Con un certo entusiasmo, in questi giorni circola la notizia che “forse” il mistero delle luci di Hessdalen è stato risolto.
Anche il giornalista scientifico Luigi Bignami ne da informazione, in data 11 ottobre, sul Blog della rivista Focus:
http://blog.focus.it/effetto-terra/2012/10/11/il-mistero-degli-ufo-di-hessdalen-forse-risolto/
In questi giorni si è appena concluso il Science Camp, che ogni mese di settembre porta di studenti di Erling Strand e di Bjorn Hauge (dell’Ostfold College) in visita a Hessdalen per uno Skywatch strumentale.
Durante questa occasione spesso il gruppo di tecnologi italiani diretti da Stelio Montebugnoli e Jader Monari, conduce una missione insieme ai norvegesi, per una messa a punto della strumentazione della stazione fissa Blue Box, che opera un monitoraggio della valle.
Negli ultimi anni si è aggiunto anche un gruppo di scienziati francesi, e sembra profilarsi una collaborazione di programma tra i tre Paesi, per una raccolta di dati più ampia del fenomeno di Hessdalen (che ha ancora bisogno di una certa mole di dati correlati per essere validato).
Per poter operare una raccolta di dati che abbiano un senso e che siano correlabili, sia tecnologi che scienziati si basano sulla formulazione di un certo numero di idee, che se supportate in seguito da questi dati interpolati possono rivelarsi delle buone ipotesi per spiegare i fenomeni luminosi di Hessdalen (così come altri).
In effetti durante l’ultima missione Jader Monari (tecnologo presso INAF, radiotelescopi di Medicina) e Romano Serra (fisico presso l’università di Bologna), hanno sviluppato l’idea che
il rame e lo zolfo di antiche miniere della valle insieme al ferro presente nelle rocce sul versante opposto della valle darebbero origine a una gigantesca “pila” naturale.
Come in una pila le linee di forza trasporterebbero particelle elettriche che potrebbero dare origine alle luminosità osservate nell’area.
Questa idea comporta più che la soluzione esplicativa del fenomeno, un ampio programma di rilevamento delle condizioni geo-elettriche della zona, e una valutazione degli ingredienti necessari a far si che ci possa essere l’innesco di questa fenomenologia luminosa, che va da microflashes a sferoidi di una certa dimensione.
Già in passato si era sospettato che le vecchie miniere abbandonate avessero un qualche ruolo nel fenomeno, qui il gruppo italiano sviluppa l’idea confortandola con la geologia della zona.
Anche il giornalista scientifico Luigi Bignami ne da informazione, in data 11 ottobre, sul Blog della rivista Focus:
http://blog.focus.it/effetto-terra/2012/10/11/il-mistero-degli-ufo-di-hessdalen-forse-risolto/
In questi giorni si è appena concluso il Science Camp, che ogni mese di settembre porta di studenti di Erling Strand e di Bjorn Hauge (dell’Ostfold College) in visita a Hessdalen per uno Skywatch strumentale.
Durante questa occasione spesso il gruppo di tecnologi italiani diretti da Stelio Montebugnoli e Jader Monari, conduce una missione insieme ai norvegesi, per una messa a punto della strumentazione della stazione fissa Blue Box, che opera un monitoraggio della valle.
Negli ultimi anni si è aggiunto anche un gruppo di scienziati francesi, e sembra profilarsi una collaborazione di programma tra i tre Paesi, per una raccolta di dati più ampia del fenomeno di Hessdalen (che ha ancora bisogno di una certa mole di dati correlati per essere validato).
Per poter operare una raccolta di dati che abbiano un senso e che siano correlabili, sia tecnologi che scienziati si basano sulla formulazione di un certo numero di idee, che se supportate in seguito da questi dati interpolati possono rivelarsi delle buone ipotesi per spiegare i fenomeni luminosi di Hessdalen (così come altri).
In effetti durante l’ultima missione Jader Monari (tecnologo presso INAF, radiotelescopi di Medicina) e Romano Serra (fisico presso l’università di Bologna), hanno sviluppato l’idea che
il rame e lo zolfo di antiche miniere della valle insieme al ferro presente nelle rocce sul versante opposto della valle darebbero origine a una gigantesca “pila” naturale.
Come in una pila le linee di forza trasporterebbero particelle elettriche che potrebbero dare origine alle luminosità osservate nell’area.
Questa idea comporta più che la soluzione esplicativa del fenomeno, un ampio programma di rilevamento delle condizioni geo-elettriche della zona, e una valutazione degli ingredienti necessari a far si che ci possa essere l’innesco di questa fenomenologia luminosa, che va da microflashes a sferoidi di una certa dimensione.
Già in passato si era sospettato che le vecchie miniere abbandonate avessero un qualche ruolo nel fenomeno, qui il gruppo italiano sviluppa l’idea confortandola con la geologia della zona.
Quindi si tratta più che dell’affermazione della soluzione del problema di Hessdalen, di dare sviluppo ad una serie entusiasmante di prove e di raccolte di dati strumentali.
Si deve ricordare che intanto a Medicina, il gruppo italiano, sta completando la messa a punto degli strumenti della nuova Blue Box, che si spera al più presto di poter trasportare a Hessdalen.
Al contempo si sta cercando di automatizzare il rilevamento ottico della Blue Box esistente.
A quella latitudine la tecnologia è sempre messa a dura prova dalla Natura, e dalle condizioni climatiche al limite.
Si deve ricordare che intanto a Medicina, il gruppo italiano, sta completando la messa a punto degli strumenti della nuova Blue Box, che si spera al più presto di poter trasportare a Hessdalen.
Al contempo si sta cercando di automatizzare il rilevamento ottico della Blue Box esistente.
A quella latitudine la tecnologia è sempre messa a dura prova dalla Natura, e dalle condizioni climatiche al limite.
2 commenti:
Commento Massimo Teodorani
Ricevo via email dall'astrofisico e divulgatore scientifico Massimo Teodorani, un commento a questo post che volentieri pubblico con il suo permesso:
L'idea di Monari et al. è certamente interessante, e sicuramente va sottoposta al vaglio. Ciò che invece NON è serio da parte loro (e/o di qualche giornalista forse un pò precipitoso) è lanciare quella che per ora è una pura ipotesi (per quanto ragionevole in sè) pubblicizzandola come esplicativa o quasi senza che questa sia corroborata da un lavoro tecnico (ovvero una pubblicazione scientifica dove loro spiegano e discutono in dettaglio questa ipotesi). Un giornalista (e non mi riferisco a Te, Nico) deve pubblicizzare risultati o anche solo ipotesi solo quando alle spalle degli stessi c'è un articolo scientifico, se possibile con referee. Se poi questo articolo esiste o è in preparazione ben venga (anzi ritiro quanto detto), ma se non c'è allora la serietà scientifica semplicemente non sussiste.
Commento a M. Teodorani
in effetti la divulgazione scientifica spesso è frettolosa nel presentare come soluzioni quelle che sono delle semplici idee. Mi pare che questo mio blog lo sottolineasse. Anche gli scienziati spesso usano la divulgazione per 2anticipare" il successo di certe teorie, divulgandole in anticipo sulle ricerche. Fu il caso della teoria della vita trasportata dalle comete. La scienza resta pur sempre nel suo modo di svilupparsi un fatto umano. Dobbiamo sempre tenerlo presente. Nico Conti
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