E’ con particolare piacere che scrivo queste brevi righe sul mio blog per informare dell’uscita di una antologia di articoli sul folklore curata dalla studiosa Maria Inés Palleiro:
"Yo creo, vos ¿sabés?" retóricas del creer en lo discursos sociales".
L’opera fa parte di una collana intitolata
"Narrativa, identitad y memoria".
Si tratta di un insieme di lavori specialistici che cerca di ristabilire un ricongiungimento tra i modi di pensare la conoscenza messi in atto da una parte da coloro che "sanno" in funzione di fatti e di prove oggettive (gli scienziati) e dall’altra da coloro che "credono" e che, almeno in apparenza, pensano in forma acritica, e conseguentemente pensano che ciò che sanno è certo.
Questa netta differenziazione tra colto e popolare, è stata messa in atto come sappiamo nel XVIII, nell’ambito di una cultura borghese emergente.
Da quel momento i fatti sono diventati
fatti oggettivi solo attraverso un certo modo ordinato di formulare il discorso scientifico, e di comprovarli con testimoni degni di fede e con il ricorso ad esperimenti controllati strumentalmente.
Ma come rileva in una breve introduzione all’opera Anna Maria Dupey, direttrice della Sezione Folklore dell’Istituto di Scienza Antropologica dell’Università di Buenos Aires, già Antonio Gramsci aveva riformulato questa dicotomia non in termini di differenza ma di disuguaglianza tra il potere detenuto dal sapere ufficiale e quello popolare (p. 9). Non si tratta quindi di un sistema
vero contrapposto ad uno
falso, ma di "modi distinti di elaborare le concezioni" in relazione alla "costruzione dell’egemonia".
Sono queste affermazioni sociologiche estremamente forti, che comunque prevedono per alcune conoscenze rispetto ad altre una migliore funzionalità nell’ambito di un determinato gruppo sociale o contesto sociale.
Per assurdo, a ben vedere, la realtà è meglio descritta come oggettiva dal
mondo magico, dove tutto può stare insieme, piuttosto che dal
mondo scientifico dove i fatti stanno insieme solo se riferiti a predeterminati sistemi o insiemi di regole.
Contrariamente la visione scientifica sembra fare funzionare meglio i fatti tra di loro, quei fatti che servono nell’attuale contesto storico ad estendere i nostri sensi per meglio comprendere la realtà.
La presente antologia è quindi il frutto di un lavoro interdisciplinare di studiosi di antropologia, scienze della comunicazione, lettere, museologia e psicologia al fine di analizzare la costruzione delle credenze e dei discorsi sociali: si tratta di diversi "itinerari concettuali", come li definisce Maria Inés Paillero, che stabiliscono il carattere plurale delle credenze ed il valore di verità come si va costruendo attraverso il discorso intersoggettivo (p. 11 e p. 17).
Ci si potrebbe domandare cosa abbia a che fare un libro come
"Yo creo, vos ¿sabés?" con l’argomento principale, qui trattato, ovvero quello dei "fenomeni luminosi transitori in atmosfera" e più in generale delle cosiddette "anomalie".
La presenza dell’articolo di Patricio Parente,
"Narrativas Ovni, "luces malas" y proyectos cientìficos" (pp. 61-81) che analizza la dinamica tra credenze e discorso scientifico in relazione agli Ufo è solo una risposta parziale.
Più in generale l’antropologo Ryan J. Cook si domanda, nel suo prologo, a quale interesse risponda il voler mantenere la dicotomia credenza/conoscenza. Questa divisione esiste realmente? Essa sembra essere basata sulla tautologia che la conoscenza scientifica, nell’epistemologia classica, è una credenza veritiera e giustificata (p. 14).
Queste domande riguardano direttamente il nostro problema delle "anomalie", fatti che sembrano per loro costituzione stare esattamente al confine tra conoscenze popolari e conoscenze scientifiche, elementi apolidi nelle acque extraterritoriali dei diversi modi di conoscenza della realtà.
Grazie allo studio multidisciplinare di
"Yo creo, vos ¿sabés?" la credenza si converte nell’affermazione di uno dei tanti
mondi possibili non meno veritiero o meno funzionale all’interno del suo collettivo sociale di quanto non lo sia la scienza all’interno del proprio (p. 15).
La credenza è studiata come modalizzazione della "certezza", ed essa è per Paillero il modo in cui il soggetto si posiziona rispetto ad uno stato di cose il cui valore di verità è sostenuto a partire da una adesione personale o interpersonale.
Esiste a ben vedere uno stretto vincolo tra credenza, conoscenza e rappresentazione culturale.
Per Paillero la credenza è infine un processo di costruzione di un "mondo possibile"
fittivo, che può essere studiato attraverso l’analisi di ciò che definisce la "matrice narrativa" (p. 32).
Il lavoro di analisi che svolge Palleiro, analizzando la narrativa dei
cangaceiros non è molto dissimile dall’indagine svolta sul terreno da Parente, ivi compresa quella presso gli scienziati del Complesso Astronomico "El Leoncilo" in Barreal.
Esiste una narrativa scientifica che serve a rendere il racconto della scienza un "mondo possibile"
fattivo.
Anche se, ad essere precisi, il lavoro di Parente è principalmente concentrato sulle tensioni e sulle articolazioni tra due differenti narrative: quelle basate su esperienze personali e quelle del discorso scientifico a riguardo degli Ufo e delle
"Luces Malas" sul territorio di Callingasta.
Testimonianze inusuali e straordinarie, generano inizialmente un campo di incertezza dove convergono diverse posizioni che cercano di risolvere il problema della credibilità posto da queste osservazioni: assistiamo ad un conflitto tra ciò che in una società è considerato
vero o
falso, tra opinioni riconosciute come legittime o meno (p. 61).
Il titolo dell’opera è volutamente provocatorio, soprattutto se riferito al contesto accademico in cui è pubblicato, ed in considerazione del fatto che a svettare in copertina è una frase dialettale (e non facente parte di quello che dovrebbe essere un doveroso linguaggio scientifico) che più o meno suona così: "Io credo mentre voi sapreste?".
Questo titolo non mancherà di offendere qualche sociologo e qualche razionalista.
Esso infatti non sembra fare appello solo ad una mitica saggezza popolare, quella ad es. che si vuole contenuta nei proverbi, ma sembra una vera e propria rivendicazione per la legittimazione di saperi altri, non ufficiali, minoritari, diversi.
Per quanto riguarda l’argomento dell’affermazione di supposti fenomeni nuovi e/o sconosciuti in atmosfera, questa richiesta di simmetricità contenuta nel titolo, può forse aiutarci a dimostrare che esiste anche un’altra possibilità, ovvero l’alternativa possibile che entrambi questi attori si sbaglino, sia coloro che negano ogni possibilità di esistenza scientifica agli Ufo sia coloro che credono che si tratti di "luci malvagie" legate al mondo del soprannaturale.
Ma qui comincia il lavoro dello studioso delle anomalie, forse aiutato dalle considerazioni dei sociologi che ci spiegano come, tutto sommato, siamo unicamente nell’ambito di diversi tipi di folklore, uno popolare e l’altro scientifico.
La scienza ufficiale per demistificare la narrativa Ufo (l’esistenza degli Ufo) ha fatto spesso ricorso all’argomento della mancanza di elementi validi per attuare una analisi di tipo scientifico (retorica scettica).
L’analisi delle testimonianze nell’area di Callingasta ha evidenziato che dietro la descrizione di Ufo (genericamente intesi come oggetti volanti non-identificati) vi erano una serie di testimonianze distinte, generalmente caratterizzate dal loro legame con la credenza nel soprannaturale.
L’equiparazione di queste osservazioni con esseri extraterrestri sembrava piuttosto una significazione data in una fase successiva al fine di una credibilità sociale. Ciò che avviene a Callingasta è per Parente un meccanismo in tutto simile a quanto avviene in altre parti del mondo. I testimoni rendono conto delle loro osservazioni di fenomeni in prevalenza luminosi (flashes, luci colorate, etc.), che sembrano avere maggiore frequenza in località specifiche.
Spesso a questi episodi di luci strane i narratori attribuiscono un comportamento intenzionale. Come nell’antico folklore dei fuochi fatui (che localmente e col passare del tempo hanno assunto varie terminologie popolari) queste "luces malas" argentine seguono, anticipano, rincorrono, scavalcano, si mostrano all’occasionale testimone.
Precisa Parente: "In questo modo, le relazioni umane permettono un modello di mondo possibile, utilizzando la forma metaforica per caratterizzare la dinamica di questi eventi" (p.64).
Quando i diversi narratori devono presentare una spiegazione di ciò che hanno visto, ne scaturiscono due o tre spiegazioni ricorrenti, secondo il loro ambito sociale.
Per i baqueanos locali si tratta di luci malefiche, che ad es. indicano dei tesori nascosti oppure che sono in relazione con le antiche popolazioni indigene (los antiguos).
Per i camioneros di passaggio le luci sono riferibili a "cosa di Ufo", ossia alternativamente non-identificabili o esseri extraterrestri.
Il confine tra queste categorie di narratori risulta comunque molto flessibile.
Vi sono anche coloro che concedono un grado di verosimiglianza a queste osservazioni, ma che non sono disposti a concedere loro uno status di "anomalia".
Chi poi assume l’ipotesi esplicativa degli Ufo, simultaneamente squalifica ogni associazione del fenomeno con la "luz mala" o il diavolo, mentre altri usano termini più generici come "le auto che non sono auto"…
Spesso nella zona queste apparizioni luminose sono considerate quasi come "un elemento del paesaggio naturale" (p. 65).
Parente non può fare a meno di rilevare una relazione tra le testimonianze Ufo e gli antichi racconti di folklore tradizionali (come aveva già fatto Bertrand Mehéust), ma osserva anche che ciò che i testimoni descrivono è molto simile, pur nelle differenti località, mentre cambia l'interpretazione più o meno drammatica a seconda delle regioni interessate.
Decisamente tragica è la valutazione del fenomeno che si raccoglie nel nord della provincia de La Pampa, che mette in campo esseri di altri mondi, probabilmente favorita dal modo di circolazione delle notizie locali, attraverso mezzi che comprendono anche diari e pagine su internet.
Ma l'obbiettivo della narrativa Ufo, contrariamente a quella del folklore tradizionale, sembra essere quello di convincere i riceventi circa l'autenticità dei fatti riportati (la veridicità del racconto inverosimile).
Nella analisi delle testimonianze della valle di Callingasta assume una sua importanza anche la "varietà" della tipologia dei testimoni, che prevede anche "attori socialmente rappresentati come osservatori qualificati".
E' proprio il caso dei baqueanos, la cui autorità deriva dal loro dominio razionalizzato del territorio: essi infatti sono ritenuti come i testimoni più predisposti alle osservazioni di luci.
Ma la legittimità discorsiva dipende anche da altri elementi quali la percezione dei fatti da parte delle autorità, ed in particolare di quelle scientifiche (pp. 66-69).
E' in considerazione di questi diversi poli di legittimazione che Parente prende in considerazione il Progetto Hessdalen, messo in opera nella valle norvegese per lo studio di luci simili a quelle di Callingasta, a partire dagli anni 80, appoggiandosi su una ricerca scientifica di tipo tradizionale (strumentale). Parente sottolinea però trattarsi in qualche modo di un discorso scientifico eterodosso con una sua propria retorica.
Si tratta di una iniziativa, nel panorama di comprensione scientifica delle "luci", praticamente unica, per continuità ed impegno nella ricerca. Il che deve fare riflettere.
Parente precisa come il supposto fenomeno assume diverse terminologie: luci di Hessdalen, fenomeno Hessdalen, earthlights, luci notturne anomale, etc., e questo mostra una costruzione discorsiva rivolta ad uno studio empirico di "evidenze" che rientrano nel campo della scienza, senza comunque dimenticare le testimonianze orali, che la scienza ortodossa tenderebbe a porre piuttosto nel campo della credenza (pp. 69-73).
A questo punto Parente introduce il discorso messo in atto dal Progetto SETI, per la ricerca nello spazio di segnali radio extraterrestri, che gli interessa esplorare in quanto "costruzione discorsiva di un mondo possibile".
Gli scienziati che tendono ad avvalorare il Progetto SETI come discorso scientifico hanno spesso un’attitudine ironica nel confronto delle storie di Ufo, "storie di omini verdi", anche se non sempre i testimoni identificano i loro avvistamenti in senso extraterrestre.
Questo meccanismo di valutazione messo in atto dalla retorica selettiva della evidenza (o della non-evidenza, visto che anche i dati SETI non indicano segnali extraterrestri comprovati), è per Parente un aspetto molto importante del processo sociale di costruzione discorsiva della credenza e della scienza (pp. 73-77).
In altre parole potremmo concludere, per analogia con "Yo creo, vos ¿sabés?", che i testimoni credono agli Ufo, mentre gli astronomi sanno a proposito degli extraterrestri…
Ogni credenza sottende quindi un concetto di "certezza", e la sua espressione può riguardare (come già aveva indicato David Hufford a riguardo della credenza negli spiriti) ogni tipo di livello sociale, senza alcuna distinzione di categoria economica, culturale o geografica.
Siamo dunque di fronte al concetto di sapere e di rappresentazione della realtà come diversi "mondi possibili", non forzatamente dotati di verità, ma verosimiglianza, e dove la costruzione di modelli di mondo è una delle principali attività mentali e la narrazione (scientifica, folklorica, letteraria, etc.) è una "modalità cognitiva di organizzazione della esperienza" (Paillero) (pp. 221-223).
E’ inevitabile quindi che vi siano similitudini tra le strategie di legittimazione poste in atto ad es. nella narrativa delle esperienze personali Ufo e in quelle attinenti il discorso degli specialisti delle scienze.
L’analisi di Parente ha messo allo scoperto questi punti in comune (p. 246).
Palliero Maria Inés [a cura di], "Yo creo, vos ¿sabés?" retóricas del creer en lo discursos sociales", Grupo EPIF (www.grupoepif.com.ar), Università di Buenos Aires, Facoltà di Lettere e Filosofia, 2008.