori messo in atto con metodi di smontaggio che a volte prevedono anche accuse ad personam.

Mi viene da pensare allo scienziato James E. McDonald, che ad un convegno di meteorologia nel 1970 aveva relazionato circa la possibilità dell’effetto serra (allora non si chiamava ancora così), ossia la fragilità dello "strato di ozono" dovuta all’inquinamento atmosferico; in questa occasione egli venne pubblicamente ridicolizzato da un suo collega, Silvio O. Conte, per il fatto che si occupava anche di Ufo, in modo tale che il risultato fu di ridicolizzare le sue idee sugli Ufo e al contempo la sua convinzione che la fragilità dello strato di ozono facesse aumentare i tumori della pelle [62].

Il dubbio che gli scienziati non abbiano un modo davvero razionale per poter distinguere la scienza dalla parascienza, e che tutto sommato proteggano la loro posizione sociale di monopolio sopra l’investigazione della natura, è perciò un dubbio consistente, anche se non dobbiamo sottovalutare i lati positivi del loro modo di procedere.

Un esempio sulla difficoltà di far passare idee non ortodosse all’interno del mondo scientifico è il caso del celebre astronomo Fred Hoyle e delle sue difficoltà, in un certo momento della sua esistenza, di far accettare articoli scientifici sulla sua originale teoria dell’origine della vita nel cosmo. La vita giungerebbe sino alla Terra attraverso la coda delle comete, ed anche virus e batteri continuerebbero ad arrivare fino a noi in questo modo; la stessa teoria darebbe conto dell’evoluzione che continuerebbe ad essere stimolata e guidata dall’arrivo di materiale genetico dallo spazio.

Questo caso è menzionato con molteplici dettagli (che qui possiamo solo sintetizzare) da Jane Gregory che sottolinea come le idee di Hoyle circa la vita nello spazio abbiano occupato molta parte della sua vita di scienziato, e siano apparse in varie forme nei suoi lavori sia pubblici che scientifici. Dall’analisi della produzione letteraria di Hoyle (articoli scientifici, racconti di fantascienza, lettere ai giornali, e scritti divulgativi), Gregory ricompone il modo in cui la comunità scientifica cerca di stabilire i suoi confini (boundaries) ed attuare una demarcazione tra scienza da un lato (ortodossa) e scienza non-ortodossa e parascienze dall’altro, che almeno in questo caso non ha successo.

Gregory prende in considerazione la scienza non come un produttore di conoscenza ma come una rete chiusa di comunicazione (closed communications network) contrapposta alla rete di comunicazione aperta della società. Lo studio suggerisce che il collettivo scientifico mette in atto questa separazione (ortodosso/non-ortodosso) attraverso ciò che somiglia ad una "scomunica" dei suoi membri.

Quando Hoyle viene "scomunicato" dalla rete chiusa del proprio collettivo scientifico, egli inizia ad usare la rete di comunicazione pubblica per diffondere le idee del suo lavoro non-ortodosso.

In un primo momento Hoyle si rende conto di non essere ben accetto nella rivista Nature, ed è quindi costretto a muoversi altrove, su una rivista peer-reviewed di minore importanza: Astrophysics and Space Science. In pratica l’ipotesi di Hoyle si muove da una rete di notevole prestigio ad una rete di relativo minor prestigio. E’ qui che Hoyle inizia a cercare anche altri sistemi di diffusione delle sue idee.

Gregory, ed in modo più particolareggiato H.M. Collins, fanno notare come il sistema di comunicazione tra scienziati sia un meccanismo attraverso il quale essi raggiungono il consenso, e questo può accadere anche in modo informale, attraverso incontri e conferenze, ma anche pranzi e corrispondenza via e-mail, mentre per via formale assume grande importanza il sistema delle riviste scientifiche peer-reviewed. Sempre Collins ha proposto che un gruppo di scienziati che sostiene lo stesso paradigma è l’analogo sociale di quel paradigma. Di conseguenza Gregory afferma che gli scienziati non-ortodossi vengono esclusi socialmente da quel collettivo.

In un collettivo basato sul consenso finiscono per determinarsi poche opportunità per i dissidenti di fare carriera, ottenere fondi, e raggiungere quei meriti direttamente associati al fatto di far parte di quel determinato collettivo scientifico. La pubblicazione su riviste peer-reviewed è praticamente un obbligo nel mondo scientifico: si tratta di luoghi dove si stabiliscono certezze, ragion per cui Collins sottolinea che in tale ambito anomalie e controversie devono essere livellate.

In altre parole il controllo degli articoli delle riviste scientifiche, attuato da colleghi di pari livello, è uno dei modi più vigorosi per stabilire frontiere, stabilendo chi deve essere incluso o escluso dalla rete di comunicazione della scienza, e in definitiva cosa sia ortodosso e cosa non.

Fortuna ha voluto che Hoyle fosse già all’apice della sua carriera, ragion per cui la sua strategia di diffondere le sue ipotesi sulle comete attraverso una rete di comunicazione sociale, che non escludeva nemmeno la diffusione di queste idee attraverso racconti di fantascienza, ebbe successo.

Questa modalità attuata da Hoyle aveva previsto anche annunci sui giornali in anticipo rispetto all’uscita dei suoi articoli nell’ambito della letteratura scientifica (scelta che la comunità scientifica in genere non apprezza).

Hoyle sapeva bene che queste sue idee provocavano l’incredulità presso l’establishment scientifico (vedi anche una lettera al Telegraph del 1978).

Gregory ci ha descritto molto bene le scelte messe in campo da Hoyle per diffondere le sue idee non-ortodosse all’interno della rete sociale di dominio pubblico [63].

Possiamo concludere che in ambito scientifico le controversie tendono ad essere sottovalutate e accantonate in favore delle conoscenze condivise, mentre le elite scientifiche, fatte di un ridotto numero di eminenti scienziati, tendono, per via della loro maggiore influenza e maggiore visibilità, ad inibire altri scienziati meno esperti dall’esprimere punti di vista contrari. Tale sistema è tutt’altro che democratico. Dolby, ad esempio afferma che in un sistema sociale nel quale la dissidenza è scoraggiata e nel quale si rimanda sempre all’esperto, il punto di vista delle elite assume naturalmente una influenza sproporzionata. In altre parole il sorgere del consenso in scienza non è dovuto ad un universale accordo tra gli scienziati [64].

Tutto questo non significa che il referaggio dei testi scientifici non sia necessario, al contrario; il sistema però non garantisce contro frodi o falsi (e il famoso "Sokal hoax", ne è un buon esempio anche se qui non possiamo trattarlo per ragioni di spazio e necessità di restare in tema), e soprattutto non garantisce di poter stabilire un confine tra scienze e parascienze [65].

L’anomalia a partire dalle teorie che la formulano

Delimitato l’ambito delle anomalie, e la loro accettazione o meno nella collettività scientifica, mi sembra ora importante tratteggiare il punto di vista del sociologo Truzzi che tenta di inquadrare le anomalie a partire dal tipo di teorie messe in atto per ogni tipo di "evento straordinario".

Truzzi considera che, in genere, gli "eventi straordinari" siano di due tipi: empirici e non-empirici. Ad esempio l’animale unicorno o lo stato mistico possono essere spiegati rispettivamente attraverso un gruppo di teorie empiriche (scientifiche) o non-empiriche (metafisiche). L’unicorno potrebbe quindi essere spiegato attraverso una mutazione inusuale del cavallo, mentre uno stato mistico potrebbe essere il risultato di un intervento divino…

Un evento anormale è un evento straordinario spiegato con una teoria empirica. Uno paranormale è un evento straordinario non ancora spiegato con una teoria empirica.

Invece, la spiegazione di un evento straordinario messa in atto attraverso una teoria non-empirica è ciò che viene definito dal termine soprannaturale (la causa all’origine della spiegazione sta nel "volere degli dei" o in altre cause metafisiche). Infine vi sarebbero eventi straordinari che non sembrerebbero nemmeno poter avere una spiegazione non-empirica, e sarebbero al di fuori di ogni spiegazione possibile. In questo caso si impiegherà il termine di uso ormai abbastanza raro ai giorni nostri di preternaturale (Truzzi usa anche in alternativa supernaturale).

Gli scienziati in generale cercano di trasformare gli eventi straordinari da paranormali a puramente anormali.

In effetti Truzzi evidenzia che questa divisione in quattro tipi di eventi, non è poi, alla prova della realtà dei fatti, così rigidamente definita. Un evento empirico come la vittoria in una battaglia in passato poteva ad esempio essere spiegata da un intervento divino (non-empirico); così come vi possono essere eventi che a lungo sono stati considerati soprannaturali che per alcuni possono trovare spiegazione in un evento anormale. Tutte le combinazioni sono possibili in altri casi.

Per Truzzi la scienza cerca di convertite il preternaturale e soprannaturale in più semplici eventi paranormali nella speranza di ottenere eventuali spiegazioni in seguito che li facciano divenire eventi più semplicemente anormali [66].

Le anomalie presentano almeno 4 caratteristiche per essere definite tali:

  1. Le anomalie accadono: nel senso che sono percepite e convalidate
  2. Esse non sono spiegate da una teoria scientifica accettata (anche per Truzzi è la caratteristica fondamentale)
  3. Le anomalie sono percepite come eventi che hanno bisogno di una spiegazione
  4. Infine, contraddicono ciò che noi potremmo attenderci dall’applicazione dei nostri modelli scientifici accettati [67].

Perché le anomalie siano cose che in qualche modo accadono mi pare che si debba considerare percezione e convalidazione come elementi che accomunano sia il testimone dell’evento che lo scienziato. In altre parole si può ritenere che anche il testimone usi un suo "metodo di convalidazione" della propria percezione (quando ad esempio definisce una luce misteriosa come Jack-o’-Lanthern oppure disco-volante), così come lo scienziato per convalidare un evento come anomalo deve anche lui percepirlo tale (ad es. formulando una ipotesi su un evento pur in mancanza di dati: l’esistenza segnali intelligenti nel cosmo).

Inoltre lo studio delle anomalie è interdisciplinare: non è un possibile prestabilire che l’anomalia segnalata debba trovare la sua spiegazione in una branca specifica della scienza. "Una volta che tutte le spiegazioni convenzionali sono rigettate, la spiegazione ultima di una anomalia potrebbe rivelarsi essere qualcosa di nuovo ma in un campo inaspettato" [68].

Questo nomadismo significa in qualche modo riportare la teoria e l’epistemologia della scienza ad un certo tipo di pratiche concrete per la ricerca della spiegazione.

Se Truzzi sottolinea la relazione tra anomalia e teoria, "tutte le anomalie sono relative ad una teoria specifica, il grado di anormalità o straordinarietà di un evento non può essere specificato che in rapporto ad una teoria alla quale non corrisponde" [69], si deve anche tenere molto ben presente la relazione tra anomalie e pratiche scientifiche (il famoso segnale "wow!" che fu rilevato dal SETI, fu un evento unico, sul quale non si può teorizzare, ma è una anomalia in relazione ad un insieme di pratiche scientifiche).

Vi sono almeno tre tipi di anomalie, secondo Westrum e Truzzi, che incontrano interesse presso la collettività scientifica.

Le prime sono le "anomalie accettate", presenti in ogni scienza: come già osservato da Thomas Khun e altri, vi sono sempre delle anomalie che gli scienziati considerano dei rompicapi legittimi, che necessitano di essere risolti, pezzi di un puzzle che non stanno nell’insieme e che costituiscono problemi di una certa rilevanza.

In secondo luogo vi sono le "anomalie convalidate", fenomeni inspiegati che non sembrano costituire problemi prioritari dal punto di vista degli scienziati (low priority as problems).

Infine le "supposte anomalie", fenomeni curiosi di cui la gente afferma l’esistenza, insufficientemente documentati o non ancora convalidati dalla comunità scientifica (telepatia, Ufo, yeti, etc.) [70].

Il processo sociale di trasmissione delle informazioni sui casi di anomalie

Si è mostrato come il mondo scientifico percepisce e a volte convalida le anomalie, e le considera o meno argomento valido di studio: diversi fattori, non sempre razionali, spingeranno in una direzione o in un’altra, di rigetto o accettazione. Spesso si compie il grave errore di opporre la scienza ai testimoni di anomalie, ed isolare concettualmente la "supposta anomalia" in un qualcosa che riguarda sempre e solo il testimone: un rischio che si corre quando si oppongono "eventi anomali" (quelli che trattano gli scienziati) alle "esperienze anomale" (quelli che riguardano i testimoni) [71], è quello di creare in tal modo un altro tipo di partage.

Quando uno scienziato accetta di attuare lo studio di una anomalia, sin dal primo momento la considera un evento "reale" piuttosto che una semplice esperienza percepita e/o vissuta (è un punto importante da sottolineare).

Al fine dell’accettazione di un supposto fenomeno come argomento scientifico influiscono anche i processi sociali, almeno come conseguenza della misura in cui la testimonianza diventa verosimile agli occhi di chi ne stabilisce una qualche scientificità a priori.

Si è ritenuto che il processo sociale di trasmissione delle informazioni circa le anomalie, quello che Westrum chiama "social intelligence", potrebbe essere utile a focalizzare l’attenzione degli scienziati motivandone una ricerca di tipo scientifico. E’ quanto Westrum rileva circa la controversia sui meteoriti, ovvero quando Jean-Baptiste Biot (1774-1862) dimostrò ai suoi colleghi la reale esistenza di pietre che cadevano dal cielo [72].

Come più volte sottolineato successivamente da Pierre Lagrange, Biot era riuscito a smentire sia le credenze scientifiche (che andavano dal negazionismo alla teoria più colta che voleva queste pietre espulse da vulcani terrestri) che quelle popolari (che credevano a "pietre di fulmine" ed altre diavolerie), determinando un fatto scientifico che non dava ragione a nessuno delle due parti contendenti la loro pretesa realtà dei fatti.

In altre parole Lagrange ritiene che gli scienziati, per costruire l’identità di un nuovo eventuale fenomeno, devono elaborare un universo socio-tecnico che vada al di là delle testimonianze (ma senza trascurarle) [73].

Più persone possono decidere di riferire una esperienza di anomalia, perché questa non coincide con nessuna categoria culturale convenzionale ma, come si è visto, questo non è di per sé sufficiente a trasformare l’anomalia in argomento scientifico.

Riprendiamo il caso di Biot che, al di là delle conclusioni di Westrum (che tendono ad essere asimmetriche rispetto a quelle di Lagrange) è storicamente ben ritracciato dal sociologo [74].

Nel 1802 a Aigle in Francia avviene una intensa caduta di pietre. Viene inviato sul posto il giovane Biot che prontamente redige un rapporto che conferma la caduta: il rapporto di Biot è estremamente convincente.

La storia analizzata in tal senso mostra un Biot al di sopra delle parti che raccoglie le informazioni della gente, la social intelligence, ne gratta via lo strato folklorico, e col suo rapporto in una sola mossa convalida i meteoriti come fatti scientifici e, come sottolinea Lagrange, smentisce le credenze dei suoi colleghi scienziati.

In realtà a convalidare seppur erroneamente le pietre di fulmine sono prima di tutto i contadini e la gente di quei luoghi, la sociale intelligence; la loro testimonianza viene poi riportata in dettaglio all’attenzione di Biot.

Questa convalidazione popolare del fenomeno veniva da tempo ridicolizzata nel mondo scientifico dato che quei "fatti" sembrano avere ben poca plausibilità, se non addirittura nulla, ed è comprensibile che sia così. Così come viene "spiegato" il fenomeno, popolarmente, non potrebbe essere diversamente.

Il fatto centrale è che, per partire alla volta di Aigle, Biot non ha bisogno delle testimonianze della gente comune, egli ha già una sua percezione del fenomeno dei meteoriti; infatti, prima di partire Biot è già convinto dell’ipotesi dello studioso E.F.F. Chladni che ritiene trattarsi di pietre espulse dai vulcani della Luna che poi raggiungono la Terra.

Ciò dimostra come si debba rifiutare l’idea razionalista che vorrebbe lo scienziato privo di ogni pregiudizio: Biot aveva dei pregiudizi su ciò che voleva trovare, ed orienta tutto il suo discorso in tal senso; in altre parole Biot frappone la propria credenza (pietre dalla Luna) alle altre scientifiche e popolari. La differenza di Biot sta nel modo in cui gestisce la propria convinzione [75].

A questo punto è chiaro che la circolazione della social intelligence, non è l’elemento fondamentale per la convalidazione di un fenomeno anomalo (come vorrebbero ottimisticamente Westrum e Corliss), ma solo accessorio.

In tal senso è interessante al lettura del rapporto redatto da Biot, e subito pubblicato (1803-1804). Biot nel rapporto rivolto al suo istituto tende sin dalle prime righe a dare di sé l’immagine dell’uomo colto che analizza razionalmente in opposizione all’ignorante che crede: "Toujour, dans les questions douteuses, l’ignorant croit, le demi-savant décide, l’homme instruit esamine: il n’a pas la témérité de poser des bornes à la puissance de la nature" [76].

Potrete cercare lungo tutto il testo delle diverse pagine del rapporto qualcosa che abbia un qualche riferimento al folcklore popolare delle pietre di fulmine, ma invano.

Le testimonianze riportate da Biot sono estremamente precise (il rumore del fenomeno, il globo di fuoco, la caduta dei frammenti, etc.) tanto precise che i fatti sono illustrati come la composizione di un puzzle dove tutte le tessere si incastrano tra di loro in modo perfetto grazie ai testimoni (traiettoria, luogo di impatto, etc.).

I testimoni riportano diversi frammenti di meteoriti a Biot e lo aiutano anche a raccoglierli sui luoghi di impatto, senza confonderli con altri sassi, manifestando, per quanto si legge, una attendibilità come testimoni ed una "esperienza" sui meteoriti per così dire "scientifica".

Il rapporto descrive dei testimoni che in pratica conducono Biot alla dimostrazione dei fatti, e non viceversa; a Biot basta partire dalle testimonianze più lontane dal punto di impatto, e mostrare un meteorite, caduto in precedenza a Barbotan, che si è portato dietro come "pietra di paragone". Saranno gli stessi testimoni a riconoscere l’identità tra il meteorite di Barbotan e quelli da loro raccolti sul terreno.

Sappiamo invece quanto sia complicato, ancora oggi, ricomporre la traiettoria di un rientro in atmosfera, il luogo di impatto e ritrovare correttamente i frammenti meteorici, anche quando si ha la necessaria esperienza pratica in questo tipo di ricerche.

Evidentemente Biot ha smussato gli spigoli del suo rapporto per renderlo plausibile al massimo, anche se non ne abbiamo la prova assoluta.

Anche nel caso che sia uno scienziato ad essere testimone di un fatto non convenzionale, questo non sarà motivo sufficiente perché scatti tra i suoi colleghi una esigenza di approfondimento (ad esempio nel caso di quel gran numero di astronomi che hanno osservato fenomeni Ufo senza riuscire in una identificazione). L’anomalia può rimanere a lungo relegata tra le bizzarrie della natura (nel migliore dei casi) fino a che questa non sembrerà mettere a dura prova regole accettate. Il processo sociale di trasmissione delle informazioni quando tocca le anomalie, è anche inficiato dalle modalità di raccolta e trasferimento delle testimonianze (ad esempio le inchieste Ufo e la qualità di tali indagini, la forma scritta delle stesse, il modo successivo di rielaborarle narrativamente, etc.) e dalle aspettative sociali che condizionano tali rapporti (le convinzioni dei testimoni, i racconti dei testimoni, il metodo di raccolta degli ufologi, la diffusione della notizia dei media o in certi casi si altre istituzioni, dei militari, etc.) [77].

La social intelligence che da un lato aiuta la diffusione dall’altro crea essa stessa limiti di credibilità: la stranezza di un fatto riportato può essere indice di attendibilità o l’esatto contrario.

Truzzi fa notare come una affermazione di anomalia (l’evento in sé, la testimonianza e/o il rapporto di indagine, chi diffonde l’indagine e/o la narrativa a riguardo) può essere criticata su ognuno di questi tre punti: "L’evento può essere visto come troppo improbabile, la testimonianza come assai poco plausibile, e/o il narratore come non credibile" [78].

Vi è anche un paradosso singolare che Westrum rileva dal caso di Biot. Da una parte la non plausibilità dei "fatti" riportati dalla gente comune impedisce la circolazione della social intelligence verso gli scienziati, mentre dall’altra gli scienziati che non credono a tali racconti, affermano, paradossalmente, che se le pietre che cadono dal cielo esistessero davvero ne avrebbero avuto notizia da tempo e ne sarebbero già stati al corrente.

Nel 1759 James Springle affermava: "… if these meteors had really fallen, there must have been long ago so strong evidence of the fact, as to leave no room to doubt of it at the present". Era così che iniziava la controversia, che sarebbe rimasta tale, per più di 44 anni, prima di essere accettata all’interno della conoscenza scientifica [79].

L’intera situazione che si sviluppa nel caso Biot offre molte indicazione circa altri casi di anomalie controverse discusse oggi, come ad esempio gli Ufo [80].

In teoria la scienza, nel recepire le narrazioni di anomalie, dovrebbe rappresentare un tipo di cultura aperta a qualsiasi affermazione. Ma aperta anche alla più straordinaria delle affermazioni delle parascienze?

Chi come Paul Feyerabend afferma che "non c’è idea per quanto antica o assurda, che non sia capace di migliorare la nostra conoscenza" afferma pure un altro tipo di principio di cautela, ad includendum: "Quando viene presentata una nuova teoria, non dobbiamo usare immediatamente le norme abituali per decidere la sua sopravvivenza". In altre parole: "Quando entra in scena una nuova teoria o una nuova idea, essa è di solito ancora un po’ confusa, contiene contraddizioni, la relazione con i fatti non è chiara, le ambiguità vi abbondano. La teoria è piena di errori. Essa può però essere sviluppata, e potrebbe migliorare" [81].

Su altro fronte c’è chi, come J.W. Grove, tende a considerare questa apertura mentale come ineccepibile, ma solo a condizione che sia sviluppata come una "semplice istanza retorica" perché, se interpretata letteralmente, sarebbe a suo parere assurda. Ecco di nuovo ergersi un muro a protezione della razionalità quando Grove conclude così: "Non parlo del fatto che la scienza non possa sviluppare in anticipo qualsiasi teoria o qualsiasi fatto. Essa può sviluppare alcune teorie e alcuni fatti. Ma un mondo dove nessuna possibilità è esclusa sarebbe un mondo nel caos" [82].

Un piccolo colpetto ben assestato (di demarcazione del confine) e l’orologio ritorna a fare tic-tac.

Eppure, quando l’anomalia varca il confine della parascienza per entrare nel territorio della scienza, per divenire un nuovo oggetto, questa novità si affianca ad una anomalia sociale: un intero collettivo si mette in discussione, attraverso le pratiche che gli sono proprie, per comprendere ciò che altrimenti resterebbe inesplicato, illogico, irrazionale, privo di senso e assurdo: in poche parole confinato a restare anomalia. In quel momento anche quel collettivo come l’anomalia trova un senso, un significato nuovo.

Note bibliografiche

[1] Latour Bruno & Woolgar Steve, “La vie de laboratoire. La production des faits scientifiques”, La Decouverte, 1996.
Scrive Latour: “Il laboratorio appariva come un sistema di iscrizione letteraria, il cui scopo era di convincere in alcuni casi che un enunciato era un fatto. Da questo punto di vista, si ha tendenza a considerare che un fatto è ciò che si scrive in un articolo; si occulta così la sua costruzione sociale e la storia di questa costruzione” (p. 91).

[2] Le anomalie di cui mi interesso sono prevalentemente quelle legate alla percezione ed osservazione di fenomeni luminosi in atmosfera (Transient Luminous Phenomena in the Atmosphere).

[3] Fort H. Charles, “Il libro dei dannati”, Armenia Editore, Milano, 1985, pp. 9-10.

[4] Tento di inquadrare il problema delle anomalie secondo il punto di vista indicato da: Latour Bruno, “Il culto moderno dei fatticci”, Meltemi, 2005.

[5] Collins Harry & Pinch Trevor, “Tout ce que vous devriez savoir sur la science”, Editions du Seuil, [“The Golem”, 1993], 1994, p. 69, pp. 79 e 80.

[6] Sotto altre etichette, argomenti ufologici e criptozoologici sono già stati trattati prima del 1947, in tempi non sospetti e anche di molto precedenti ai testi di Charles H. Fort. In una ricerca in atto Yannis Deliyannis a riscoperto libri che riportano la “teoria degli Antichi Astronauti”, le tematiche “danikëniane”, le misteriose civiltà scomparse, ed alcuni temi criptozoologici al 1863, libri che smentiscono le origini teosofiche di questi argomenti.

[7] Truzzi Marcello, “Editorial”, riv. "Zetetic Scholar”, nr. 2, 1978, pp. 64-65.
Truzzi parla di “alleged phenomena” e “extraordinary events”.

[8] Truzzi Marcello, “The Perspective of Anomalistic”, Center for Scientific Anomalies Research (CSAR), 1998.
Fu l’antropologo Roger W. Wescott ad inventare il termine anomalistica per dare una definizione allo studio emergente interdisciplinare delle anomalie scientifiche nel 1973 (in: Wescott W. Roger, “Anomalistics: The Outline of an Emerging Area of Investigation”, paper per “Interface Learning System”, 1973).

[9] Westrum Ron, “Social Intelligence About Anomalies: The Case of UFOs”, riv. “Social Studies of Science”, vol. 7, 1977, p. 272.

[10] In tal senso si veda: Barney Barry & MacKenzie Donald, “On the role of interests in scientific change”, in [a cura di] Wallis Roy, “On the Margin of Science: The Social Construction of Rejected Knowledge”, riv. “Sociological Review Monograph”, nr. 27, University of Keele, 1979, pp. 49-66.

[11] Faccio sempre uso del termine Ufo come termine per un insieme molto ampio e non come intendeva l’acronimo americano di origine militare di U.F.O. (Unidentified Flying Objects). Gli Ufo infatti assumono diversi significati a secondo di chi fa uso del termine. Gli Ufo possono essere di volta in volta, dischi volanti, oggetti non identificati, strane luci nel cielo, fenomeni naturali poco conosciuti come fulmini globulari, oppure “semplicemente” allucinazioni e/o errori percettivi.
In altre parole uso Ufo come termine sociologico (non diversamente dagli ufologi e dalla gente comune): Ufo è tutto ciò che i testimoni definiscono come tale.

[12] Westrum Ron, “Knowledge about sea-serpents”, in [a cura di] Wallis Roy, “On the Margin of Science: The Social Construction of Rejected Knowledge”, riv. “Sociological Review Monograph”, nr. 27,University of Keele, 1979, p. 293.
Il termine deviant phenomena fa il paio con deviant science.

[13] Ibidem, p. 295.

[14] Blake A. Joseph, “Ufology: the intellectual development and social context of the study of unidentified flying objects”, in [a cura di] Wallis Roy, “On the Margin of Science: The Social Construction of Rejected Knowledge”, riv. “Sociological Review Monograph”, nr. 27, University of Keele, 1979, p. 322.

[15] Ibidem, p. 325 e succ..

[16] Su questa idea bizzarra della richiesta di una prova “straordinaria” è incappata anche la sociologia ancora di recente: Truzzi Marcello, “The perspective of anomalistic”, Center for Scientific Anomalies Research (CSAR), 1998.

[17] Collins H.M., “The place of the ‘core-set’ in modern science: social contingency with methodological propriety in science”, in “History Science”, [fornito da NASA Astrophysics Data System] 1981, pp.8-19.

[18] Collins H.M. & Pinch, “The construction of the paranormal: nothing unscientific is happening”, in [a cura di] Wallis Roy, “On the Margin of Science: The Social Construction of Rejected Knowledge”, riv. “Sociological Review Monograph”, nr. 27, University of Keele, 1979, pp. 237-238.

[19] Paillero Maria Inés, Parente Patricio, Kraft Flora Delfino,“La construcción narrativa de la creencia y del discurso scientifico en distintos contextos, canales y códigos”, EPIF, Istituto de Ciencias Antropológicas, UBA, Buenos Aires, 2007, inedito.

[20] Per una breve sintesi sull’approccio scientifico che si è sviluppato attorno agli Ufo si veda la definizione di UAP (Unidentified Arial Phenomena) un termine sostitutivo di UFO (nato invee come termine militare), presente sul sito del CIPH: http://www.itacomm.net/ph/ciph/uap.html.

[21] Lagrange Pierre, “When SETI meets an alien culture: understanding the troubled relationships between SETI and ufology”, 2009; testo proceedings del convegno SETI, Parigi, settembre 2008, non ancora pubblicato [comunicazione personale].
I ricercatori SETI si smarcano dall’argomento degli Ufo, e anche gli Ufologi sottolineano spesso che SETI è altra cosa dallo studio degli Ufo.
L’eliminazione di questo partage tra scienza ed ufologia, come auspica il sociologo Pierre Lagrange, non significa accettare una visione relativista dove SETI ed ufologia sono intercambiabili, e soprattutto non significa cancellare le differenze, ma semmai sottolineare differenze e punti in comune tra i due territori.
Lagrange dimostra che questi due pensieri non si oppongono in termini di pensiero magico e di pensiero scientifico ma in termini di “pratiche materiali”.
Già Truzzi aveva rivolto un invito in tal senso a tutti quelli consideravano irragionevole sviluppare indagini sulle segnalazioni di Ufo: “Farebbero senza dubbio bene ad esaminare con attenzione gli argomenti e gli elementi avanzati da coloro che promuovono gli attuali tentativi di contattare un intelligenza extraterrestre che si suppone presente in altri sistemi stellari”; in: Truzzi Marcello, “Zetetic ruminations on skepticism and anomalies in science”, riv. “Zetetic Scholar”, nr. 12/13, 1987, p. 11.
Lagrange approfondisce nella sua relazione questo punto lasciato in sospeso da Truzzi.

[22] Westrum Ron, “Social Intelligence About Anomalies: The Case of UFOs”, riv. “Social Studies of Science”, op. cit. p. 293.

[23] Drévillon Hervé & Lagrange Pierre, “Nostradamus.L’éternel retour”, Découvertes Gallimard, 2003.
“Rivelando il senso del destino umano, i vaticini di Nostradamus esercitano la funzione di dare un’anima al mondo e di rivelarne i suoi piani segreti. Secondo le epoche ed i luoghi, questa funzione ha potuto essere svolta da altri tipi di discorsi: la religione, la poesia, la filosofia e a volte, pure la scienza….” (op. cit. p. 65).

[24] Wright W.G. Peter, “a study in the legitimation of knowledge: the ‘success’ of medicine and the ‘failure’ of astrology”, in [a cura di] Wallis Roy, “On the Margin of Science: The Social Construction of Rejected Knowledge”, riv. “Sociological Review Monograph”, nr. 27, University of Keele, 1979, pp. 95-100.

[25] In tal senso Licata nella sua prefazione: Licata Ignazio, “L’osservatore e il soggetto. Teoria Quantistica, linguaggio e cibernetica”, in: Peat David, “I sentieri del caso”, Di Renzo Editore, 2004, p. 7.

[26] Lagrange Pierre, “When SETI meets an alien culture: understanding the troubled relationships between SETI and ufology”, op. cit..
Lagrange cita gli studi della sociologa Isabelle Stengers.

[27] Ibidem.

[28] Sagan Carl, “Il mondo infestato dai demoni; la scienza ed il nuovo oscurantismo”, Baldini & Castoldi, 2001, pp. 321-336.

[29] A proposito della famosa frase di Einstein e dei problemi della fisica quantistica in riferimento alla possibilità di fenomeni paranormali, e quindi gli esperimenti degli anni 70 sui metalli piegati dalla mente, si veda: Collins H.M. & Pinch T.J., “Frames of Meaning: the Social Construction of Extraordinary Science”, Routledge, 1982, pp.66-89.
Per ulteriori approfondimenti dei problemi che la fisica moderna pone alla realtà: Penrose Roger, “La mente nuova dell’imperatore. La mente, i computer e le leggi della fisica”, BUR. 2000. p.289 e succ.

[30] Non a caso il cap. VI a cui faccio riferimento si intitola: "Magia quantistica e mistero quantistico".

[31] Sagan Carl & Page Thornton [a cura di], “UFO’s a scientific debate”, Cornell University Press, Ithaca e Londra, 1972, p. xix.
In apertura del simposio, il professor Roberts aveva affermato: “…the public understanding of science is at stake and […] the borders between scientific and non-scientific discussion need explicit delineation”.

[32] Ad esempio la definizione in chimica del concetto di gas, contribuirà notevolmente attraverso un lungo e tortuoso dibattito alla scientificazione dei fuochi fatui che potranno più agevolmente (ma a nostro parere erroneamente) essere spiegati come semplice “aria infiammabile di palude”. Vedi in tal senso: Conti Nico, “Fuochi Fatui”, 2008, non pubblicato.

[33] In tal senso Ignazio Licata in: Peat David, “I sentieri del caso”, op. cit. p. 13.

[34] Westrum Ron & Truzzi Marcello, “Anomalies: a bibliographic introduction with some cautionary remarks”, riv. “Zetetic Scholar”, nr. 2, 1978, p. 70.
Gli autori citano: Humphreys C. Willard, “Anomalies and Scientific Theories”, Freeman, Cooper & Co., 1968.
Quanto al termine anomalia riportano la definizione del dizionario Webster: “qualcosa che devia in eccesso da una normale variazione”. Westrum & Truzzi indicano che il concetto di anomalia è vago e che è in pratica un sinonimo di “anormalità” e “irregolarità”.

[35] Von Franz Marie Louise, “Psiche e materia”, Bollati Boringhieri, 1992, p. 26 e p. 122.

[36] Latour Bruno “L’espoir de Pandore. Pour une version réaliste de l’activité scientifique”, La Découverte/Poche, Parigi, 2007, pp. 10-11 e p. 19.

[37] Von Franz Marie Louise, “Psiche e materia”, op. cit. p. 26.

[38] Eliade Mircea, “Mito e realtà”, Borla, 1993, pp. 143-145.

[39] Strauss Claude Lévi, “Mito e significato”, Net, [1978], 2002, pp. 19-20.

[40] De Martino Ernesto, “Il mondo magico. Prolegonemi a una storia del magismo”, Universale Bollati Boringheri, [1973], 2007, pp. 52 e 53.
Qui posso solo accennare a de Martino, ma “Il mondo magico” è pieno di idee interessanti sulle differenze tra scienza e paranormale, tra mondo occidentale e mondo magico; la scienza nascerebbe ad es. dal paradosso di una “natura culturalmente condizionata”…

[41] Strauss Claude Lévi, “Mito e significato”, op. cit. p. 37.
Strauss era convinto che nella scienza odierna fosse in atto un ricongiungimento tra pensiero mitico e pensiero scientifico e conclude: “Ciò consentirà senza dubbio di comprendere moltissimi elementi del pensiero mitico che in passato eravamo pronti a liquidare come insensati e assurdi”.

[42] Von Franz Marie Louise, “Psiche e materia”, op. cit. p. 55.
“… la nostra tradizione giudaico-cristiana considera Dio estraneo al tempo, creatore del tempo insieme al mondo. Anche se crediamo che la natura segua delle leggi, secondo le quali gli eventi si ripetono nel tempo, esistono, cosa strana, eventi magici e parapsicologici intesi come un diretto intervento di Dio”.

[43] C’è da domandarsi se tutti gli eventi debbano essere spiegati con l’ipotesi di “causa ed effetto” e se non esistano anche eventi acausali (come la sincronicità supposta da Jung), ed infine il senso da dare alla possibilità del “caso” come evento probabilistico ma non determinabile con certezza: ciò ci porterebbe troppo lontano, ma sono tutte ipotesi che non possiamo bandire con il ragionamento circolare di non averne prova.

[44] Isabelle Stengers [a cura di], “Da una scienza all’altra. Concetti nomadi”, Hopelfulmonster, Firenze, 1988, pp. 27-30.

[45] L’analisi di come avviene il processo di osservazione in fisica atomica, dimostra che le particelle sub-atomiche non abbiano significato come entità isolate, ma possano essere comprese solo in quanto interconnessioni tra la fase di preparazione di un esperimento e le successive misurazioni.
In tal senso si veda ad es.: Capra Fritjof, “Il Tao della Fisica”, Adelphi Edizioni, 1994, pp. 81-82.
Capra afferma: “La meccanica quantistica rivela quindi una fondamentale unità dell’universo: mostra che non possiamo scomporre il mondo in unità minime dotate di esistenza indipendente”. La materia appare come una complessa rete di relazioni tra le varie parti del tutto: Queste relazioni includono sempre l’osservatore come elemento essenziale.”
In altre parole la conoscenza scientifica si pone un problema di descrizione della realtà dove però “parole e concetti, per chiari che possano sembrare, hanno soltanto un campo limitato di applicabilità” (Capra cita una affermazione del fisico Werner Heisenberg, pp. 31-32).
La divisione illusoria tra Io e natura ci viene da Cartesio che pensava che il mondo potesse essere descritto oggettivamente senza dover mai tener conto dell’osservatore umano (p. 67).

[46] Broch Henri, “Le paranormal”, Editions du Seuil, [1985], 1989, p. 185.
Il noto razionalista francese vuole affermare che: “La nature est sure”. Essa sarebbe qualcosa, là al di fuori di noi, solo in attesa di essere scoperta semplicemente applicando il metodo scientifico.

[47] Barrow D. John, “Impossibilità”, Rizzoli, 1999, p. 252 e p. 253, nota 32 p. 375.

[48] Popper R. Karl, “Proscritto alla logica della scoperta scientifica; II. L’universo aperto”, Il Saggiatore, 1986, p. 25.

[49] Latour Bruno, “L’espoir de Pandore. Pour une version réaliste de l’activité scientifique”, op. cit. p. 108.
Scrive Latour: “A cosa serve la scienza se non a modificare le associazioni tra gli umani e le cose?”.

[50] Khun S. Thomas, “La tensione essenziale: tradizione ed innovazione nella ricerca scientifica”, in “La tensione essenziale”, Einaudi Paperbacks 163, [1977], 1985, pp. 256-258.

[51] Lagrange Pierre [a cura di], AA. VV., “Compte rendu complet du debat avec M. Bernard Heuvelmans” [1981], riv. Kraken, Département de cryptozoologie, vol. I, Museo Cantonale di Zoologia, Losanna, 2008, p. 6, pp. 20 e 21.
In questo testo ci si riferisce soprattutto alla criptozoologia, messa in confronto con i problemi dell’ufologia.

[52] Persinger A. Michael & Lafrenière F. Gyslaine, “Space-Time Transients and Unusual Events”, Nelson-Hall, Chicago, 1973, pp. 2-3.

[53] Derr S. John, “Earthquake lights: a review of observations and present theories”, riv. “Bullettin of the Seismological Society of America”, vol. 63, nr. 6, 1973, pp. 2177-2187.

[54] Corliss R. William, “A Search for Anomalies”, op. cit., pp. 439-453.

[55] Già agli inizi del 700 abbiamo riferimenti dell’utilizzo del termine “anomalia” in astronomia (vedi ad esempio: Keil John, “Institutions astronomiques, ou leçons élémentaires d’Astronomie”, presso Hippolyte-Louis Guerin & Jaques Guerin, Parigi, 1746). Durante l’arco dell’ 800, poi fino ai nostri giorni, il termine “anomalia” è soprattutto usato in medicina, in riferimento a difetti psicofisici. Si può trattare di disturbi mentali (vedi ad es.: Madden R.R., “The Infermities of Genius Illustrated by Referring the Anomalies in the Literary Character, to the Habits and Constitutional Peculiarities of Men of Genius”, Carey, Lea, and Blachard, Filadelfia, 1833) oppure di qualsiasi altra anormalità del corpo umano, come casi rari e/o straordinari (vedi ad esempio: Gould M. George & Lytle Walter, “Anomalies and Curiosities of Medicine”, 1897). Dal secolo scorso fino ad oggi il termine oltre che in medicina viene spesso usato in fisica.
Non siamo a ben vedere molto lontani da un uso simile a quello del termine “prodigio” degli antichi. Nei moderni le “anomalie” sono ormai scientificizzate e separate per discipline e "sembrano" deprivate dell’aspetto religioso.

[56] Collins H.M. & Pinch T.F., “The construction of the paranormal: nothing unscientific is happening”, in [a cura di] Wallis Roy, “On the Margin of Science: The Social Construction of Rejected Knowledge”, op. cit., pp. 238-239.

[57] Corliss R. William, “A Search for Anomalies”, op. cit., pp. 439-453.
Quest’ultimo concetto (p. 446) è identico all’opinione di Truzzi quando afferma che gli scettici “… sembrano meno inclini ad adottare la stessa posizione critica nei confronti delle teorie ortodosse”; vedi: Truzzi Marcello, “The Perspective of Anomalistic”, op. cit..

[58] Corliss R. William, “A Search for Anomalies”, op. cit., pp. 439-453.

[59] Grove W. J., “Rationality at Risk: Science against Pseudoscience”, Minerva, vol. 23, nr. 2, giugno 1985, pp. 216-217.
Grove non usa il termine non-scientifico ma pseudo-scientifico (dispregiativo delle parascienze).

[60] Khun S. Thomas, “La tensione essenziale: tradizione ed innovazione nella ricerca scientifica”, op. cit..
Il discorso di Khun sulla tensione essenziale è stato ripreso anche in: Truzzi Marcello, “Zetetic ruminations on skepticism and anomalies in science”, riv. “Zetetic Scholar”, nr. 12/13, 1987, p. 9.

[61] Grove W. J., “Rationality at Risk: Science against Pseudoscience”, op. cit. p. 218 e p. 231.

[62] Druffell Ann, “Firestorm. Dr. James E. McDonald’s fight for UFO Science”, Wild Flower Press, 2003, pp. 497-508.

[63] Gregory Jane, “Unorthodox science in the public domain: a communication network approach”, Department of Science and technology Studies, Imperial College, Londra, s.d., pp. 1-21 (disponibile in: www.cirst.uqam.ca/pcst3/PDF/Communications/GREGORY.PDF).
Gregory cita in particolare: Collins H.M. & Pinch T.J., “Frames of Meaning: the Social Construction of Extraordinary Science”, Routledge, 1982; Collins H.M., “Changing Order: Replication and Intuition in Scientific Practice”, Sage, 1985; e, Collins H.M., “The place of the ‘core-set’ in modern science: social contingency with methodological propriety in science”, op.cit..

[64] Dolby R.G.A., “Reflections on Deviant Science”, in [a cura di] Wallis Roy, “On the Margin of Science: The Social Construction of Rejected Knowledge”, riv. “Sociological Review Monograph”, nr. 27, University of Keele, 1979, p.14.

[65] Gernert Dieter, “How to Reject any Scientific Manuscript”, riv. “Journal of Scientific Exploration”, vol. 22, nr. 2, 2008, pp. 233-243.

[66] Truzzi Marcello, “Editorial”, riv. "Zetetic Scholar”, op. cit..

[67] Truzzi Marcello, “Zetetic ruminations on skepticism and anomalies in science”, op. cit. p. 13.

[68] Truzzi Marcello, “The Perspective of Anomalistic”, op. cit..

[69] Truzzi Marcello, “Zetetic ruminations on skepticism and anomalies in science”, op. cit. p. 14.

[70] Westrum Ron & Truzzi Marcello, “Anomalies: a bibliographic introduction with some cautionary remarks”, op. cit. p. 70.

[71] E’ il rischio che corre uno studioso attento come Jerome Clark quando pone maggior rilievo sul termine “anomalous experiences” piuttosto che sulla supposta anomalia in sé, o ancor meglio sul processo di socializzazione dell’anomalia.
Quando Clark ritiene che un “bilanciato scetticismo”, conscio dei limiti della scienza, sia meglio che una “credulità cieca”, fa una affermazione di buon senso che però non ha contatto alcuno con l’approccio scientifico pratico: attraverso quale processo uno scienziato accetta l’anomalia come oggetto di studio? Non deve in qualche modo prima credere che sia possibile che esista qualcosa che funziona in modo diverso dalle regole della scienza in cui crede?
Quando poi Clark cerca di ricondurre a ragionevolezza le anomalie degne di attenzione scientifica, prova ad indicare una fantomatica “scala di stranezza”. Alcune anomalie come ad es. i fulmini globulari sarebbero nella parte più bassa della scala di stranezza.
Questi fenomeni sarebbero quindi meno ambigui di quelli posti nel punto più elevato di stranezza e perciò più facili oggetti scientifici, in quanto si tratterebbe di enigmi che non sconvolgerebbero la nostra visione del mondo.
Optare per questo ragionamento significa eliminare una storia di centinaia di anni in cui gli scienziati hanno attuato una serie di strategie proprio per ridurre concettualmente il livello di stranezza di un fenomeno come il fulmine globulare.
Clark Jerome, “Intoduction on Anomalous Experiences”, in “Unexplained!”, Visibile Ink, Detroit-Londra, 1999, p. xv e p. xx.
Lo stesso Clark critica ad esempio quegli studiosi di Ufo (Jacques Vallée e John Keel), che in passato hanno puntato la loro attenzione sui casi a più elevata stranezza, e fa una affermazione a mio avviso circolare: “Più strano è il caso, e più difficile è stabilire che un qualche evento è accaduto nell’ambito di qualsiasi senso comunemente dato a termini come evento e accaduto”.
Clark Jerome, “Experience Anomalies”, riv. “Fortean Times”, nr. 243, 2008, pp. 42-47.

[72] Westrum Ron, “Social Intelligence About Anomalies: The Case of UFOs”, riv. “Social Studies of Science”, op. cit. p. 272.

[73] Lagrange Pierre, “La vérité est ailleurs; ou comment torre le cou à quelques idées reçues à propos des soucoupes volantes”, riv. “Bifrost”, nr. 19, 2000, pp. 112-113.
A proposito di Biot, si veda pure l’articolo breve di Lagrange sul mio blog: Lagrange Pierre, “Biot, l’example des meteorites, et les ufologues”, nel blog “Il laboratorio delle anomalie”, febbraio 2009.

[74] Westrum Ron, “Science and Social Intelligence about Anomalies: The Case of Meteorites”, riv. “Social Studies of Science”, 1978, pp. 461-493.

[75] Di questa idea anche Pierre Lagrange [comunicazione personale via e-mail 4 marzo 2009].

[76] Biot Jean-Baptiste, “Relation d’un voyage fait dans le department de l’Orne pour constater la réalité d’une météore observe à l’Aigle le 6 floréal an 11”, Edition Baudouin, Thermidor an XI.
In queste pagine faccio riferimento alla versione digitale presente sul sito http://www.rr0.org/data/1/8/0/3/04/26/Biot_LAigle/index.html: Biot Jean-Baptiste, “Mélange Scientifiques et Littéraires”, vol. 3, Michel Lévy Frères, Parigi, 1858.

[77] Westrum Ron, “Social Intelligence About Anomalies: The Case of UFOs”, riv. “Social Studies of Science”, op. cit. p. 286.

[78] Truzzi Marcello, “Zetetic ruminations on skepticism and anomalies in science”, op. cit. p. 16.

[79] Westrum Ron, “Social Intelligence About Hidden Events. Its Significance for Scientific Research and Social Policy”, in “Knowledge: Creation, Diffusion, Utilisation”, Sage Publication, vol. 3, nr. 3, 1982, p. 381.

[80] Westrum Ron, “Science and Social Intelligence about Anomalies: The Case of Meteorites”, op. cit. pp. 483 e 484.

[81] Feyerabend K Paul, “Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza”, Feltrinelli, [1945], 2002, p. 149 e p. 151.

[82] Grove W. J., “Rationality at Risk: Science against Pseudoscience”, op. cit., p. 240.
Grove cita (oltre a Feyerabend): Cohen Morris, “Reason and Nature”, The Free Press, Collier-Macmillan, 1964, pp. 158-159.

[Ringraziamenti: Renzo Cabassi, Maria Ines Paillero, Jerome Beau, Yannis Deliyannis, Pierre Lagrange.
Ringrazio Roberto Labanti per avermi messo a disposizione molte delle fonti bibliografiche qui utilizzate]