Innanzitutto si deve dire che l'ampio articolo comparso sul di maggio 2009 della rivista di divulgazione astronomica "Nuovo Orione", a firma Antonio Lo Campo è, almeno così mi pare, uno dei migliori articoli, nella pubblicistica non specialistica, finora comparsi sull'argomento.
Il fatto di passare in rassegna l'argomento con interviste agli interpreti del fenomeno, analizzando i primi studi ad Hessdalen dell'astrofisico e divulgatore Massimo Teodorani e quindi considerando i successivi dieci anni di collaborazione tra comitato CIPH e Project Hessdalen, dando infine parola al direttore del comitato Renzo Cabassi ed al team dei tecnologi Stelio Montebugnoli e Jader Monari, rende l'articolo estremamente fruibile, e simmetrico il testo, facendo chiarezza sul dibattito interno alle luci.
Che sui pochi dati raccolti vi sia stata una controversia è chiaro a tutti, ma non è altrettanto chiaro, se non agli addetti ai lavori che questa controversia sia stata estremamente utile allo sviluppo di questa difficile ricerca scientifica (la discussione è concreta: quali strumenti e quali metodi adottare in questo tipo di ricerca, e la risposta comporta una inevitabile continuazione del lavoro strumentale sul terreno).
Lo Campo fa un simpatico parallelo tra questa ricerca sul fenomeno delle luci di Hessdalen e quella del mostro di Loch Ness, affermando che si tratta di due fatti diversi nelle modalità e nei percorsi: Hessdalen è scienza mentre Nessie è solo folklore. Lo ringraziamo per questa affermazione, ma essa ha bisogno di precisazioni per poter essere vera.
Egli afferma che una grande differenza sta nel fatto che le luci siano state "viste" anche dagli scienziati, mentre Nessie sarebbe solo una illusione ottica o un tipo di mitologia.
Evidentemente sorge un problema che è quello di stabilire quali argomenti possano rientrare nella "scientificità", ed in altre parole cosa sia reale o falso, scientifico o parascientifico.
Il fatto è che una netta distinzione dei due campi, razionale e irrazionale non è così netta ed individuabile come una certa epistemologia astratta vuole farci credere; anche in ambito scientifico il dibattito tra ciò che è vero e ciò che è falso è ben presente: basti pensare al famigerato effetto serra.
Se prendiamo Nessie, tutto solo nelle sue acque scozzesi, e dimentichiamo il dibattito della criptozoologia, esso sarà davvero un puro fantasma della percezione, un mito in formazione, ma ciò può accadere anche alla interpretazione delle Luci di Hessdalen se le consideriamo solo a partire dalle testimonianze degli esperti, isolandole dal lungo dibattito in scienza sui fenomeni luminosi in atmosfera: fuochi fatui, fulmini globulari, luci sismiche, etc.
In scienza non basta vedere per poter affermare (ed accumulare conoscenza), ma si deve creare una rete di dati scientifici correlabili, insieme ad una rete di scienziati attivamente interconnessi tra loro e che si correlano a quei dati, fondando ipotesi, idee, esperimenti, verifiche e nuovi oggetti (in altre parole socializzano quei dati).
Due cose sembrano sfuggire al bel testo di Lo Campo: la storia delle luci in atmosfera, e la storia delle luci di Hessdalen (e prima o poi si dovrà svilupparla seriamente e per intero).
La storia delle luci in atmosfera (ed anche di altri fenomeni che oggi ci paiono banali come i meteoriti) ha un lungo passato di controversie, che comincia con i fuochi fatui, per diventare argomento scientifico moderno con i fulmini globulari, grazie all'astronomo D'Arago nella prima metà dell'800. Ma non dobbiamo dimenticare che ancora negli anni 70 molti scienziati dell'atmosfera non riconoscevano a queste manifestazioni una realtà e li consideravano un semplice frutto della narrativa popolare.
A cavallo del 900 si comincia a parlare in ambito scientifico anche di luci sismiche, grazie in particolare ad un ampio lavoro di catalogazione dell'astronomo Galli. Ma la maggior parte dei sismologi non riconoscerà a queste luci una dignitosa esistenza, anzi la negazione tout court sarà la norma. I sismologi di fronte ai racconti dei terremotati cercheranno sempre di ridurre questi precursori sismici ad errori di percezione (la strategia non è nuova).
In questo dibattito di lunga durata, si inseriscono le luci di Hessdalen con la complicanza delle origini della loro casistica.
Per esistere oggi, come fatto scientifico, le luci di Hessdalen si devono smarcare dai primi testimoni, e devono trovare uno spazio autonomo tra i fenomeni rari, localizzandosi.
Una volta erano le luci fantasma a localizzarsi (Brown Mountain Lights, Luci di Berbenno, Luce di Yara etc.) oggi sono le luci che i testimoni interpretano come Ufo, partendo dalla loro cultura e dal contesto.
La storia delle luci di Hessdalen nasce con una ondata di avvistamenti Ufo, in una valle vicina che poi, solo in un secondo momento, si sposta nella valle omonima.
Il problema è ancora una volta quello della scienza che deve tenersi ben separata dalla narrativa popolare, se vuole mantenere la posizione arbitrale e di potere che vuole lo scienziato come l'unico a poter stabilire ciò che è vero e ciò che è falso, ossia il confine tra razionale ed irrazionale.
Gli Ufo, avvistamenti di occasionali testimoni, di luci e solidi nel cielo non identificate/i, hanno il grosso problema di essere un termine collaterale a quello dei "dischi volanti", dal 1947 in poi.
Gli scienziati indubbiamente non amano che l'argomento "ufologico" sia considerato "scientifico", eppure è evidente che certi avvistamenti pongono problemi che per trovare una soluzione necessitano di un tipo di analisi che presenta le stesse difficoltà di altri problemi posti ai confini delle conoscenze ammissibili (abbiamo detto delle luci sismiche).
Parliamo degli stessi oggetti? Parliamo di altri fenomeni?
Certo sulle luci di Hessdalen gli studiosi non hanno ancora raccolto sufficienti dati correlabili; ma alcuni fatti esistono: basti pensare al rilevamento dei miniflashes, durante la missione del gruppo Astrofili Columbia di Ferrara, oppure ad alcuni spettrogrammi, vedi l'ultimo di Bjorn G. Hauge del Project Hessdalen.
Esistono non solo problemi di metodo (non basta dire "Ufo no grazie") ma anche di mezzi (non si può affermare che mancano le prove senza prima mettere a disposizione uomini e mezzi finanziari per trovarle).
Lo Campo ci trasporta attraverso le fasi di questa intricata ed intrigante ricerca scientifica, facendoci capire quali e quante siano le strade da percorrere per giungere alla meta.
Lo Campo Antonio, "Le sfere di luce di Hessdalen", riv. "Nuovo Orione", nr. 204, maggio 2009.
Vedi Sito web rivista "Nuovo Orione": http://www.orione.it/
[redazione Nico Conti]
Il fatto di passare in rassegna l'argomento con interviste agli interpreti del fenomeno, analizzando i primi studi ad Hessdalen dell'astrofisico e divulgatore Massimo Teodorani e quindi considerando i successivi dieci anni di collaborazione tra comitato CIPH e Project Hessdalen, dando infine parola al direttore del comitato Renzo Cabassi ed al team dei tecnologi Stelio Montebugnoli e Jader Monari, rende l'articolo estremamente fruibile, e simmetrico il testo, facendo chiarezza sul dibattito interno alle luci.
Che sui pochi dati raccolti vi sia stata una controversia è chiaro a tutti, ma non è altrettanto chiaro, se non agli addetti ai lavori che questa controversia sia stata estremamente utile allo sviluppo di questa difficile ricerca scientifica (la discussione è concreta: quali strumenti e quali metodi adottare in questo tipo di ricerca, e la risposta comporta una inevitabile continuazione del lavoro strumentale sul terreno).
Lo Campo fa un simpatico parallelo tra questa ricerca sul fenomeno delle luci di Hessdalen e quella del mostro di Loch Ness, affermando che si tratta di due fatti diversi nelle modalità e nei percorsi: Hessdalen è scienza mentre Nessie è solo folklore. Lo ringraziamo per questa affermazione, ma essa ha bisogno di precisazioni per poter essere vera.
Egli afferma che una grande differenza sta nel fatto che le luci siano state "viste" anche dagli scienziati, mentre Nessie sarebbe solo una illusione ottica o un tipo di mitologia.
Evidentemente sorge un problema che è quello di stabilire quali argomenti possano rientrare nella "scientificità", ed in altre parole cosa sia reale o falso, scientifico o parascientifico.
Il fatto è che una netta distinzione dei due campi, razionale e irrazionale non è così netta ed individuabile come una certa epistemologia astratta vuole farci credere; anche in ambito scientifico il dibattito tra ciò che è vero e ciò che è falso è ben presente: basti pensare al famigerato effetto serra.
Se prendiamo Nessie, tutto solo nelle sue acque scozzesi, e dimentichiamo il dibattito della criptozoologia, esso sarà davvero un puro fantasma della percezione, un mito in formazione, ma ciò può accadere anche alla interpretazione delle Luci di Hessdalen se le consideriamo solo a partire dalle testimonianze degli esperti, isolandole dal lungo dibattito in scienza sui fenomeni luminosi in atmosfera: fuochi fatui, fulmini globulari, luci sismiche, etc.
In scienza non basta vedere per poter affermare (ed accumulare conoscenza), ma si deve creare una rete di dati scientifici correlabili, insieme ad una rete di scienziati attivamente interconnessi tra loro e che si correlano a quei dati, fondando ipotesi, idee, esperimenti, verifiche e nuovi oggetti (in altre parole socializzano quei dati).
Due cose sembrano sfuggire al bel testo di Lo Campo: la storia delle luci in atmosfera, e la storia delle luci di Hessdalen (e prima o poi si dovrà svilupparla seriamente e per intero).
La storia delle luci in atmosfera (ed anche di altri fenomeni che oggi ci paiono banali come i meteoriti) ha un lungo passato di controversie, che comincia con i fuochi fatui, per diventare argomento scientifico moderno con i fulmini globulari, grazie all'astronomo D'Arago nella prima metà dell'800. Ma non dobbiamo dimenticare che ancora negli anni 70 molti scienziati dell'atmosfera non riconoscevano a queste manifestazioni una realtà e li consideravano un semplice frutto della narrativa popolare.
A cavallo del 900 si comincia a parlare in ambito scientifico anche di luci sismiche, grazie in particolare ad un ampio lavoro di catalogazione dell'astronomo Galli. Ma la maggior parte dei sismologi non riconoscerà a queste luci una dignitosa esistenza, anzi la negazione tout court sarà la norma. I sismologi di fronte ai racconti dei terremotati cercheranno sempre di ridurre questi precursori sismici ad errori di percezione (la strategia non è nuova).
In questo dibattito di lunga durata, si inseriscono le luci di Hessdalen con la complicanza delle origini della loro casistica.
Per esistere oggi, come fatto scientifico, le luci di Hessdalen si devono smarcare dai primi testimoni, e devono trovare uno spazio autonomo tra i fenomeni rari, localizzandosi.
Una volta erano le luci fantasma a localizzarsi (Brown Mountain Lights, Luci di Berbenno, Luce di Yara etc.) oggi sono le luci che i testimoni interpretano come Ufo, partendo dalla loro cultura e dal contesto.
La storia delle luci di Hessdalen nasce con una ondata di avvistamenti Ufo, in una valle vicina che poi, solo in un secondo momento, si sposta nella valle omonima.
Il problema è ancora una volta quello della scienza che deve tenersi ben separata dalla narrativa popolare, se vuole mantenere la posizione arbitrale e di potere che vuole lo scienziato come l'unico a poter stabilire ciò che è vero e ciò che è falso, ossia il confine tra razionale ed irrazionale.
Gli Ufo, avvistamenti di occasionali testimoni, di luci e solidi nel cielo non identificate/i, hanno il grosso problema di essere un termine collaterale a quello dei "dischi volanti", dal 1947 in poi.
Gli scienziati indubbiamente non amano che l'argomento "ufologico" sia considerato "scientifico", eppure è evidente che certi avvistamenti pongono problemi che per trovare una soluzione necessitano di un tipo di analisi che presenta le stesse difficoltà di altri problemi posti ai confini delle conoscenze ammissibili (abbiamo detto delle luci sismiche).
Parliamo degli stessi oggetti? Parliamo di altri fenomeni?
Certo sulle luci di Hessdalen gli studiosi non hanno ancora raccolto sufficienti dati correlabili; ma alcuni fatti esistono: basti pensare al rilevamento dei miniflashes, durante la missione del gruppo Astrofili Columbia di Ferrara, oppure ad alcuni spettrogrammi, vedi l'ultimo di Bjorn G. Hauge del Project Hessdalen.
Esistono non solo problemi di metodo (non basta dire "Ufo no grazie") ma anche di mezzi (non si può affermare che mancano le prove senza prima mettere a disposizione uomini e mezzi finanziari per trovarle).
Lo Campo ci trasporta attraverso le fasi di questa intricata ed intrigante ricerca scientifica, facendoci capire quali e quante siano le strade da percorrere per giungere alla meta.
Lo Campo Antonio, "Le sfere di luce di Hessdalen", riv. "Nuovo Orione", nr. 204, maggio 2009.
Vedi Sito web rivista "Nuovo Orione": http://www.orione.it/
[redazione Nico Conti]
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