ABSTRACT
Hessdalen è una valle in Norvegia dove da quasi 25 anni sono riportati fenomeni luminosi sconosciuti, nella bassa atmosfera. L'ufologo Erling Strand per primo tentò un approccio scientifico alle "luci" con il suo Project Hessdalen e cercando di coinvolgere gli scienziati in questa ricerca. In questo articolo una sintesi della discussione tecnica, che a volte ha raggiunto toni aspri e apparentemente ingiustificati, di una parte della Missione 2002 ad Hessdalen (che ha visto tre gruppi di ricercatori italiani in valle) ossia quella dei dati raccolti da Massimo Teodorani e Gloria Nobili. In un linguaggio divulgativo si accenna al dibattito che si è sviluppato (ed in parte tuttora continua) e che ha visto rispondere con argomentazioni tecniche, a M. Teodorani, soprattutto Matteo Leone e Michele Moroni. Vi si accenna anche a possibili sviluppi della ricerca nel campo VLF portata avanti da Flavio Gori e si sottolinea l'importanza di continuare uno studio con metodologie e mezzi sempre più performanti in un campo che essendo "di confine" presenta problematiche tutte particolari. Continuare a supportare studi rigorosi sui Fenomeni Luminosi in Atmosfera, Hessdalen-Like, è il compito che il CIPH, come comitato italiano di supporto al Project Hessdalen, si prefigge ufficialmente dal 2000.
UNA LUCE SOPRA LA COLLINA
La missione 2002 in Hessdalen è stata la prima missione del CIPH, (comitato di supporto al Project Hessdalen di Erling Strand), che non ha visto Teodorani come suo direttore scientifico, in conseguenza di divergenze di metodo. Il CIPH nel 2002, oltre a sponsorizzare la missione di Stelio Montebugnoli e del suo gruppo di tecnologi del CNR di Medicina (per prove di nuove strumentazioni e di un radar portatile) aveva inviato come proprio responsabile il fisico Matteo Leone insieme all'esperto di VLF Flavio Gori. Massimo Teodorani & Gloria Nobili sono stati ad Hessdalen, e hanno condotto le loro analisi, poi pubblicate dal sito del PH, in modo totalmente indipendente. Matteo Leone ha proposto per quelle analisi una spiegazione alternativa, ovvero che si trattasse della cattiva interpretazione di semplici fari d'auto. Qui è principalmente riassunta l'agitata discussione, non sempre a livello solo scientifico, che si è sviluppata tra i due ricercatori, e più estesamente in ambito ufologico, sconfinando in accuse personali di ogni tipo.Se vi è da trarre una morale, è che questa discussione tecnica, peraltro doverosa, ha preso troppo tempo, tempo che più utilmente si poteva dedicare alla verifica di ipotesi e allo sviluppo di nuove idee e strumenti circa lo studio delle luci di Hessdalen. Purtroppo per fare un passo avanti nella ricerca a volte è meglio farne due indietro, e progredire utilizzando un metodo più rigoroso. Come spesso accade in ufologia, il rumore di fondo delle polemiche ha sommerso una serie di dati ed analisi, che spero vengano rimessi nuovamente in rilievo grazie a questa cronaca dei fatti, pur non essendo questo un articolo tecnico. Si dimostra anche che può essere pericoloso quando lo scienziato si trasforma prima in testimone e poi in ufologo.
1. Al ritorno dalla missione 2002, con la sua solita rapidità di tempi, Massimo Teodorani ha redatto, a due mani con Gloria Nobili, il suo report che tratta in particolare gli spettri raccolti durante l'ultima missione, da quel punto di osservazione della valle dove Matteo Leone ha pensato di vedere dei banali fari d'auto. Il report della missione venne pubblicato sul sito norvegese del Project Hessdalen, visto che i rapporti con il CIPH nel frattempo erano, se possibile, ancora peggiorati. Nel suo report Teodorani dichiarava di aver preso gli spettri con il ROS in posa B, e confermava che molti fenomeni fotografati, ma non inseriti nel suo report, restavano non identificati (1).
Per queste analisi aveva utilizzato una quindicina di foto di "blinking lights" che a suo dire sarebbero essere luci di Hessdalen "autentiche". Teodorani sottolineava come una luce ricorrente fu ripetutamente osservata in quella precisa posizione quasi ogni sera dalle 22.00 fino alla mezzanotte. La luce presentava sempre una pulsazione di mezzo secondo e, come si può vedere anche su una foto di accompagnamento del suo articolo, appariva vicina a degli alberi. Immagini prese in giorni diversi dimostrerebbero che il fenomeno non è apparso sempre nello stesso punto preciso, ma con una differenza a volte di addirittura 100 metri. Quello che indica come "frame 6" mostrerebbe la luce principale che espelle un globo di luce più piccolo, confermando così questa particolarità delle luci che era già stata notata in precedenza. A dire il vero Teodorani non considerava neppure lontanamente la possibilità che potesse trattarsi di un riflesso strumentale, e insisteva nella sua convinzione facendo notare un'altra immagine (figura 2) simile ad un triangolo e ad una luce flash, presente per una frazione di secondo (figura 3). Quest'ultima è stata vista da Aspaskjolen, verso est, a poche centinaia di metri dal punto di osservazione. Molto genericamente si indicava che altre luci "clignottanti" erano state viste nel cielo, durante lo svolgimento della missione. Teodorani insisteva che data ed ora delle apparizioni del fenomeno sono da considerarsi un parametro non rilevante per le sue analisi. Si trattava di fenomeni luminosi che accadevano tutti i giorni, e in diverse occasioni ed incontri pubblici ha precisato che ciò che ha condotto non era... uno studio di ufologia.
Le occasioni successive alla spedizione per sminuire la presenza di Leone in valle non si sono risparmiate, ed anche queste piccole affermazioni gratuite evitavano di dover giustificare l'assenza di certi dati minimi osservativi, cosa più volte contestata non solo da Leone. La mancanza di elementi essenziali sulle osservazioni è uno dei limiti che abbiamo spesso rilevato in passato, e da tanto tempo criticavamo come Comitato, quando di fronte a certe osservazioni estemporanee venivano poi indicate le leggi del fenomeno sulla base di eventi unici. Il report indica poi tutte le analisi spettrografiche che sono state al centro del rebuttal critico di Matteo Leone e del suo articolo pubblicato sul nostro sito diversi mesi più tardi. Ma il report di Teodorani non finisce semplicemente con l'analisi degli spettri. La parte finale di studio svolta con il supporto di Gloria Nobili è dedicata ad un carotaggio del terreno e all'analisi dei campioni. Il luogo di carotaggio era stato scelto sulla base di dati incerti ed in maniera difficilmente giustificabile.
Avevano deciso di prelevare un campione di terreno presso il fiume Varhus, dove una luce era stata vista diversi mesi prima da testimoni norvegesi. Diversi mesi prima! E' davvero difficile capire come poteva essere stabilito a distanza di tempo il punto esatto sopra cui la luce sarebbe passata. Teodorani descriveva di aver raccolto un campione di terreno "approcciato" dal fenomeno luminoso, ed in seguito di averne rilevato una lieve radioattività.
In seguito erano state condotte delle analisi dal dottor Stefano Maretti, analista del laboratorio della società SACMI, società che tra l'altro aveva sponsorizzato la missione di Teodorani & Nobili. Il campione è stato in seguito analizzato con tecniche di microscopia ottica, spettrometria al plasma, e diffrazione ai raggi X. Al suo interno è stata trovata una sferula di ferro del diametro di 20 micron che Teodorani ritiene "inusuale" per essere stata creata da normali processi naturali (2).
Il report infine concludeva lasciando aperta ogni possibilità sull'origine del fenomeno: vortici di sfere di silicio, un tipo speciale di fulmine globulare (meccanismo di riscaldamento elettrico che simula un solido), etc.
Escludeva inoltre che il fenomeno potesse essere riconducibile ad un plasma e lasciava aperta tra le tante strade anche l'ipotesi SETV, o, fuor di metafora, che potesse trattarsi di artefatti alieni (1). Per Teodorani la distanza della luce è stata ricavata con l'ausilio del radar di Montebugnoli, e di conseguenza è stato possibile misurare la potenza emessa, che è risultata attorno ai 100 kW (ricordiamo per inciso che il radar era lassù per essere testato, e che successivamente erano stati verificati dei malfunzionamenti anche in occasione di prove condotte a Saludecio nell'agosto 2003). Affermava inoltre che l'intensità delle luci aumentava di luminosità per via di un improvviso "processo di moltiplicazione di mini-globi luminosi che si dispongono a grappoli". L'ipotesi di grappoli di luce avanzata nell'anno precedente su ben poche basi, diventava quindi un fatto assodato per sempre. Questi grappoli di luce si disporrebbero attorno ad un comune baricentro, con relativo aumento dell'area luminosa, pur rimanendo la temperatura approssimativamente constante.
Queste le conclusioni che Teodorani portava già nel maggio 2002. Ciò avrebbe dimostrato inoltre che la distribuzione della luminosità del fenomeno si discosta da quella di un plasma classico, avvicinandosi invece a quella di un solido uniformemente illuminato. Per spiegare queste luci Teodorani ha introdotto l'ipotesi di un tipo di fulmine globulare fatto da "aerogel", ipotesi avanzata anche da Abrahamson, secondo il quale certi globi di luce potevano formarsi dalla condensazione di nanoparticelle riscaldate ed essere costituite soprattutto da ossido di silicio, precedentemente vaporizzare in seguito a scariche di fulmine molto forti. Queste scariche ad Hessdalen possono essere favorite dalla piezoelettricità del terreno(2).
2. I commenti critici di Leone hanno tardato molto e sono stati esposti per la prima volta a porte chiuse durante il convegno a Firenze della nostra associazione, il CISU. Essenzialmente le sue critiche erano riferite proprio a quelle osservazioni che lo vedevano presente e che aveva identificato come fari di automobile. Certo suona molto strano che dagli stessi dati i due ricercatori possano giungere a conclusioni tanto diverse tra loro. Era metà ottobre, Leone stava ancora elaborando il suo report che avrebbe visto la luce solo nell'aprile 2003. Alcuni ospiti al convegno, appartenenti ad altre associazioni ufologiche, presero i commenti di Leone né più né meno come un reato di lesa maestà nei confronti di Teodorani; ricordo soprattutto l'atteggiamento indispettito di almeno due ufologi, Carlo Sabadin e Marco Peruzzi, persone che tra l'altro avevano avuto con noi un ottimo rapporto umano e anche per questo erano tra i colleghi invitati al nostro convegno.
Pareva confermato una volta di più che fare critiche di metodo non fosse cosa opportuna in ufologia. Erano reazioni a pelle, quindi si pensò che una volta pubblicato l'articolo di Leone, si sarebbe potuto discutere più pacatamente di dati, di spettri, etc.
Pareva confermato una volta di più che fare critiche di metodo non fosse cosa opportuna in ufologia. Erano reazioni a pelle, quindi si pensò che una volta pubblicato l'articolo di Leone, si sarebbe potuto discutere più pacatamente di dati, di spettri, etc.
Ma purtroppo così non fu.
Il rebuttal di Leone sarebbe stata una bomba che non solo avrebbe scatenato le ire di Teodorani, ma anche una levata di scudi di tutti gli ufologi, Sabadin e Peruzzi compresi, venuti in sua acritica difesa. Certo Teodorani non ha apprezzato la nostra presenza in valle con Leone e Gori, tant'è che nei suoi articoli successivi alla missione i nomi dei nostri ricercatori sono stati semplicemente ignorati. E' come se Leone e Gori non siano mai stati presenti in valle. All'interno del comitato trovammo la cosa dapprima divertente, poi cominciammo a scherzare con Matteo e Flavio insinuando che avessero passato il periodo di agosto alle Maldive invece che in Norvegia. Ma era pur sempre un riso a denti stretti che si tramutò in riso amaro in seguito alla pubblicazione delle conclusioni di Leone sull'ipotesi "fari di automobile" nell'ampio rebuttal all'articolo di Teodorani & Nobili. Leone era per Teodorani una mina vagante, il primo ricercatore che si era permesso un contraddittorio sui dati da lui raccolti nel tempo, mentre gli altri fin a quel momento avevano semplicemente taciuto.
3. In quel periodo Teodorani si prese anche il tempo per criticare l'articolo di Flavio Gori che stava per uscire circa la missione Hessdalen 2002 e le sue esperienze radio.Teodorani aveva criticato il fatto che il report di Flavio Gori non fosse proprio un report di risultati della missione, ma un articolo su alcune ipotesi che Gori sottoponeva all'attenzione dei ricercatori. Da quale pulpito!
Gori corresse, con la serietà che lo contraddistingueva, il titolo del suo articolo originale (3), che peraltro si rivelava alquanto interessante per le proposte brillanti e le possibilità di studio che si aprivano ai futuri ricercatori sul campo. Gori ci ricordava che anche se le Very Long Frequency (VLF) e le Extremely Long Frequency (ELF), non erano direttamente connesse con il fenomeno esse potevano essere comunque utili per capirne qualcosa di più. Nella precedente missione del 2001 era nata l'ipotesi SCEB (Self Contained Energy Bag), e forse la ricerca VLF poteva essere proprio utile a detectare queste "bags" nel momento in cui sono invisibili e volavano molto vicine alle nostre antenne. Anche durante la missione del 2002 si è continuato a misurare ogni rumore con lo strumento ELFO, evidenziando un forte disturbo di 3.5 kHz probabilmente dovuto ad attività umana.Alla fine della missione ELFO fu riportato a Medicina per essere testato e per cercare di individuare il tipo di rumore di cui si poteva trattare. Non mancarono anche le misurazioni con il nuovo ricevitore portatile WR3 da Aspaskjolen, dalla fattoria dello scrittore Peder Skoogas e da vicino alla BlueBox. Invece, all'interno della BlueBox vi era un livello di rumore molto alto che inficiava ogni possibilità di registrazione. Il WR3 aveva lavorato bene al di sotto dei 12 kHz e si era formato un forte rumore in verticale attorno ai 18 kHz e giù fino a pochi kHz.
Probabilmente ciò era dovuto ad una connessione dell'antenna, ma bisogna anche ricordare che la BlueBox è situata abbastanza vicina alle linee dell'alta tensione. Comunque, durante la missione 2002, sono stati presi spettri con un basso rumore di fondo e quindi adatti a essere analizzati e confrontati con quelli raccolti nella missione del 2001. In entrambi gli spettri Gori aveva trovato quelle caratteristiche peculiari (Doppler) che hanno portato all'elaborazione della cosiddetta ipotesi SCEB.
Purtroppo Gori non ha avuto nessuna percezione del fenomeno luminoso durante queste sessioni di misurazione, e comunque non così vicine alle sue antenne, da far si che fosse possibile fare una correlazione diretta tra onde radio e fenomeno ottico. Peraltro durante il periodo della missione 2002 avevano raccolto nel loro portatile ben 500 Mb di dati registrati che avrebbero potuto con comodo analizzare a casa: un lavoro lungo e disumano, che Gori continua. Diverse testimonianze occasionali di luci suggerirono a Gori che poteva esistere una zona interessante nella valle, nei pressi di Hesja, dove valeva la pena di collocare quattro stazioni , magari due a terra, a nord e a sud, e due montate su palloni aerostatici proprio sopra le stazioni di terra. Gori si era convinto che certi esperimenti che erano stati condotti nella città di Tromso a circa 700 km dalla valle di Hessdalen potessero aver avuto una loro influenza sul fenomeno stesso. Infatti, tra il 1980 ed il 1990, ma anche in anni precedenti, nella città di Tromso era stato portato avanti il cosiddetto Progetto PARS. Nel centro di ricerca vennero sperimentalmente prodotte ULF alla frequenza compresa tra 1.67 e 700 mHz e furono utilizzati vari schemi di modulazione HF. Gori si domandava se questi esperimenti in ambito ELF/VLF fossero capaci di influenzare l'atmosfera generando così le emissioni di luci. Potevano questi esperimenti condotti a tanta distanza dalla valle influenzare la produzione del fenomeno luminoso di Hessdalen? E perché ciò non accadeva in altri luoghi della Norvegia?
Una fonte di emissione ELF/VLF può essere generata dal vento solare. Particelle elettricamente cariche trasportate dal vento solare vengono catturate dal campo magnetico terrestre, spiraleggiano lungo le linee di forza e giungono infine ai due poli terrestri; qui entrano in contatto con l'alta atmosfera e ionizzandola danno origine alle aurore boreali dette anche "Northern Lights" (luci del nord). Durante il movimento attraverso il campo magnetico terrestre le particelle cariche producono anche onde radio che disturbano i normali ricevitori. Le aurore boreali sono un affascinante fenomeno naturale, che mostra grandi sfumature di diversi colori nel cielo, più o meno alle stesse coordinate magnetiche della valle di Hessdalen. Nonostante questo dobbiamo notare che l'andamento delle aurore boreali è molto diverso dal modo in cui si presentano le luci di Hessdalen, anche se potrebbero esserci correlazioni tra i due fenomeni. Anche se Teodorani aveva ultimamente escluso l'influenza del vento solare, riguardo il fenomeno delle luci, Gori preferiva continuare a considerare una possibile correlazione, anche perché le poche statistiche disponibili sulle luci continuavano ad insistere che il periodo autunno-inverno era quello con maggiore attività delle luci, ossia il maggior numero di osservazioni. In particolare, il periodo dove si concentrano la maggior parte delle testimonianze sembra essere quello che va da ottobre a febbraio, , mentre giugno e luglio, e forse fino ai primi di agosto, è quello più scarso. Questi due periodi dell'anno, ed anche gli orari a tarda notte di certe osservazioni, sembrano essere in accordo con la densità stagionale degli elettroni nella ionosfera. L'intensificarsi della caduta di particelle cariche in certi periodi dell'anno può anche spiegare secondo le ipotesi di Gori, il livello di elettricità molto elevato che egli stesso ha rilevato fin dalla prima missione in valle. Tornando ai dati generali è tra ottobre e marzo che si è misurata la più alta densità di particelle elettricamente cariche per metro cubo, con un picco all'inizio di gennaio, mentre nel periodo estivo la densità è più bassa. Questa analogia della tempistica poteva proprio far pensare che l'innesco delle luci di Hessdalen fosse in qualche modo collegato alla densità delle particelle elettricamente cariche per metro quadro nella ionosfera.
Il movimento erratico delle luci potrebbe quindi essere dovuto a rapidi cambiamenti del "contenuto totale di elettroni" (TEC) presenti nella bassa atmosfera. Assecondando le diverse quantità di "elettroni" presenti nell'ambiente le luci di Hessdalen potrebbero cambiare velocità e direzione, ed anche spiegare movimenti ad angolo retto, o la presenza di luci stazionarie in una determinata regione, oppure ancora luci che rotolano verso terra a causa del prevalere delle forze gravitazionali. In questo modo anche la loro sparizione repentina trova una possibile spiegazione. Gori pensava che per confermare tale ipotesi si potesse ricorrere a strumenti di misurazione del "contenuto totale di elettroni" (TEC) per metro quadro, monitorando così le irregolarità della ionosfera della regione di Hessdalen.Purtroppo fino ad ora disponevamo di pochi dati a riguardo del TEC in zona. Alcuni interessanti dati raccolti da Yue-Jin Wang nel 1997, presi alla latitudine opposta a quella di Hessdalen, ovvero nell'altro emisfero, mostravano una corrispondenza della più alta quantità TEC, nel periodo e nel tempo. Per Gori era un punto di inizio molto affascinante, un piccolo indizio per una ricerca così difficile come quella delle luci in Hessdalen. Un successivo passo era domandarsi se nel periodo di "massima densità di elettroni", si poteva interferire in qualche modo e creare le luci. Vi era bisogno di qualche particella particolare di qualche tipo, per interferire nel modo giusto e creare le luci di Hessdalen? Oppure una qualche situazione geologica e atmosferica era necessaria? Forse un complesso di tutti questi elementi erano la concausa dell'innesco di un fenomeno così inusuale.
A metà giugno del 2003, Gori ricevette qualche ulteriore indizio, sulle ipotesi da lui svolte, che veniva dal ricercatore della NASA Tony Phillips con cui era in stretto contatto. Un curioso fenomeno era stato studiato a bordo della sfortunata navetta Columbia, la cui impresa si era conclusa in dramma. L'equipaggio dello Shuttle aveva osservato, nello spazio, delle fiammelle che si comportavano, in maniera simile alle luci di Hessdalen, e nel sito internet science@nasa si poteva leggere di alcuni comportamenti delle Aurore Australis, ovvero quelle sull'emisfero opposto alle Northern Lights, per molti versi simili ai nostri fenomeni: punti luminosi che diventano più grandi, si dividevano e sparivano. Come sappiamo la causa delle aurore boreali è dovuta all'influenza del vento solare sull'alta atmosfera terrestre. Il 2 giugno 2003 la Terra era stata interessata da una corrente di vento solare caratterizzato da un'alta velocità. Il 3 giugno mentre la Stazione Orbitante Internazionale (ISS) si trovava sopra l'Oceano Indiano, a sud-ovest delle coste australiane, l'astronauta e ricercatore Ed Lu guardando fuori dagli oblò osservò una di queste aurore. Ed Lu prese la macchina fotografica digitale e scattò una serie di rapide sequenze, che furono in seguito unite per formare una specie di filmato di poco meno di tre minuti e mezzo. Quel filmato rivelava archi di luce multipli ma anche punti luminosi che aumentavano di dimensione, prima di dividersi e sparire (4).
4. Ma torniamo a Leone ed alla pubblicazione sul sito del CIPH dell'articolo "A rebuttal of the EMBLA 2002 report on optical survey in Hessdalen" che apparve nell'aprile del 2003 (5). Da quel momento divenne più semplicemente il "rebuttal" di Leone. Prima fu attaccato da Teodorani, fatto del tutto prevedibile, poi dagli ufologi che per ragioni un po' meno comprensibili avevano dato un'ampia delega di fiducia, o di fede, allo scienziato Teodorani. Alcuni addirittura criticarono l'articolo di Leone pur ammettendo che non conoscendo l'inglese ne avevano potuto avere notizia dei contenuti solo da altri ufologi per via indiretta. Ma cosa diceva in sintesi il testo di Leone? Il tutto si divideva grossomodo in due parti. Da un lato, con gli scarsi dati osservativi proposti da Teodorani, Leone cercava di ricostruire la posizione delle luci, determinando di conseguenza se era possibile che su quel punto passasse una strada, dall'altro valutava le caratteristiche della luce per constatarne la compatibilità con l'ipotesi che si trattasse davvero di fari d'auto. Per quest'ultimo aspetto si era avvalso anche del contributo di uno scienziato della Osram, R. Levin, che aveva confermato in quanto esperto nel campo dell'ottica, i calcoli e le valutazioni fatte dei dati proposti da Teodorani. Nella parte iniziale del suo lavoro Leone giustamente insisteva sul fatto che Teodorani non aveva registrato certi parametri essenziali come data e ora degli avvistamenti. Non si capisce il motivo per cui sono stati ignorati certi dati che avrebbero potuto essere estremamente utili in caso di una corroborazione fatta indipendentemente da un testimone di quello stesso fenomeno o dalla stazione automatica Blue Box che avesse per caso filmato in quel momento. Teodorani ha quindi evitato la possibilità di una eventuale triangolazione del fenomeno. Comunque sia Leone ha avuto modo durante il suo soggiorno di osservare ben due volte il fenomeno visto e fotografato da Teodorani insieme alla Nobili, quando era ad Aspaskjolen con il resto gruppo.
Il 7 agosto 2003 alle 11.05 mentre gli altri osservavano ad occhio o attraverso l'obiettivo di una macchina fotografica reflex, Leone ha osservato attraverso un telescopio rifrattore Stein Optik, 60 mm di diametro. Con mezzi non dissimili Galileo Galilei aveva rivoluzionato l'astronomia. Ad ogni osservazione i ricercatori esultavano con grande entusiasmo ed eccitazione, mentre Leone attraverso il rifrattore aveva potuto tranquillamente osservare una inconfondibile coppia di fari.
Tutte le caratteristiche, compreso anche l'effetto di lampeggiamento dovuto al passaggio del veicolo dietro una fila d'alberi erano inconfondibili. Leone lo fece immediatamente notare a Teodorani, ma come sappiamo nel suo report Teodorani non spreca neanche una parola per ricordare il suggerimento del nostro responsabile di missione. Siccome tutti i dati ottici raccolti scaturivano da osservazioni fatte da un unico punto, non era possibile misurare esattamente la distanza lineare tra fenomeno e osservatore e quindi la taglia del fenomeno stesso. Si sarebbe potuto almeno collocare l'apparecchio fotografico su un teodolite per avere azimuth ed elevazione angolare, ma Teodorani non ritenne utile farlo, mentre Leone insisteva sul fatto che la raccolta di questi elementi era più che una questione di principio una mancanza ingiustificabile nell'applicazione di una metodologia più che ovvia.
Teodorani insisteva contro ogni logica comprensibile che la distanza del fenomeno era garantita e conosciuta, e distava circa 9 km da Aspaskjolen, sulla collina di Skarvan. Dopo le critiche di Leone, Teodorani ha successivamente accennato a fantomatiche triangolazioni, ma senza mai riportarle nei suoi articoli. Leone considerava invece come un dato di fatto incontestabile che la misura di 9 km fosse del tutto sbagliata, e l'unico riferimento fatto da Teodorani alla misurazione sulle carte non aveva alcun senso logico. Un gatto sul tetto, visto in prospettiva contro la Luna, potrebbe essere a 384.000 km di distanza se la deduzione viene fatta a partire da carte astronomiche! Per constatare che la distanza era inferiore rispetto a quanto indicato da Teodorani, Matteo aveva utilizzato le foto scattate durante le missioni in quella zona del paesaggio, una foto da lui stesso realizzata dal punto di osservazione e infine consultando le carte che con tanta diligenza aveva recuperato al catasto. Pochi secondi dopo l'osservazione Leone aveva misurato l'azimuth del fenomeno, dato che la bussola puntava esattamente la direzione da dove le luci erano spuntate: 185° circa. Vi erano diverse colline in direzione delle osservazioni delle luci lampeggianti: i picchi di Skarvan, Heggsethogda, e Varhuskjolen. Era un semplice fatto che le luci apparissero proprio sulla cima di quest'ultima collina. Quella zona è prevalentemente coperta da foreste ed attorno vi è qualche rara zona coltivata, attraversata da molte strade private, spesso coperte alla vista dalla vegetazione circostante. Vi sono tante strade dello stesso tipo in quell'angolo della Norvegia, ed è possibile attraversarle solo dietro pagamento di un pedaggio. In quel modo i cittadini provvedono alla difficile manutenzione di quelle particolari strade private.
Leone in base ai suoi calcoli aveva sospettato in particolare una di queste stradine, più esattamente una strada che girava intorno al colle Varhuskjolen per circa cinquecento metri. L'auto che fosse passata su questa strada, generando tra gli alberi l'effetto di luci lampeggianti, sarebbe stata a circa 2.2 km dal loro punto di osservazione. Una volta stabilita la strada che poteva essere stata percorsa si trattava di capire se la potenza delle luci era compatibile con le norme internazionali sui fari d'auto. L'ufologia in tutti questi anni si era confrontata con problemi simili, per poter stabilire la potenza di certi avvistamenti di luci non identificate, trovando anche metodologie ingegnose per valutare evidenze fotografiche, o dati testimoniali.
Purtroppo il lavoro di Teodorani presentava numerose lacune nella presentazione dei dati, le quali non potevano permettere una ricostruzione attenta di quanto veniva affermato. Leone sottolineava che vi erano diverse affermazioni gratuite a partire dall'errata distanza della luce. Teodorani assumeva gratuitamente un irraggiamento uniforme del fenomeno in tutte le direzioni, ma non essendoci una osservazione alternativa a supporto, questa rimaneva semplicemente una sua idea campata in aria, e non convalidata dall'osservazione di Leone, che attraverso il rifrattore aveva osservato semplicemente una radiazione non uniforme di... fari d'auto. La somma delle considerazioni gratuite di Teodorani aveva portato anche ad una presunta sovrastima della luminosità assoluta delle luci. Riconsiderando al meglio tutti questi dati Matteo dimostrava che il fenomeno fotografato era compatibile con i valori di magnitudo massima imposti dalle norme internazionali ECE. Teodorani inoltre valutava il fenomeno avente una dimensione di circa 10 metri in relazione agli alberi. Siccome la distanza del fenomeno era presumibilmente sovrastimata, anche la dimensione lo era. Non dimentichiamo inoltre che il fenomeno era in movimento e la posa del fotogramma molto lunga.In tutto il suo lavoro di analisi Teodorani cercava di riportare le luci alle caratteristiche del fulmine globulare, per poi meravigliarsi della costanza della temperatura colore e domandarsi: "Come può accadere tutto ciò con un plasma?".
La risposta di Leone era assai semplice, non si trattava né di un "cluster of ball-light" né di un plasma in espansione, ma di semplici fari d'auto. Per quanto riguardava proprio le caratteristiche delle luci di questi fari Leone aveva valutato, con la consulenza di uno scienziato della Osram, R. Levin, se si trattava di fari alogeni fotografati attraverso una pellicola Kodak Ektachrome 100.
I grafici dello spettro di Teodorani concordavano in modo ampio con le caratteristiche di questo tipo di luci alogene, espresse in gradi kelvin. I due spettri a confronto, mostravano tre picchi. Quello di Teodorani a 4500, 5750 e 6600, mentre quello dei fari alogeni a 4500, 5500 e 6500. Vi era concordanza tra i due grafici. In conclusione Matteo sottolineava che quelle luci non emettevano 100 Kv, l'aumento di luminosità non era dato da sferoidi di luce sovrapposti ad una sfera di luce iniziale, e la luce non era nemmeno posta laddove Teodorani l'avrebbe voluta. Insomma vi erano numerose, troppe, lacune metodologiche nel lavoro di Teodorani. Nonostante queste mancanze metodologiche opportunamente sottolineate, e anche sulla base delle testimonianze da lui raccolte, Leone continuava a ritenere che l'argomento di un fenomeno luminoso non identificato, era lontano dal poter essere spiegato nella sua interezza con l'ipotesi dei fari di automobile. Le luci di Hessdalen meritavano un approfondimento sulla base di una corretta metodologia. Ma per i critici di Leone questa affermazione di principio non era stata sufficiente.
5. La risposta di Teodorani tramite una lettera all'editore dal titolo "M.Teodorani's Reply to M.Leone's confutation of Embla 2002 Paper", non tardò a farsi attendere ed il 29 Aprile 2003 fu pubblicata nel sito ufologico del gruppo ufologico Camelot di Pavia (6). Essa era poco più di un crudo elenco di offese rivolte a Leone e ai componenti del CIPH, che conteneva in verità ben pochi accenni scientifici. Dapprima Teodorani aveva proposto di pubblicare l'articolo di risposta a Leone sul nostro sito, ma noi gli avevamo annunciato che l'avremmo prima sottoposto a referaggio. Era tra noi inteso che non avremmo accettato le offese ad personam contenute nel testo. All'annuncio di un referaggio immediatamente Teodorani diede in escandescenze e decise di pubblicarlo altrove, come poi accadde. Stranamente lui che a parole era così contrario agli ufologi non trovò di meglio che pubblicarlo su un sito prettamente ufologico. Renzo Cabassi ed io, ci eravamo personalmente rivolti al gruppo di Camelot, in prima persona all'ufologo Sabadin, per dichiarare che trovavamo disdicevole da parte loro, in veste di editori, che accettassero, così come era, il testo pieno di offese a noi dirette. Non solo non si sentirono corresponsabili delle diffamazioni scritte da Teodorani, ma anzi fummo accusati di essere in qualche modo dei complottisti che volevano nascondere la verità, volendo noi ridicolizzare il lavoro dello scienziato Teodorani con l'ipotesi fari d'auto portata avanti da Leone. La prosa di Teodorani continuò a fare bella mostra nel loro sito e così anche le accuse nei nostri confronti. Molti ufologi, attraverso le varie liste ufologiche giunsero fino al punto di sospettare una "lobby ebraica" che manovrava il CIPH, il CISU, e quindi i dati della ricerca di Hessdalen. Saremmo stati noi questi censori della Verità, noi i debunkers.
Questo tipo di polemica divenne tanto disgustosa che, alla fine, giunsi a pensare che tutto sommato era bene che quelle offese dello scritto di Teodorani continuassero a essere lette da tutti. Sarebbe stato più facile farsi un giudizio obiettivo su quanto stava accadendo e su chi veramente voleva nascondere delle verità. Il "rebuttal del rebuttal" scritto da Teodorani era di utile lettura per rendersi conto della situazione che si era creata in ambito ufologico. Teodorani fin dalla premessa si dedicava alla dimostrazione del suo "forte sospetto" che vi era stata una "cospirazione nei suoi confronti", motivata da una ampia serie di "ragioni concatenate" tra loro e che andavano molto più lontano del "semplice attacco alla sua persona".
Lui stesso precisava che gli aspetti tecnici erano discussi "brevemente", più impegnato com'era a portare il suo attacco a "certa ufologia" che definiva "inconsciamente probabile strumento di apparentemente non identificate alte sfere ", un'ufologia che aveva l'obiettivo di "prevenire ogni tipo di avanzamento scientifico per l'umanità". In queste poche parole Teodorani mostrava ancora una volta di essere impregnato di quella filosofia del "complotto" che tanto male aveva fatto ad un avanzamento degli studi dei fenomeni borderline. Dietro ad ogni critica nei suoi confronti vi era una motivazione occulta per sminuire la vera tematica degli Ufo o nascondere qualche inconfessabile verità. Continuando che l'articolo di Leone conteneva "affermazioni irrealistiche", Teodorani accennava comunque al fatto che vi erano presenti "alcuni concetti della fisica dell'ottica", ma aventi scarsa attinenza con gli argomenti della sua specifica ricerca.
Leone avrebbe dovuto, a suo parere, limitarsi ad una compilazione di ina ricerca generale in campo ottico, senza critiche alle sue osservazioni, allora sì che si sarebbe trattato di "un'importante guida per la ricerca strumentale nel campo dei fenomeni luminosi in atmosfera".Fortunatamente, sottolineava Teodorani, l'inesperienza di Leone faceva sì che l'applicazione di questi concetti era "totalmente sbagliata" e che per chiunque era evidente che quelle critiche erano guidate solo da "paradigmi settari" e dal desiderio di compiacenza verso "le catene di potere stabilito dall'establishment accademico", nonché da "due gruppi ufologici frustrati", incluso qualche "grave problema psicologico" che gli aveva impedito a Leone di confrontare le sue idee con lui. Dimenticava forse Teodorani come fin da prima della missione aveva snobbato Leone e come, anche durante le osservazioni ad Hessdalen, Leone fosse stato completamente inascoltato? Teodorani, per rincarare la dose, si dilungava in una lunga spiegazione sul come uno scienziato privo di idee poteva fare carriera nel nostro paese.Dopo qualche ulteriore offesa, Teodorani finalmente sviluppava sette punti critici:
1) Sottolineava che le strade nella valle di Hessdalen erano ben conosciute, così come gli effetti dei fari d'automobile, e che questi si presentavano molto più potenti che le "reali" luci di Hessdalen, tanto da saturare spesso la pellicola, e come lo spettro continuo fosse assai diverso da quello che era stato preso sul fenomeno "reale". Poi, tanto per confodere le acque, Teodorani spiegava che almeno una volta Leone aveva visto insieme a loro un'auto, valutandone correttamente la distanza, cosa che era capitata loro spesso e volentieri. Invece, il fenomeno "reale" non era situato dove "l'inesperto" Leone affermava, ma almeno quattro volte più lontano su una collina retrostante!
2) Leone aveva evitato di documentare il risultato delle sue "osservazioni telescopiche". Teodorani, con una certa ironia aveva indicato tra virgolette le due parole, "osservazioni telescopiche", sottolineando che gli "associati" di Leone si sarebbero accontentati delle sue "masturbazioni matematiche", che avrebbero dovuto dare una "licenza di credibilità" a tutto il suo studio.
3) Leone poi era accusato di non aver specificato che tipo di bussola aveva utilizzato per le misure della posizione e che anche il suo utilizzo della teoria di propagazione dell'errore di Gauss era "assolutamente criticabile". Con questa affermazione Teodorani pensava di aver risposto alla critica di metodo di Leone, riguardo al fatto di non aver usato il teodolite. Sottolineava poi che Leone si era semplicemente dotato di un "telescopio-giocattolo" e che non aveva nemmeno provveduto a scattare una foto della luce, dimenticandosi Teodorani che chi stava compiendo la missione ottica era lui e non Leone. Secondo Teodorani, Leone avrebbe dovuto almeno scattare la foto di alcuni fari nel buio, per provare le sue affermazioni. In pratica Leone si sarebbe concentrato sull'osservazione di fari di automobile, mentre lui e tutti gli altri intorno erano attenti ad osservare il vero fenomeno!
4) La foto che Leone aveva preso ad esempio, tra le foto che dettagliavano il report di Teodorani, sarebbe stata da sola la prova che non si trattava di fari d'auto. Per quanto questo ragionamento di Teodorani potesse sembrare circolare, egli insisteva sul fatto che se avesse preso una foto di fari di auto Leone avrebbe capito subito la differenza con una luce "reale".
5) Leone "non aveva capito niente" sulle argomentazioni di Teodorani riguardo la "correlazione intensità-dimensione", oppure aveva deciso di non approfondire quanto Teodorani aveva "trovato sperimentalmente" e dove avrebbe dimostrato durante EMBLA 2000 e 2001 che il fenomeno delle luci cambiava la sua superficie luminosa. Era questo l'errore che portava fuori strada Leone, facendolo discutere della saturazione della luce della pellicola e dell'aumento della fonte luminosa quando una pellicola è soggetta a sovraesposizione.
Certo, sottolineava Teodorani, tutto ciò che riportava a tale riguardo, utilizzando "strumentalmente" un esperto, era "genericamente" corretto, ma totalmente fuori-tema per quanto riguardava l'aumento delle dimensioni del fenomeno luminoso. Leone insomma "non aveva fatto alcuno sforzo per capire che l'aumento dimensionale non era dovuto alle dimensioni delle sfere luminose ma alla separazione dei componenti dei grappoli delle sfere luminose", grappoli che apparivano come luci singole se osservate da molto lontano, dato il piccolo angolo sotteso, ma che "mostravano la loro morfologia intrinseca solo quando le foto o/e i video erano esaltati con un software appropriato" ("enhanced with a proper software").
Teodorani affermava che solo i frames esposti correttamente erano stati utilizzati per le analisi, quindi escludendo quelli sovraesposti. I componenti del "grappolo" di luci, a suo dire, potevano essere risolti solo quando l'esposizione era corretta, e quello era stato il solo criterio di selezione dei dati. In alternativa solo luci singole non saturate erano state utilizzate.Sottolineava che questa capacità delle luci di formarsi a "grappolo" era stata dimostrata diverse volte attraverso foto e filmati, foto come quelle che invece Leone utilizzava per avvalorare l'ipotesi dei fari. Criticava il metodo con cui Leone erroneamente aveva abbinato calcoli alle sue conclusioni come se si trattasse di "strumenti magici". Diceva anche che questo sistema era molto in voga presso gli "accademici" delle istituzioni di più lunga data.
Forse voleva affermare che il vecchio metodo scientifico era ormai obsoleto e doveva essere sostituito da "ragionamenti globali" e dal saper mettere in atto "modelli empirici creativi"? Le sue parole sembravano andare in quella direzione. Per quanto riguardava i confronti fatti da Leone tra gli spettri di Teodorani e quelli di fari d'auto, Teodorani rilevava solo delle "vaghe coincidenze" nelle lunghezze d'onda. In conclusione Teodorani aggiungeva che l'aver trascurato il loro studio del carotaggio al suolo, non aveva senso, che il loro campione era stato raccolto nel punto preciso dove un fenomeno luminoso era stato visto da alcuni abitanti di Hessdalen, e che anche se non si potevano trarre conclusioni, l'anomalia continuava ad esserci nonostante il rigetto "dogmatico e ascientifico" di Leone.
Infine Teodorani dedicava un intero capitolo a ufologia e accademia scientifica, che univa insieme in un originale matrimonio. Così scriveva: "L'analisi delle testimonianze può essere utile, se messa in atto da investigatori buoni ed imparziali, per indicare dove un monitoraggio strumentale può essere fatto, ma non può in ogni modo essere considerato attendibile in quanto a metodo usato da solo. L'ufologia come mera analisi di testimonianze (proprio "come i metodi di polizia") e come unico metodo per derivare supposte conclusioni scientifiche è una materia inconsistente che dovrebbe essere abolita dalla cultura, dati gli enormi danni che ha creato all'investigazione delle cosiddette "earthlights" e ai testimoni stessi. Ricercatori indipendenti, inclusi scienziati professionisti, hanno fatto un lavoro di grande valore riguardo l'ufologia, ma questo è stato solo il risultato della loro intelligenza e non perché appartenevano ad un gruppo o una setta, e presto hanno capito che le analisi dell'anomalia non poteva essere basata solo sulle testimonianze ma piuttosto in nuovi modelli teorici per descrivere la struttura della realtà che deve essere supportata da ( molto difficili) misurazioni strumentali come su temi quali la meccanica quantistica e studi relativi alla coscienza, dove percepiamo solo la punta dell'iceberg. A cosa serve la Scienza? Soprattutto, la scoperta che un fenomeno-luminoso può severamente colpire un testimone con allucinazioni dovute a qualche perturbazione EM (elettromagnetica) interagendo con la sua attività elettrica cerebrale, rende il valore della sola analisi testimoniale Nullo, con l'errore dell'informazione che si propaga in modo drastico su tutte le statistiche. Dal punto di vista sperimentale, il problema-anomalia può essere investigato solo adottando apparati strumentali, per cercare di giungere a conclusioni scientifiche.L'esperienza insegna che questo è un obiettivo molto difficile da raggiungere perché: 1) il fenomeno-luminoso è elusivo ed imprevedibile, 2) l'ammontare dei fondi che è richiesto per raggiungere qualche concreto risultato ( comparabile con le punte scientifiche) è almeno di un livello 100 volte maggiore di quello effettivamente disponibile durante le missioni EMBLA, 3) il tempo dei ricercatori è limitato e l'organizzazione congiunta presenta di conseguenza lacune con tutti gli effetti negativi del caso (possibili sviste e incompletezza nella raccolta dei dati)".
Questa bella affermazione di principio non serviva semplicemente a inquadrare lo studio delle luci di Hessdalen magari con un accenno autocritico, ma al contrario per prolungare ancora, se possibile, per qualche pagina le critiche all'arrivo di Leone in valle. Contestava a "Leone e ai suoi associati" di acclamare una verità convenzionale del fenomeno (cosa che sappiamo falsa poiché Leone si limitava solo a contestare il report 2002 di Teodorani), ed affermava che da parte sua invece, pur non avendo raggiunto nessuna conclusione, aveva messo a punto "uno scenario fenomenologico organico" dove "diverse costanti di significanza scientifica erano presenti". Questo "scenario", in presenza di nuovi fondi, avrebbe potuto aiutare nuovi ricercatori attraverso le istituzioni scientifiche. Sfortunatamente, affermava Teodorani, le istituzioni scientifiche erano "affette da un pericoloso vuoto d'idee" e da una "scarsa motivazione ad analizzare interamente la natura della realtà", a causa di "scelte perverse" ed una "totale schiavizzazione verso la politica, la religione e (in certi casi) il potere economico". Irrefrenabile continuava: "Questo devastante "potere trilaterale", che abitualmente dirige le cospirazioni, spesso usando oscure associazioni o gruppi, è frutto in maggioranza di dottrine dogmatiche. La scienza attuale è schiavizzata da ideologie devastanti, religioni dittatoriali e/o da alcuni aspetti del potere economico".
Leone, almeno inconsciamente, seguiva strettamente i dettagli di queste istituzioni della scienza incanaglite. Di questa scienza Leone voleva essere schiavo per qualche motivo di convenienza, obbligando Teodorani, che tra l'altro poco tempo aveva a disposizione, così impegnato a costruire nuovi scenari, a dare una risposta per proteggere il proprio lavoro di ricerca. Secondo Teodorani, tutto era stato fatto senza alcuna etica al solo fine di danneggiarlo, e non vi erano dubbi che anche grazie a questo il CIPH avrebbe avuto più fondi che in passato. Da un lato considerava Leone immaturo nelle considerazioni del suo rebuttal (pieno di lavori altrui oltre che erroneo), mentre dall'altro egli era parte di "un più generale sforzo corale e cospiratorio".
6. Con un articolo dal titolo "A simplyfied digital elevation model of Hessdalen valley" Jacopo Nicolosi e Nicoletta Ricchetti, una giovane coppia toscana di geologi che partecipava al "Gruppo Sassalbo" per la ricerca sui fenomeni Hessdalen-like, dopo tante sterili e avvilenti discussioni tra ufologi sulla disputa Teodorani/Leone (e il ruolo cospirazionista del CIPH), diedero un contributo positivo per controllare l'ipotesi fari d'auto (7).
Come sappiamo il "Gruppo Sassalbo" in seguito ad un'ondata Ufo avvenuta nel 2001 nel paesino al confine dell'appennino tosco-emiliano, aveva attirato diversi ufologi, di varia estrazione, che con la volontà di applicare un approccio strumentale al fenomeno, si erano messi in gruppo per organizzare missioni in zona (fino a quella data senza grandissimi risultati, ma in modo serio, e con un impegno che dura tuttora). Il gruppo era riuscito ad attirare anche questi due geologi che naturalmente non potevano non interessarsi agli studi che si sviluppavano ad Hessdalen, ed in particolare al lavoro di Teodorani. Nicolosi e Ricchetti avevano così ricostruito un modello digitale semplificato in tre dimensioni della valle di Hessdalen, nella zona in cui Teodorani aveva preso le sue immagini. Con la ricostruzione si dimostrava, usando i vari dati estratti dai lavori di Teodorani e di Leone che a partire dal dato di elevazione del fenomeno luminoso a 185° e dalla configurazione dell'area, era possibile tracciare un modello 3D e disegnare una linea tangente dall'Heggsethogda fino al luogo di osservazione dell'Aspaskjolen. Le informazioni date da questo profilo, indicavano che il fenomeno luminoso doveva essere compreso tra i 4 km di distanza ed i 12 km massimo, che era la distanza tra le due colline dove le luci erano ripetutamente apparse.
Il dato di elevazione di Leone era quasi coincidente con quello rilevato da Nicolosi & Ricchetti e diverso invece da quello indicato da Teodorani. Deve essere sottolineato che il modo, attraverso la tangente, con cui i due geologi avevano determinato l'altezza angolare era indiretto e che era inficiato sia dall'inesattezza delle carte a bassa risoluzione che dall'incertezza del punto di osservazione. Nonostante questi limiti, la posizione era identificata abbastanza bene e si aveva l'impressione dall'analisi delle diverse immagini fatta successivamente da Leone che il fenomeno non modificasse la sua altezza angolare, e questo contrariamente a quanto affermato da Teodorani che aveva scritto che il fenomeno luminoso occasionalmente si era alzato a diverse decine di metri dal suolo. Leone aveva identificato la strada di possibile passaggio di un auto, compatibile con le luci osservate, con un percorso privato che attraversava la collina del Varuskjolen, mentre i dati di Nicolosi e Ricchetti dimostravano senza ombra di dubbio che non poteva trattarsi di quella strada, che era solo a 2,2 km dal punto di osservazione.Le luci erano invece posizionate sulla collina Lobergsvollen/Heggsetvollen. Di conseguenza, secondo i due autori, anche la potenza delle luci sarebbe stata "pesantemente sottostimata", e perciò non compatibile con "fari d'auto". I due geologi non si erano presi la briga di controllare se nel punto da loro indicato passasse un'altra strada, o perlomeno il loro articolo non ne faceva accenno. Vi era almeno una strada che si trovava alle coordinate angolari richieste. Era una strada privata che congiungeva il lago Hessjoen a circa 720 mt di altitudine con la strada di campagna FV576, che attraversava, in direzione da sud a nord, l'intera valle di Hessdalen, vicino a Fjellheim. Questa strada presentava proprio una vista osservabile dall'Aspaskjolen.Vi era anche un'altra strada per trattori che passava a circa 184.1° in corrispondenza della cima del Heggsethogda. Questa strada, percorsa almeno da trattori, costeggiava una foresta ed arrivava fino al fiume Hesja, per terminare a Heggset. Essendoci nella posizione delle luci un intrinseco errore di valutazione, anche questa strada poteva essere una valida candidata, anche se molto meno soddisfacente della strada sulla collina Lobergsvollen/Heggsetvollen.
Nei suoi "ulteriori commenti" Leone avrebbe affrontato anche il problema della luminosità del fenomeno (incompatibile con l'ipotesi fari d'auto per Nicolosi & Ricchetti). Dai suoi calcoli Leone deduceva che (nel rispetto della massima luminosità concessa dalle norme internazionali) supponendo un veicolo posizionato sulla collina Lobergsvollen/Heggsetvollen la magnitudo era di un ordine più ampio di quello che ci si poteva aspettare da fari d'auto, mentre con un veicolo collocato sulla cima dell'Heggsetthodga il valore era più basso e compatibile con le normative.Questo metteva in discussione piuttosto le misurazioni fotometriche di Teodorani, che non le analisi di Leone fin qui svolte.
7. Leone impiegò diversi mesi per dare una risposta articolata sia a Teodorani che a Nicolosi & Ricchetti, dato che era di fronte al rigetto totale della sua spiegazione per le osservazioni del 2002. Non era stato facile mantenere la calma di fronte a quella valanga di accuse sotto cui Teodorani e molti ufologi lo avevano seppellito. Ma se da un lato poteva stare in silenzio di fronte alle accuse ad personam che venivano dal nostro stesso mondo di riferimento, una risposta a Teodorani, basata solo sui dati, era non solo doverosa ma utile per le ricerche future.I suoi ulteriori commenti contenuti in "A rebuttal of EMBLA 2002, report on the optical survey in Hessdalen: further comments" furono pronti a metà agosto 2003, ma si decise di pubblicarlo, solo più tardi, a conclusione delle varie riletture (8).
Leone fin dalle prime righe del suo nuovo articolo accettava le conclusioni di Nicolosi & Ricchetti, scaturite dalla loro ricostruzione tridimensionale, solo dove si stabiliva che la strada da lui individuata come sospetta non poteva essere il punto in cui il fenomeno era stato osservato. Ma tutto qui, poiché Leone riteneva che senza volerlo Nicolosi & Ricchetti avessero portato acqua alla sua ipotesi "fari d'auto". Lo studio dei due geologi aveva innanzi tutto riposizionato in modo più corretto queste luci tra le colline e quindi era ora possibile fare nuovi ragionamenti conclusivi. Al primo capitolo dei suoi "further comments" intitolato "La natura della luce", riportava una foto di proprietà CIPH presa durante la missione 2002. Leone era stato accusato da Teodorani di aver usato senza permesso foto di sua proprietà, mentre quelle foto dovevano essere considerate né più né meno come dati, anzi i pochi dati messi a disposizione da Teodorani. La nostra foto, confermava una volta di più che quanto osservato da Leone era la stessa luce che avevano osservato in gruppo, nella stessa posizione, e non un centinaio di metri più in là come subdolamente Teodorani aveva insinuato per fare di Leone semplicemente un cattivo osservatore. Quello che Teodorani definiva il "fenomeno luminoso corretto" era presente nella nostra foto (non ritoccata) presa dall'Aspaskjolen. Infatti la posizione angolare della luce era la stessa dei frames utilizzati da Teodorani nel suo report.Leone sottolineava che in quel momento aveva osservato con Teodorani e gli altri, ma con un rifrattore portatile che ingrandiva di ben trenta volte la percezione ad occhio nudo degli altri presenti. Era quella stessa luce vista verso sud che, una volta che si era girata, aveva mostrato trattarsi di fari d'auto.
L'affermazione di Teodorani era quindi inconsistente per una serie di ragioni che puntualizzava:
1) Al punto di osservazione di Aspaskjolen, tutti, Teodorani in primo luogo, avevano l'aspettativa che una luce avrebbe dovuto apparire bassa sull'orizzonte a sud della valle su un crinale tra la cima dell' Hessjohogda ed quella del Nyvollhogda.
2) Ogni volta che la luce si mostrava il gruppo dei ricercatori, esultava, indicando agli altri astanti la luce stazionaria in quel punto.
3) Non esisteva possibilità di confusione dato che la luce era l'unico stimolo ottico e l'unica fonte luminosa rilevante a quell'azimuth.
4) Dopo il primo avvistamento, Leone si era premunito, puntando il suo rifrattore esattamente a quelle coordinate angolari.
5) Quando poi la luce apparve la seconda volta, si svilupparono una serie di azioni: Montebugnoli ed i suoi iniziarono a raccogliere dati radar, per una eventuale correlazione con l'avvistamento ottico; Teodorani e la Nobili scattarono delle foto prendendo degli spettri; Gori raccolse dei dati VLF e Leone infine osservò attraverso il rifrattore, identificando facilmente la luce.
6) Teodorani immediatamente disse trattarsi del "vero fenomeno", mentre Leone lo informò subito di cosa vedeva attraverso il rifrattore. Ma Teodorani rispose che non gli credeva, poiché la luce era la stessa identica luce inspiegata che aveva visto nell'agosto del 2000! Essendosi trattato di luci dalle caratteristiche ripetitive, per il loro modo di apparire e la loro posizione, le critiche che Teodorani metteva in atto sul modo di osservare il fenomeno, e sul sistema di prendere le coordinate col bussola da parte di Leone, sembravano ridicole, visto che chi era impegnato sull'ottico era proprio il suo gruppo, e non quello del CIPH, che era invece impegnato con Gori sulle VLF e con Leone sulle testimonianze. Era stupefacente che Teodorani non avesse preso alcuna misura angolare in modo attendibile! Per quanto riguardava la compatibilità tra gli spettri di Teodorani e Leone/Levin, Leone insisteva sul fatto che Levin era giunto alle sue personali conclusioni, indipendentemente e senza neanche sapere di cosa fosse sospettato lo spettro di Teodorani. Insomma Levin era giunto alla conclusione tecnica che si trattasse dello spettro di lampadine ad incandescenza e non si capiva come Teodorani potesse insistere nel dichiarare che "il vero fenomeno luminoso" aveva uno spettro diverso da quello dei fari d'auto. Quale era il suo criterio di discriminazione? Mentre Teodorani si limitava ad affermazioni di principio e senza compiere un'analisi quantitativa, Leone invece si era preso anche la briga di spiegare come metodologicamente aveva confrontato i due spettri. Chiunque in seguito applicando il coefficiente di correlazione di Spearman avrebbe potuto ripetere il suo confronto. La correlazione era decisamente priva di dubbi. Sovrapponendo i due spettri, lo sperimentale e il teorico, Leone faceva notare che vi era un leggero spostamento dello spettro sperimentale verso destra. Ciò era probabilmente dovuto al tempo di esposizione molto più alto del tempo massimo di utilizzo dichiarato dalla casa produttrice, per evitare sbilanciamenti cromatici, ovvero più di un secondo.
Questo tempo lungo di esposizione era confermato anche da Teodorani. Peraltro conoscevamo assai poco della corretta durata del fenomeno. Teodorani assumeva i cinque secondi, ma ogni accensione e spegnimento del fenomeno poteva andare da un tempo molto più breve, di un secondo, fino a trenta secondi, sei volte di più del tempo che veniva considerato come "realistica durata media del fenomeno". Queste incertezze nella lunghezza del parametro-tempo potevano essere la ragione principale delle discrepanze tra i dati sperimentali raccolti da Teodorani e le stime teoriche riguardo a fari di auto posti a diversi chilometri dal punto di osservazione. Dato che tutto il dibattito chiamava in causa l'attendibilità dei dati fotometrici raccolti da Teodorani, Leone aveva cercato di dare una stima alternativa dell'intensità luminosa. Una foto di test era stata scattata nell'agosto 2002 e riguardava lo stesso fenomeno analizzato da Teodorani. Dato che nessun sistema densitometrico era disponibile in questa indagine, Leone aveva tentato una stima approssimativa. Questa stima derivava dall'assunto che la fonte luminosa fosse un "punto" irrisolto dalla macchina fotografica, il che può essere logico per dei fari d'auto a distanza di chilometri. Questa analisi, era già stata presa in considerazione dal fisico e ufologo Maccabee, che nel 2002 aveva pure lui analizzato il report di Teodorani & Nobili.
Come aveva già mostrato Maccabee in precedenza, si può calcolare l'intensità luminosa di una sorgente luminosa puntiforme con una specifica equazione, di cui ora Leone faceva uso. Questa stima per quanto approssimativa non faceva altro che avvalorare un valore di intensità luminoso ben inferiore al massima intensità accettata dalle norme sui fari d'automobile.
Anche questo risultato portava alla conclusione che le stime fotometriche della luminosità apparente proposte dal report di Teodorani non fossero proprio attendibili.
Note Bibliografiche
1) Teodorani Massimo & Nobili Gloria, "Report missione 2002", sul sito dell'Hessdalen Project, all'URL http://hessdalen.hiof.no/reports/EMBLA_2002_2.pdf, 2002.
2) Teodorani Massimo, "Se sono plasmi sono molto strani perché solidi", sito www.heos.it, nr.24 p.3, 18 ottobre 2002.
3) Gori Flavio, "Hessdalen 2002, Embla Mission: The ICPH Radio Experience", sito www.itacomm.net, 2003.
4) E-mail privata Flavio Gori 16 giugno 2003, e articolo "Aurora Australis", sul suo sito personale www.loscrittoio.it, 2003.
5) Leone Matteo, "A rebuttal of the EMBLA 2002 report on optical survey in Hessdalen", sito www.itacomm.net, aprile 2003.
6) Teodorani Massimo, "M.Teodorani's Reply to M.Leone's confutation of Embla 2002 Paper", sul sito http://members.xoom.virgilio.it/camelotchr/Download/2003/speciale05.htm, Pavia, 29 aprile 2003.
7) Nicolosi Jacopo & Ricchetti Nicoletta, "A simplyfied digital elevation model of Hessdalen valley", sito www.sassalboproject.com, maggio 2003.
8) Leone Matteo, "A rebuttal of EMBLA 2002, report on the optical survey in Hessdalen: further comments", sito www.itacomm.net, 2003.
Ringraziamenti
Si ringrazia Michele Moroni per i tanti suggerimenti e chiarimenti.Ringrazio inoltre Matteo Leone, Flavio Gori, Renzo Cabassi.Questo dibattito si è protratto fino al 2004 ed è riassunto (in lingua inglese) al presente link del sito del CIPH (www.itacomm.net) : http://www.itacomm.net/PH/CFI.htm
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