venerdì 15 giugno 2001

RICOMINCIARE DA ZERO [articolo di Pierre Lagrange]

RICOMINCIARE DA ZERO: PER UNA POLITICA IRRIDUZIONISTA DEGLI UFOs(1)

Pierre Lagrange, Centro di Sociologia dell' Innovazione, Ecole des Mines (Parigi)
Articolo comparso su INFORSPACE, rivista trimestrale della SOBEPS (www.sobeps.org), n° 100-Giugno 2000.

" Non c'è e non c'è mai stata la scienza da un lato ed i miti dall'altro. La parte di sapere pertinente in un mito dato, in una tradizione millenaria, in un pensiero selvaggio, è probabilmente tanto grande quanto la parte di mitologia che avvolge in lei una scienza data. Ne sappiamo qualcosa, noialtri Occidentali, ricolmi di scienza da millenni, e sovraccarichi da ogni parte di scherzi e tranelli insinuatisi sotto questo vocabolo."
Michel Serres, in "La Traduction", p. 258 (2).

Le scienze sociali non possono studiare gli ufo se non dopo averli collocati al rango di illusioni e di errori di percezione? E' ciò che han creduto certi ufologi a partire dalla fine degli anni settanta. Io vorrei dimostrare in questo articolo che hanno avuto torto e che la sociologia degli ufo può fare molto di più! Anzi deve essere fatta senza ridurre l'ufo ad un puro fenomeno psicosociologico.
La sociologia dei dischi deve passare dal riduzionismo all' irriduzionismo. Altrimenti questa sociologia rimane niente di più che una controversia ufologica. In un lavoro recente, Meheust ha constatato l'uso abusivo della spiegazione psico-sociale nel caso dell'ondata ufo accaduta in Belgio nel 1989-90. Insieme a Meheust e Anne Veve, avevo pubblicato più di dieci anni fa, su tono leggero, una critica al riduzionismo in ufologia. In una serie di testi pubblicati da riviste di antropologia e ispirati dall'evoluzione recente della riflessione in sociologia (ignorata dagli ufologi), proponevo un'altra critica, più seria, delle analisi riduzioniste. Non solo concordo con la critica di Meheust, ma voglio dimostrare che si può andare più lontano: non si tratta di dire che l'HPS (ipotesi psicosociologica) non si applica in tutti i casi, ma si tratta di dimostrare che non si applica in nessun caso.
1) Descriverò rapidamente le condizioni nelle quali la spiegazione psicosociologica ha preso corpo e ricorderò il dibattito che ha fatto seguito alla sua comparsa.
2) Mostrerò poi come l' HPS non tenga conto dell'evoluzione delle scienze sociali, vale a dire in storia (cultura popolare) e in antropologia (pensiero selvaggio).
3) Soprattutto della comparsa della sociologia delle scienze.
4) Proporrò infine di rovesciare il quadro d'analisi dell' HPS allo scopo di realizzare una sociologia irriduzionista degli ufo.

1. La nuova ufologia

Alla fine degli anni 70, una nuova corrente di idee emerge in seno all'ufologia: la nuova ufologia. Corrente nata dal dubbio espresso da Michel Monnerie, uno dei redattori della rivista Lumiere dans la Nuit (LDLN). Monnerie era all'origine di un tentativo davvero originale per tentare di catturare sul piano fotografico i fenomeni ufo: il Resufo (3), una rete di sorveglianza fotografica, animata da inquirenti e lettori di LDLN che dovevano prendere clichés del cielo secondo istruzioni precise.
Lo scopo era di effettuare una copertura del territorio e di catturare così eventuali fenomeni aerei. Incaricato di analizzare i clichés fotografici che gli erano stati sottoposti nell'ambito del programma Resufo, Monnerie era rimasto impressionato da due fatti (oltre l'incredibile difficoltà nel disciplinare i partecipanti affinché essi effettuassero i compiti necessari al buon funzionamento della rete). Da un lato l'assenza di documenti fotografici inquietanti tra quelli che gli erano stati sottoposti, dall'altro lato il fatto che il carattere strano, non identificato, di certi fenomeni mostrato dai clichés era spesso legato a delle informazioni sbagliate circa le condizioni di ripresa dell' immagine, cattivi dati, informazioni distorte sulla porzione di cielo mirata, etc...
Nel momento stesso in cui il dubbio conquistava Monnerie, la rivista Lumiere dans la Nuit lasciava che si installasse sulle sue colonne una serie di discussioni di genere nuovo sulla natura del fenomeno ufo. Un inquirente, Pierre Vieroudy, propose di spiegare gli ufo come delle manifestazioni parapsicologiche. Un altro ufologo Jean-Jacques Jaillat, interpretò il fenomeno alla luce delle teorie dello psichiatra svizzero Carl Gustav Jung.
In altre pubblicazioni ufologiche come La Revue des Soucoupes Volantes, inquirenti come Josiane e Jean d'Aigure proposero una lettura psicoanalitica della faccenda dei rapimenti. Pensando di essere superato da questi autori appassionati di psicologia e psicoanalisi, Monnerie realizzò velocemente un libro- Et si les Onvis n'existaient pas? (4)- nel quale liquidava i dischi in quanto sviste, proponendo una spiegazione psicologica del fenomeno. Influenzati dal mito extraterrestre, i testimoni confondevano, secondo Monnerie, degli oggetti banali del loro ambiente con dei dischi volanti. L'effetto sorpresa fu totale.
All'inizio il dibattito fu corretto (5), ma cambiò rapidamente di tono: ufologi e lettori delle riviste ufologiche ben presto tirarono il collo all'autore di Et si les Onvis n'existaient pas? (6).
Se non consideriamo le analisi minuziose di Jacques Scornaux (7) la critica fu in generale assai lapidaria. Gli ufologi, partigiani dell' idea che gli ufo non si limitassero a sviste e che rinviassero invece alla manifestazione di una intelligenza non umana, reagirono molto male all'arrivo di questa nuova HPS tra le spiegazioni possibili. Era stato facile mettere termine alla discussione spiegando ad estranei che non conoscevano niente del dossier, ora purtroppo la contraddizione avveniva all'interno dell' ufologia stessa; veniva appunto dagli ufologi che conoscevano perfettamente la casistica. Le riviste ed i bollettini dischisti cominciarono a riempirsi di articoli che discutevano l'HPS e questa nuova discologia scettica.
Certi ufologi assai critici verso le tesi di Monnerie, come Thierry Pinvidic (8), impiegarono diversi anni ad accettare l'ipotesi psicosociologica come ipotesi legittima di lavoro.
E' la pubblicazione dei lavori dell' italiano Paolo Toselli (9) sul ruolo dei fattori psicologici nell'osservazione degli ufo che fece cambiare loro attitudine. Nelle sue analisi, Toselli si basava su una lettura attenta della letteratura sulla psicologia della percezione di cui Monnerie ignorava l'esistenza. Finalmente il movimento ne usciva amplificato. Riviste come Inforespace o Ovni-presence (10) accettarono di pubblicare discussioni sulla nuova ipotesi nonostante le sue implicazioni ed ufologi in numero sempre maggiore finirono per interessarsene.
Una nuova sfaldatura comparve allora , non più tra ufologi e razionalisti, ma tra ufologi e nuovi ufologi.
Sfortunatamente, gli ufologi classici non hanno che molto di rado fatto lo sforzo d'analizzare il contenuto degli argomenti della nuova ufologia (11). Hanno ridotto spesso i nuovi ufologi a degli appassionati di ufo convertiti al razionalismo perché delusi o desiderosi di riconoscimenti, ciò che ha significato passare sopra assai rapidamente sull' innegabile interesse delle loro argomentazioni, e sulle divergenze, tanto numerose quanto sottili, che esistono tra loro. Possiamo assimilare le idee degli avi del movimento, Monnerie, Barthel e Brucker a quelle dei rappresentanti della nuova ufologia degli anni ottanta? Possiamo ridurre i concetti di Jacques Scornaux a quelli di Thierry Pinvidic? I lavori di Bertrand Meheust hanno qualcosa a che vedere con la nuova ufologia? Queste differenze non si limitano a dettagli di poco conto. Se gli ufologi classici facessero lo sforzo di entrare nel contenuto dei discorsi che criticano, potrebbero non solo trovarvi delle idee suscettibili di interessarli e arricchire la loro riflessione, ma anche e soprattutto potrebbero dare più peso alle loro critiche.
Rifiutando in qualche modo un dibattito all'interno delle regole, contribuiscono a marginalizzare l'ufologia. A loro difesa, bisogna comunque notare che certe critiche che sono state indirizzate dai nuovi ufologi ai vecchi erano a volte di un tono così oltraggioso che rendevano difficile sperare di convincere o anche solo di aprire la discussione (13).
A livello della forma di discussione, i nuovi ufologi hanno mostrato di non essere molto diversi dai vecchi. Ai pregiudizi dei primi si opponevano semplicemente i nuovi pregiudizi dei secondi.

2. Ipotesi psicosociologica e scienze sociali

I vecchi ed i nuovi ufologi sono vicini anche su un altro punto. Sia "credenti", che "scettici", confondono due cose: da un lato le scienze umane, dall'altro l'HPS, che è un'ipotesi ufologica. Infatti le scienze umane non cominciano con Monnerie, non finiscono con lui ed è il caso di dire che non lo tengono in alcun conto. Michel Monnerie non è un psicosociologo. E' vero che la sociologia ha dietro di se una lunga tradizione di "rivelazione delle illusioni". E' vero che certi sociologi, come Jean-Noel Kapferer e Bernard Dubois (14) trattano il problema ufo come una "credenza" (nel senso peggiorativo del termine), considerando a priori che non esistono, e che si tratta perciò di rendere conto di un errore, di una deviazione, di una forma dell' irrazionale.
Le analisi di Kapferer e Dubois sulle cause dell' ignoranza dei francesi riguardo la scienza a partire dalle concezioni sul pensiero pre-razionale dei "Selvaggi" sono ricalcate su quelle dei folckloristi del secolo scorso circa le "superstizioni" (15).
Ma la pertinenza di tali esercizi di sociologia è sempre più in discussione. Le scienze sociali si sono molto evolute, passando da una sociologia critica ad una sociologia della critica. Gli storici Michel de Certeau, Dominique Julia e Jacques Revel hanno dimostrato, in un articolo che resta celebre (16), come, nel secolo passato i letterati avessero cominciato a censurare la cultura popolare prima di studiarla. Autore, nel 1854, del primo studio sui libri di colportage [ letteratura composta da libri di piccolo formato, almanacchi, guide pratiche d'agricoltura o di medicina, racconti di fate e romanzi sentimentali, diffusi tra il XVI e la fine del XIX, diffusi da ambulanti, presso il pubblico popolare; N.d.T. ], Charles Nisard fu prima di tutto il segretario di una "commissione di esame di tali libri di colportage" che contribuì a vietare la diffusione di questi libretti popolari che andavano contro l'"ordine" , la "morale" e la "religione".
In breve il lavoro scientifico ha virato verso l'autopsia. Il testo di Certeau, Julia e Revel rimane la risposta migliore da opporsi a chi vorrebbe immergersi nella "cultura popolare dischista" dopo averle dato il colpo di grazia.
I nuovi ufologi si trovano dunque ad un passaggio bizzarro, volendo assimilare in modo volontario o involontario, l'HPS ad una pratica sociologica. Hanno dimenticato che questa disciplina è assai cambiata dai tempi di Nisard.
Il folcklore non è più ridotto ad un agglomerato di esperienze psicologiche influenzate da un mito (17). Attribuire aprioristicamente alle esperienze descritte nel folcklore lo statuto di errori e dettagliare i meccanismi produttivi di tali errori non è sufficiente a spiegarli. Può darsi che la migliore tra le ragioni sia da ricercarsi nel fatto che le categorie del "popolare" e del "folcklore", hanno suscitato numerosi dibattiti negli ultimi anni.
Alcuni storici, e non tra i meno noti, hanno mostrato che non si poteva più credere all'esistenza di culture "erudite" e "popolari", nettamente separate tra loro aprioristicamente. Pure Roger Chartier, di buon grado e suo malgrado, ha scritto: "alla ricerca, spesso disattesa, di una cultura specificamente ed esclusivamente popolare, deve dunque essere sostituita l' identificazione di usi culturalmente differenziati di materiali comuni" (18).
Con la liquidazione della separazione tra erudito e popolare, è la fine di altre separazioni, quelle tra selvaggio e civilizzato (19), razionale e irrazionale (vedi la citazione di Serres posta ad inizio articolo), profano ed esperto, "credo" e "sapere" (20), etc. a cui noi assistiamo. Come afferma l'antropologo inglese Jack Goody, sociologi, etnologi e storici, mettono sempre più "in dubbio che il ricorso alle separazioni dicotomiche abbia qualche pertinenza quando ci si propone di studiare lo sviluppo delle forme della conoscenza, le differenze delle modalità di pensiero, i progressi del sapere" (21).
Se le classificazioni dicotomiche crollano, la separazione errorre/verità diviene meno evidente da tracciare. Perlomeno, dimostrare l'errore non è più sufficiente a spiegare le sociologiche dell' ufologia. Parlando di folcklore, di miti, i nuovi ufologi hanno effettivamente apportato qualche cosa di nuovo all'ufologia, ma non hanno insegnato niente di più agli antropologi ed hanno spesso fatto un uso di questi termini tale da voltare deliberatamente le spalle all'evoluzione attuale della ricerca in storia ed in antropologia.

3. L'emergere della sociologia delle scienze

Abbiamo appena visto come le scienze sociali abbiano conosciuto una evoluzione che impedisce di consegnarsi ad una sociologia riduzionista. Bisogna ora insistere in modo particolare su una disciplina, la sociologia delle scienze, dove l'evoluzione recente spinge l'analisi degli ufo - e delle "parascienze" in generale- ad uscire dal riduzionismo. Nel momento in cui l'ipotesi psicosociologica ha fatto la sua apparizione in ufologia, la sociologia delle scienze ha conosciuto un profondo rinnovamento, notamente attraverso i lavori della scuola di Bath, quella di Edimburgo e del Centro di Sociologia dell' Innovazione della Ecole des mines de Paris (Latour, Callon). Essa a dovuto far fronte a degli obblighi. Innanzi tutto, l'obbligo di studiare le scienze con gli strumenti dell'etnografia la più classica. In effetti , perché certi tipi di sapere non potrebbero essere toccati?
I sociologi sono andati all'interno dei laboratori, per esaminare con attenzione il lavoro degli scienziati allo scopo di comprendere il funzionamento delle istituzioni di ricerca e la produzione delle conoscenze (22); esattamente con le modalità con cui si studia la magia e la stregoneria nelle altre culture (23). Secondo obbligo: descrivere non solo la società scientifica, l'ambiente dei ricercatori, ma anche la produzione dei fatti scientifici, mostrando che si tratta di fatti sociali e costruzioni sociali ma senza ridurli a fatti sociali e costruzioni sociali, nel senso in cui si impieghiamo troppo spesso questi termini. Per spiegare le cose altrimenti, si trattava di estendere la nozione di fatto sociale ai fatti scientifici senza riportare questi fatti (buchi neri, endorfine etc.) a semplici costruzioni sociali, e a semplici effetti del consenso.
La sociologia delle scienze.
La sociologia delle scienze non rimette in alcun modo in discussione la validità delle scoperte scientifiche, non ne riduce i fatti in artefatti. Nel ridefinire in tal modo la nozione di sociale e di società, estendendola ai fatti scientifici, trasformando questi fatti in attori sociali, la sociologia passa dal riduzionismo all' irriduzionismo. Diventa possibile trattare su di una base di uguaglianza le verità e gli errori scientifici. (24). La sociologia delle scienze permette di posizionare simmetricamente le scienze e le altre forme di conoscenza. Attitudine che può sembrare irrispettosa delle scienze.

La definizione riduttrice che ci si da della sociologia

Questa nuova definizione della sociologia fatica ad essere accettata da certi porta-parole della scienza come i razionalisti. Abituati ad una concezione riduttrice della sociologia che utilizzavano volentieri per liquidare gli ufo, i razionalisti sono irrequieti di fronte a questi sociologi che pretendono di studiare i fatti scientifici.
La sociologia delle scienze semina il panico tra i ranghi razionalisti laddove non si riesce a interpretarla altrimenti che come un tentativo di riduzione.
Come interpretare diversamente una demarche sociologica che intende studiare su una base di uguaglianza verità ed errori scientifici, scienze e "parascienze"? Come si può credere, allorquando si è abituati all'idea di una sociologia dell'errore, che la sociologia possa fare altra cosa che ridurre i fatti scientifici ad una raccolta di artefatti?
L' astrofisico e razionalista Evry Schatzman applaudì allorquando gli ufologi Barthel e Brucker socializzarono l'ondata di osservazioni di dischi del 1954 (25), ma si inquietò del fatto che i sociologi potessero immaginarsi di studiare la produzione del sapere scientifico (26). Allo stesso modo, il giornalista scientifico Michel Rouze propone di rimettere i dischi nelle mani dei sociologi, poiché "è molto interessante come fenomeno psicologico e sociologico" (27), ma è inquieto allorquando compaiono, ne "La Recherche", le cronache di storia delle scienze di Pierre Thullier (28).
Per i razionalisti, solo gli scienziati possono parlare con competenza di scienze. Dietro questo opporsi alla sociologia delle scienze, c'è l'idea che il carattere sociale delle scienze le renderebbe meno vere; perlomeno esse risulterebbero incrostate di impurità. Questa immagine della sociologia è legata al fatto che fino ad ora, i fattori sociali potevano essere tenuti in considerazione solo quando gli scienziati se ne allontanavano, commettendo degli errori. L' intrusione dei fattori sociali sarebbe il segno di una deviazione rispetto alla linea retta del pensiero scientifico (29). Come si può far capire che si può restare comunque sulla retta via della pratica scientifica restando pure sociale nel complesso?

"La società fa del bene alle scienze"

Quindi, un certo numero di studi sociali delle scienze ha mostrato che i fattori sociali, contrariamente all'idea corrente, non giocano un semplice ruolo di messa in opera di ragionamenti sbagliati. Gli scienziati non realizzano le loro scoperte isolandosi rispetto all'influenza della cultura o di altri fattori extra-scientifici, e neanche i grandi errori sono dovuti all' intrusione di questi fattori.
Il mito dello scienziato pazzo ed isolato dal mondo permette, può darsi, di produrre degli appassionanti racconti alla Blake e Mortimer, ma non di spiegare il lavoro degli scienziati. Ma un tale risultato rende i sociologi persone sospette: se spiegano con tanta compiacenza come la scienza si costruisce, esponendone la lista dei dettagli costruttivi, non è forse per indebolirla? Per relativizzarla? Non è evidente che i fattori sociali giocano un ruolo nell'accettazione come nel rigetto dei fenomeni paranormali, e che dunque non c'è, come si è a lungo creduto, una profonda differenza della forma del pensiero all'interno dei due campi, e che questo risolleva parapsicologi ed ufologi a detrimento degli scienziati "veri"? Tanto relativismo non rischia allora di produrre un effetto di distruzione progressiva?
No, per la buona e semplice ragione che ciò porterebbe a togliere ogni valore alla sociologia (30). In effetti, delle due cose l' una: o i fattori sociali giocano un ruolo in ogni caso, e il sociologo non ne sfugge, oppure il sociologo ne sfugge, ci si domanda allora come, ma da quel momento ristabilisce la Grande Divisione- non più tra scienza e paranormale, ma tra scienze dure e sociologia- che intenderebbe eliminare, cosa che invaliderebbe in un sol colpo ciò che afferma contro l'ideologia di questa Grande Divisione. Indebolire la pratica scientifica ricorrendo a spiegazioni sociologiche sarebbe semplicemente stupido e suicida. Se si è potuto credere che i sociologi delle scienze si abbandonino ad un simile esercizio, è solo in conseguenza di una cattiva lettura dei loro lavori.
La sociologia delle scienze studia dunque i fatti scientifici senza ridurli. Essa permette anche di riparare un'ingiustizia. In effetti, prima dell' arrivo della sociologia delle scienze, si utilizzavano spesso le spiegazioni sociali per spiegare - leggi liquidare- le parascienze come l'ufologia. La sociologia delle scienze ha contribuito a modificare questa situazione. essa si è rivelata essere uno strumento formidabile per studiare degli argomenti come i dischi o il paranormale, dato che essa obbliga il ricercatore a non squalificare l'oggetto del suo studio, ciò che rappresenta la grande difficoltà nelle scienze sociali, laddove ci si è abituati per lunga tradizione, a denunciare le illusioni, e a mettere in evidenza le influenze che si esercitano su di noi a nostra insaputa. Nello slancio degli studi sulle controversie scientifiche, certi sociologi hanno cominciato ad approfondire le controversie sui fatti "paranormali". Niente infatti impediva di distinguere a priori una controversia sui neutrini o le onde gravitazionali da una controversia sui dischi o sui fenomeni parapsicologici.
Si trattava sempre di dispute tra ricercatori (poco importa se professionisti o amatori), fatti di cui si doveva decidere l' integrazione o il rigetto. Perché dunque uno studio sociologico dell'ufo o delle conoscenze ufologiche dovrebbe passare obbligatoriamente per una liquidazione dell'argomento, per una sua riduzione a puro fenomeno psicosociologico in luogo di descrivere le diverse situazioni e di seguire le controversie attorno alla loro esistenza? I sociologi devono dunque lasciar cadere le loro opinioni circa l' (in)esistenza degli ufo. Non devono considerare se c'è una soluzione dell'enigma prima degli attori.
Applicare ai dischi, gli strumenti della sociologia delle scienze non li rende più reali ma non li squalifica nemmeno. In breve, l'analisi è possibile senza essere condizionati dalle categorie classiche di sociologi e di antropologi allorquando abbordano temi "poco seri" ( immaginario, irrazionale, etc).
Gli studi pubblicati da Westrum, Collins e Pinch e qualcun'altro sulle controversie paranormali sono divenuti dei classici. In Francia, il movimento è cresciuto molto più tardi malgrado il fatto che qualcuno dei pionieri della sociologia delle scienze fosse stato francese (Collon, Latour), e, malgrado la traduzione di un articolo capostipite di Collins e Pinch in un'antologia di testi (31), è stato necessario aspettare l' inizio degli anni ottanta perché degli articoli sulla sociologia delle parascienze apparissero (32).

4. Per una sociologia irriduzionista degli ufo

Dopo aver mostrato che la sociologia dei dischi doveva seguire l'evoluzione delle scienze umane con più simmetria, dobbiamo ancora poter cercare concretamente di mettere in pratica questo tentativo sull'esempio degli ufo. Non è sufficiente dire che la sociologia degli ufo deve essere irriduzionista, bisogna anche mostrare in cosa ciò modifica le nostre spiegazioni. dopo aver criticato le spiegazioni riduzioniste dei razionalisti e dei nuovi ufologi, bisogna sostituirle con delle spiegazioni sociologiche semplici e convincenti, e che non liquidano i dischi.
Invece di spiegare come la gente deforma la realtà, dobbiamo dimostrare che non la deforma. Invece di dimostrare che i testimoni sono influenzati da un mito extraterrestre, si deve mostrare che non sono più influenzati di un ricercatore che studia dei fatti scientifici. Invece di dimostrare che i testimoni sono naïf si deve dimostrare che sono le concezioni degli scettici che sono naïf.
Esercizio difficile. Esercizio ancora più difficile poiché se c'è un' idea che unisce tutti quanti, "scettici" e "credenti", e che mette tutti d'accordo, è l'idea che solo una parte delle osservazioni è dovuta a delle sviste, ma soprattutto l'idea complementare secondo la quale le sviste mettono in gioco dei fenomeni della mente come la credenza ed il mito. Di colpo gli scettici non sono più soli.
Nel suo bel saggio sull'ondata belga, già citato, nel quale critica le tesi degli scettici, Bertrand Meheust è comunque d'accordo con loro su un punto: la psicologia permette di rendere conto di certi dossiers. Anche se non c'è solo quell'aspetto, c'è comunque, malgrado tutto, una distorsione dischizzante.
Meheust non è il solo a pensarlo. I più ardenti difensori dell'ipotesi extraterrestre lo pensano ugualmente. E' sufficiente chiedere il parere ad un partigiano (o ex-partigiano) dell'ipotesi extraterrestre come Jean Sider: anche lui riserva una parte della casistica a psicologi e sociologi. Anche Jimmy Guieu, venuto a mancare pochi mesi fa, accettava l'idea che c'è bisogno di spiegazioni psicologiche per certe osservazioni. La differenza entro i teorici del disco ed i "nuovi ufologi" non è di natura ma di grado: Monnerie si accontenta di spingere l'ipotesi fino in fondo. Invece che riservare la spiegazione psicologica a certi casi, gli ovi (oggetti volanti identificati), egli estende il modello a tutti i casi supponendo che gli ufo siano degli ovi non riconosciuti. I dettagli rivelati per i casi ovi essendo identici a quelli rivelati per i casi ufo, portano Monnerie a considerare che è più economico concludere che si tratta di ovi in tutti i casi, piuttosto che supporre l'esistenza di un fenomeno irriducibile.
Così si è potuto leggere che l'HPS, d'accordo con le esigenze della pratica scientifica, aveva il vantaggio di essere una spiegazione economica. L'HPS renderebbe conto in termini semplici dei fenomeni percepiti mentre l'HET estensibile a piacere, mitizzerebbe il fenomeno facendo appello all'ignoto.
Dopo la pubblicazione dei libri di Monnerie, l'italiano Paolo Toselli affina il modello. Come Monnerie, Toselli non vuol far ricorso che a processi semplici per spiegare gli ovi. Purtroppo, Toselli ritira con una mano la semplicità che ci offre con l'altra. Scrive: "Senza dover introdurre l'assunto di uno "stato alterato di coscienza" o altri processi "patologici" del testimone, crediamo che l'"esperienza" ifo è - anche considerando la sua natura ripetitiva e collettiva - un processo umano, comune, autosviluppato, generato principalmente da eventi psicologici, psicofisici e sociali di base con il supporto del folcklore e del mito che circonda l'intero argomento ufo." (33).
Da un lato Toselli spiega l'osservazione ufo ricorrendo a meccanismi molto semplici, ma dall' altro egli riserva questi meccanismi solamente alla spiegazione dell'errore, e solo quello. Come se la gente che non fa errori non percepisse secondo gli stessi meccanismi. Ora, l'idea secondo la quale tutto o parte delle osservazioni ufo sarebbe dovuto all'intervento di meccanismi psicologici particolari è tutto salvo che economica. Per due ragioni:
1) la spiegazione per mezzo di sviste sistematiche è tanto economica quanto la spiegazione per mezzo di pietre vulcaniche proposta prima di Biot per spiegare i meteoriti. Se qualcosa d'altro che delle sviste è all'origine di certi ufo, l'HPS permette solo di ritardare il momento della scoperta. A questo prezzo non si realizza che una economia della scoperta! Certo, contrariamente ai meteoriti, niente permette di dire in modo veramente convincente che gli ufo sono altra cosa che delle sviste ma esiste una seconda ragione che porta a rimettere in discussione il carattere economico della HPS.
2) Essa obbliga a credere all'esistenza di tutta una serie di entità misteriose e malamente definite come i miti, le leggende, le dicerie, le credenze che sono state oggetto di diverse critiche tra gli storici e gli antropologi. Essa ci obbliga a credere a misteriosi cambiamenti nelle mentalità, a spiegazioni psicologiche, a fenomeni che non incontriamo che presso i testimoni ufo, ma non presso gli scienziati, infine a particolari meccanismi che intervengono allorquando si osservano dei dischi, ma non quando si osserva una stella al telescopio.
Queste spiegazioni psicologiche sono troppo complicate. Supporre delle differenze tra la psicologia dei testimoni ufo e quella degli scienziati, ecco cosa ci risulta troppo pesante. Per fare un confronto, l'HPS sta alla nuova ufologia come l'HET sta alla vecchia. La teoria del "mito extraterrestre" è tanto "infalsificabile" quanto quella del complotto governativo. Il mito ET è introvabile tanto quanto il disco dell'Hangar 18 dell'U.S. Air Force, e l'assenza di dialogo che si incontra con la teoria del complotto ("Gli argomenti che voi impiegate provano molto bene che voi fate parte del complotto") si ritrova presso i nuovi ufologi.
Monnerie spiega in anticipo le resistenze dei critici al suo modello: "Voi rischiate di accettarlo meno bene, provando così che il mito è necessario!" (34). In breve, chi non è daccordo è fuorigioco, escluso dalla discussione, il suo comportamento essendo già da prima spiegato dalla teoria. Egli perde il suo status d'interlocutore. L'HPS spiega troppo. Chi troppo vuole...
Una spiegazione economica e falsificabile deve descrivere in termini semplici perché la gente vede degli ufo; deve spiegare allo stesso modo perché certi vedono ufo e perché altri non li vedono, o vedono altre cose (come ad esempio gli astronomi osservando il cielo); essa deve fare appello non a dei cambiamenti della mente, del modo di pensare, ma a dei cambiamenti nell'organizzazione materiale delle percezioni, tra i modi di vedere e di rappresentare la realtà. In breve, si deve poter provare o rifiutare agevolmente ciò che avanzo senza dover evocare cause misteriose.
Facciamo un esempio. Quando l'antropologo Jack Goody studia le differenze del pensiero occidentale e del pensiero "selvaggio" egli rifiuta di far ricorso a differenze di mentalità tra il modo in cui pensano "selvaggi" e Occidentali. Cerca una causa semplice, una differenza materiale fine le cui conseguenze permettano di spiegare l'apparente distanza tra pensiero occidentale e pensiero selvaggio. Questa causa è l'invenzione della scrittura. Quest' invenzione permette di spiegare nel modo più semplice e convincente del ricorso a cambiamenti di mentalità il perché si è passati dal pensiero "selvatico" a quello scientifico. Essa permette di descrivere come è stato addomesticato il pensiero selvaggio.
Allorquando il sociologo Bruno Latour si è ritrovato collaboratore in Africa, fu sorpreso dalle spiegazioni che davano i suoi colleghi etnologi, circa i risultati dei Neri nei tests. Ancorché questi facessero ricorso a delle spiegazioni in termini di Grande Divisione, al limite del razzismo, Latour non vedeva che delle differenze in termini di apprendimento e livelli di scolarizzazione. Allo stesso modo, quando Cole e Scribner si concentrarono sull'incapacità dei paesani russi a ragionare per sillogismi, non scoprirono, come i loro predecessori, delle differenze in termini di "capacità cognitive" ma in termini di numero d'anni di scolarità. "Non vi è alcuna prova che differenti specie di ragionamento esistano; noi non possiamo mettere in risalto un "pensiero primitivo" (35).
La situazione è la stessa con gli ufo. Se noi vogliamo produrre una analisi sociologica così performante che quella di Goody, di Latour o di Cole e Scribner, dobbiamo trovare altre cose che delle spiegazioni in termini di credenza, di mito, di mentalità dischista.

Come astronomi e testimoni ufo guardano il cielo

Dove trovare una spiegazione che dia conto di ciò che succede, che spieghi negli stessi termini il modo di osservare di un testimone e quello di un astronomo, e che spieghi senza liquidare? Poiché la discussione sugli errori commessi dai testimoni ufo è piena di pregiudizi circa la loro mentalità dischista e sull'influenza che subiscono a causa del mito ET, cominciamo per domandarci come gli astronomi osservano il cielo. Invece di domandarci perché i testimoni si sbagliano, è molto meglio chiedersi che cosa permetta agli scienziati di osservare correttamente la natura. Noi vedremo come si possa spiegare allo stesso modo il loro sguardo e quello del testimone ufo.
Si crede volentieri che i testimoni sono sull'influenza della loro credenza quando osservano il cielo e quando si mostrano incapaci di riconoscervi fenomeni così banali come la Luna o un pallone-sonda.
Ma ciò che è completamente curioso, è il modo in cui gli scienziati osservano il cielo e la natura.
Fintanto che i testimoni si accontentano di seguire le indicazioni fornite dai loro cinque sensi, di affidarsi alle loro letture e alla loro cultura generale per interpretare le bizzarrie del cielo (cosa che ad es. facciamo tutti nell'identica situazione: non vediamo forse tutti i giorni il sole "levarsi" e "girare attorno alla terra"?), gli scienziati non cessano di lamentarsi di quegli errori guardandosi bene dal descrivere gli strumenti che permettono loro di non sbagliarsi (e che sono a volte anche loro all'origine di errori gravi di conseguenze). Accusano i testimoni di essere preda di illusioni, di non essere razionali, di non pensare in modo scientifico e nello stesso momento dimenticano di fare la lista di tutti gli strumenti che permettono loro di "pensare": telescopi, camere di Schmidt, osservatori, laboratori, etc.
Gli scienziati rivolgono il loro sguardo dalle cose verso gli strumenti, dagli strumenti verso le tracce prodotte da questi. Gli scienziati non si accontentano di osservare le cose come sono, essi costruiscono il loro sguardo. Hanno ben poche cose nella testa e molti strumenti a disposizione per costruire e strutturare le loro percezioni. Invece di domandarci quali miti influenzano i testimoni, poniamoci la stessa domanda che per gli astronomi.
Come guardano i testimoni?

Oggetto letto versus oggetto percepito

Secondo i nuovi ufologi, certi testimoni non sanno, molto semplicemente, guardare il cielo. Appena alzano la testa, vedono dischi. Ignoranti in astronomia, sono incapaci di riconoscere degli oggetti tanto banali quanto la Luna o un satellite artificiale e, influenzati dal mito ET, li dischizzano. Monnerie scrive: "influenzato dal mito-ufo, il testimone traspone la sua osservazione ed i dettagli secondo le sue conoscenze coscienti o meno del fenomeno" (36).
Paolo Toselli, da parte sua, nota che i testimoni sembrano incapaci di riconoscere oggetti tanto banali quanto un pallone-sonda o Venere: "Così il fatto vissuto si allontana sempre più dallo stimolo reale per conformarsi ancor più alle leggende ufo onnipresenti nella nostra società" (37). Evoca quindi: " La perdita di capacità di chiamare le cose con il loro nome" e scrive ancora Toselli: " E' possibile che in un sol colpo [il testimone] abbia oggi dimenticato l' esistenza di meteoriti , missili, palloni. satelliti, etc... a tal punto da catalogare come ufo praticamente qualsiasi cosa si muova- o sembri muoversi- nel cielo?" (38).
L'astrofisico Andre Brahic riassume una opinione diffusa quando afferma che: "se si da fede a certi rapporti, tutto avviene come se gli extraterrestri non si mostrassero che a quelli che non hanno alcuna cultura scientifica" (39).
I testimoni sono ignoranti? No. Come tutti noi, a volte sono anche molto intruiti. Sanno descrivere degli oggetti come Venere o dei satelliti. Se si domanda loro di disegnare questi oggetti, ne sono anche capaci. Ma ciò che disegnano, ciò che disegniamo, sono questi oggetti come li vediamo nei libri, e non come possiamo vederli nel cielo. Invece di meravigliarci dell'ignoranza della gente o del loro carattere influenzabile, dobbiamo approfondire i modi su come gli oggetti che vengono confusi per dei dischi sono abitualmente rappresentati nei libri (dato che la cultura scientifica è prima di tutto una cultura libresca). Raramente come potremmo vederli in cielo.
Nel cielo reale, i satelliti sono piccoli punti bianchi che attraversano la volta celeste, mentre invece nei libri e alla televisione sono grossi insetti dalle ali metalliche. Nel cielo reale, i missili o gli oggetti spaziali attraversano il campo visivo sotto forma di fiammate, mentre alla televisione si alzano rumorosamente verso il cielo o scivolano silenziosamente nello spazio. Sempre nel cielo reale, la Luna appare di diversi colori, nascosta dalle nubi che la trasformano in astronave misteriosa mentre nei libri essa appare sotto forma di una cartina coperta di nomi di eroi della storia.
E molto raro che, in un libro, ci venga mostrato un satellite nella forma di puntini bianchi che solcano il cielo notturno. Anche quando fu lanciato lo Spoutnik nel 1957, pur sapendo che la gente non avrebbe potuto sperare di vedere che un punto brillante attraversare il cielo, le copertine delle riviste proposero all'unanimità non un'immagine conforme alla percezione ma delle viste fotografiche riprese dal basso verso l'alto, dove non mancava alcun dettaglio del satellite (vedi ad es. la copertina di Paris-Match consacrata all'avvenimento). Certo la stampa spiegò al pubblico cosa doveva aspettarsi, ma col tempo certe parole si sono cancellate dalla memoria e ciò che è restato dei satelliti sono dunque quelle copertine e quei montaggi fotografici spettacolari alla Star Wars.
Dunque il problema non è il fatto che la gente conosce poco i satelliti: al contrario li conoscono troppo bene; ma non li vedono mai nei libri come li potrebbero percepire in cielo.
Stessa cosa per la Luna, questa frequente sorgente di confusione con gli ufo, come dimostrato dalle inchieste di Dominique Caudron e del CNEGU (40). Quante volte abbiamo visto rappresentare sulle riviste la Luna tale quale possiamo realmente vederla nel cielo? Possiamo vedere delle cartine della Luna, delle foto ravvicinate, ma non la Luna deformata dalle nuvole, o che sfila lungo le strade accompagnando le auto. Come meravigliarsi che la gente non riconosca la Luna quando possiamo constatare così agevolmente che non gliela mostrano mai così come è? Ciò che sarebbe sorprendente, è che la riconoscessero del tutto spontaneamente!
Nelle città, quando vogliamo guardare il cielo, è inutile alzare la testa, o è invisibile, nascosto dagli edifici, oppure è rosa (o di altri colori) tanto le luci e l'inquinamento delle città si proiettano contro il cielo. E' molto meglio aprire i libri o guardare la televisione. Ora il cielo che ci mostrano i media ha poco a che vedere con il cielo che possiamo sperimentare nel bel mezzo della campagna. Alla televisione i cieli che ci presentano sono dei cieli volgarizzati: né cielo scientifico ( ossia quelle immagini in negativo, e quelle curve di punti sui grafici che servono al lavoro scientifico), né il cielo dell'esperienza percettiva, esso è completamente ricostruito in modo astratto e non corrisponde quasi mai al cielo che possiamo vedere in campagna.
Comunque, le rare volte che si mostrano delle rappresentazioni del cielo vero e dei suoi fenomeni, sono molto spesso sotto forma di immagini fotografiche, che non ne restituiscono né il movimento, ne le misure apparenti e la dimensione "esperienziale". Il cielo sulla pagina di una rivista non ha niente a che vedere, anche se uno lo riconducesse alla stessa taglia apparente del cielo vero, a quel cielo sperimentato in una notte d'estate in campagna, come si diceva.
Risultato: se si domanda ai testimoni di descrivere un missile o un satellite essi descriveranno un satellite insettoide, non un punto bianco che passa per il cielo notturno; se si domanda loro di descrivere un missile, essi descriveranno un missile con i suoi ugelli ed i suoi oblò, e non una scia giallastra che si sta disintegrando in atmosfera. Dato che i missili ed i satelliti che vediamo sono dei modelli, dei disegni o delle ricostruzioni che fungono da illustrazioni innaturali dei reportages televisivi, e non quegli oggetti tali e quali possiamo percepirli nelle condizioni in cui si presentano ai testimoni.
La differenza non è dunque quella tra gente che è sotto l'influenza del mito ufo e gente che osserva le cose proprio come sono, ma tra oggetti teorici, risultato di una conoscenza libresca o televisiva e gli oggetti percepiti nel loro quadro naturale.

Collegare oggetto percepito e oggetto letto

Chi accusa i testimoni di ignoranza, potrà sempre sottolineare che, anche se il punto discusso qui sopra è pertinente, non risulta in forma minore che, se fossero così istruiti come pretendo, i testimoni dovrebbero capire che c'è equivalenza tra l'oggetto percepito e l'oggetto letto/visto nei libri.
Se non ci riescono, è sia perché sono privi di cultura, sia perché sono sotto l'influsso del mito (od entrambe le ragioni). Ma questa argomentazione non tiene.
Non è né la mancanza di conoscenze scientifiche, né l'influenza del mito ufo la sorgente dell'errore del testimone, ma il fatto che non gli è mai stato insegnato a collegare un oggetto libresco ad un oggetto percepito. A meno che non abbia seguito dei corsi per astrofili, è impossibile ricostruire le tappe che separano gli oggetti teorici ed astratti dei nostri libri e delle trasmissioni divulgative, dai fenomeni che si possono vedere in cielo le rare volte che ci si trova confrontati al cielo reale.
Per accusare i testimoni di essere ignoranti, bisogna essere noi-stessi ignoranti, in primo luogo, delle differenze tra il fatto di guardare la foto di un oggetto in un libro ed il fatto di osservare lo stesso oggetto nel cielo notturno, e poi, delle competenze richieste per stabilire un tale legame.
Per poter meravigliarsi del fatto che la gente non riconosce questi oggetti, bisogna rifiutare di vedere il prezzo che costa stabilire una equivalenza "automatica" tra la foto di un pallone-sonda ed un pallone-sonda in cielo. Senza apprendimento, non vi è in assoluto alcun mezzo per mettere insieme queste rappresentazioni differenti degli stessi oggetti. Sarebbe più straordinario il contrario. Non solo lo stesso fenomeno si presenta sotto aspetti completamente differenti ma inoltre le condizioni percettive non sono assolutamente identiche. Leggere un articolo illustrato riguardo i satelliti a casa propria, comodamente seduti, ed osservare il fenomeno celeste al quale non siamo preparati in un luogo sconosciuto è altra cosa.
E' sufficiente descrivere il lavoro necessario ad un astrofilo per imparare a orientarsi nel cielo, gli strumenti che utilizza per non perdersi nella volta celeste, per capire che quando si è sprovvisti di tali strumenti, si è facilmente accecati. Gli astrofili osservano in condizioni veramente particolari, dopo essersi preparati, aiutati dagli strumenti che inquadrano le loro percezioni.

Illusioni ottiche scientifiche

Allo scopo di mostrare la distanza tra osservazione visuale e percezione scientifica così come le difficoltà a collegarle insieme, facciamo un ultimo esempio. Nel lavoro firmato da Jean-Claude Bourret, Jean-Jeacques Velasco evoca quel fenomeno ben conosciuto che ci fa vedere la Luna più grossa all'orrizzonte che allo zenith. Velasco spiega che la Luna pare più grossa da quella posizione in ragione di un fenomeno di rifrazione (41).
Questa spiegazione, lo sanno tutti gli astrofili è falsa. Il fenomeno non ha niente a che vedere con qualsivoglia fenomeno di rifrazione. Si tratta in effetti di una illusione ottica (a proposito della quale diverse spiegazioni sono state proposte). Pertanto, anche sapendo che si tratta di una illusione ottica, ogni volta che si osserva la Luna in quelle condizioni, si ha l'impressione che essa sia di più grande dimensione all'orrizzonte piuttosto che allo zenith.
Per poter considerare il fenomeno come un' illusione ottica, bisogna costruire un dispositivo che evidenzi l'illusione. Dispositivo che non ha niente di naturale, che si appoggia su calcoli circa la taglia apparente dell'astro allo zenith e all'orrizzonte e che richiedono di raggirare l'occhio dello strumento.
Ci si appoggia anche su ricostruzioni grafiche che permettono di riportare una accanto all'altra le due misure della Luna, allo zenith e all'orrizzonte, mentre non vediamo mai la Luna allo stesso tempo nelle due posizioni. E' necessario riportare sulla carta la situazione e riportare le misure prese grazie a degli strumenti perché appaia così l'illusione che non può apparire nella situazione reale.
Ad una osservazione diretta si oppongono delle ricostruzioni grafiche. E' in quel momento preciso che l'illusione appare. E' sufficiente guardare le illusioni presentate da Michel Bougard nell'inserto "Hors Serie n°1 d' Inforespace" o leggere lo psicologo Roger N. Shepard nel suo "L'oeil qui pense" ( "L'occhio che pensa", ed. Le Seuil) per constatare che la loro messa in evidenza necessita di dispositivi grafici e il loro annullamento l'impiego di altri dispositivi.
La percezione di una illusione ha molto poco a che vedere con il modo di pensare, o piuttosto non ha bisogno di fare ipotesi complicate su differenze di pensiero per capire come si sia vittime d'illusioni ottiche. Per percepire in modo "scientifico", è sufficiente essere costantemente collegati a dispositivi che consentono di correggere la vista. Un solo istante di "inattenzione" e ci si rimette a vedere in funzione di altri criteri.
La scienza e la tecnica non sono dei modi naturali di pensare, esse esigono un apprendimento che senza sosta deve essere mantenuto e rinnovato. La grande naivete non sta nel fare degli errori, ma nel credere che il modo scientifico di vedere sia legato ad una forma di pensiero particolare mentre è dovuta completamente a dei minuziosi spostamenti dello sguardo sulle cose verso le loro rappresentazioni in un ambito controllato.
E' divertente vedere Jean-Jacques Velasco opporre agli errori commessi dai testimoni e dagli ufologi la "fredda ragione" (42) scientifica mentre gli sarebbe stato sufficiente opporre all'errore di percezione un semplice dispositivo grafico che gli avrebbe permesso di economizzare un molto improbabile fenomeno di rifrazione atmosferica.

Punto di vista dell'osservatore e impedimenti grafici

Abbiamo spiegato perché la gente non può fare l'unione tra l'oggetto visto in cielo e la rappresentazione dello stesso oggetto visto in un libro. Ma resta un enigma: perché i testimoni d'ovi hanno tendenza a dischizzare ciò che osservano? Perché la gente dischizza le proprie testimonianze? "A causa dell' influenza che esercita su di loro il mito" rispondono i partigiani dell'HPS. Spiegazione troppo complicata.
C'è una spiegazione più semplice. Prima di tutto si dovrebbe precisare che pochissimi testimoni deformano ciò che vedono. La maggior parte si accontenta di riportare ciò che hanno visto senza esagerazione. Quindi per coloro che hanno tendenza a evocare i termini Ufo e dischi-volanti e sottoporre in qualche modo la loro descrizione a quello stereotipo, si devono contemplare due cose:
1) La differenza di punti di vista tra lettore e osservatore.
2) Gli impedimenti esercitati dal fatto di dover descrivere ciò che si è visto, ed in modo particolare quando si tratta di disegnare.
Prendiamo il primo punto. Quando osserva un ufo/ovi, il testimone è in una situazione assai diversa da quando legge o guarda la televisione. Ora abbiamo visto che gli oggetti che deve riconoscere non sono rappresentati così come può vederli ma in modo astratto. Quando si rappresenta un satellite o Venere ciò avviene in modo astratto. Ci si accontenta di mostrare l'oggetto e non quell'oggetto tale e quale si potrebbe realmente osservare se uno ne afferrasse il suo passaggio nel cielo. I missili rappresentati sui libri non corrispondono a ciò che si può vedere quando se ne vede effettivamente passare uno (si tratta allora di un rientro atmosferico), sono disegnati sotto forma di schema progettuale o di vista tecnica dei suoi organi interni, e quando sono realistici mettono in scena un missile sulla sua rampa di lancio, situazione che uno ha poche possibilità di incrociare per caso in un campo di lavanda delle Alpi della Haute-Provence.
Al contrario i dischi sono quasi sempre rappresentati in modo concreto, dal punto di vista di un osservatore, mentre plana sopra gli alberi, in un paesaggio che ricorda quello nel quale i testimoni possono osservare un ufo. E' dunque del tutto normale che i testimoni abbiano delle difficoltà ad associare quella luce ovoide con la Luna nascosta tra le nubi, dato che non hanno mai potuto vedere ciò in alcuna rivista di astronomia. E' del tutto naturale, al contrario, che facciano un collegamento con un ufo perché hanno spesso occasione di vedere delle rappresentazioni di dischi di forma ovale e luminosi mostrati in aperta campagna al di sopra di un gruppo di alberi.
Inoltre, una testimonianza fatta dal punto di vista dell'osservatore impone diversi impedimenti per quanto riguarda la sua formalizzazione. Non si descrive allo stesso modo un oggetto visto su di un libro ed un oggetto visto all'esterno, nel cielo. Queste constatazioni ci permettono ugualmente di chiarire la nota coincidenza tra i racconti della fantascienza popolare e le testimonianze di osservazioni ufo messe in rilievo da Bernard Meheust in Science-fiction et soucoupes volantes (1978). Questa coincidenza non è dovuta al fatto che i testimoni avrebbero troppo letto della fantascienza ma alla convergenza tra la struttura dei racconti di fantascienza popolare e quella delle testimonianze ufo.
Passiamo ora al secondo punto: la tendenza di certi testimoni a dischizzare i loro disegni. Perché i testimoni hanno tendenza a disegnare dei dischi e non a disegnare nel modo più semplice ciò che vedono?
Prima di tutto sottolineiamo che non disegnano poi tanti dischi. Ma ammettiamo pure. Invece di interrogarci sulle ragioni per le quali la gente disegna dischi, come se fossero ipnotizzati dai film di fantascienza visti in televisione, ci si è interrogati sui processi materiali del disegno, sugli impedimenti grafici che affliggono un disegnatore, soprattutto quando questi è poco dotato (come è il caso per la maggior parte di noi)?
Un esempio: nel 1987, degli ufologi italiani hanno realizzato una esperienza interessante durante un congresso ufologico a Lione [Paolo Toselli, relatore, fece una replica semplificata dell'esperimento di Alex Keul a Salisburgo 1982, e E. Russo era presente come interprete, N.d.T.].
Durante un breve istante hanno proiettato una diapositiva in mezzo ad altre diapositive. Essa rappresentava una serie di quadrati e di forme luminose su fondo nero. Primo problema: come descrivere con una formula queste forme senza impiegare l'espressione dischi-volanti vista la disposizione delle forme luminose tra di loro ed il contesto della proiezione (un convegno ufologico)? L'esposizione è quindi continuata come se niente fosse, come se la diapositiva fosse stata inserita nella serie per un errore di montaggio. Ma alla fine hanno domandato ai partecipanti di prendere un foglio e di disegnare ciò che figurava sulla diapositiva.
Mentre certi riproducevano le forme viste senza cercare di dare loro una struttura, la maggior parte dei partecipanti aggiungeva dei contorni a queste forme come se mancassero di struttura, ivi compresi i "nuovi ufologi".
Risultato: numerosi disegni mostravano dei dischi mentre non vi era alcun disco sulla diapositiva. I nuovi ufologi erano anche loro dunque, sotto l'influenza del mito extraterrestre? Si lasciavano andare improvvisamente ad un qualche esercizio di distorsione dischizzante?
Credo che si possa spiegare tutto ciò molto più semplicemente causato dagli impedimenti imposti dal fatto di dover eseguire un disegno. La maggior parte di noi non sa disegnare. Non sappiamo costruire un disegno giocando sulle ombre e sui grigi. Rimpiazziamo quindi questa mancanza di tecnica con il ricorso a forme abusate, a contorni stereotipati, senza dubbio mal disegnati dal punto di vista di un artista, ma comprensibili in una situazione che necessita uno scambio immediato di informazioni. In breve le cose non accadono nella testa del testimone, influenzato da un mito o da una diceria, ma sul foglio di carta, in ragione degli impedimenti imposti dalla situazione.

Conclusione: la naivete degli scettici

Ricapitoliamo. E' inutile richiamarsi a delle spiegazioni psicologiche per rendere conto delle osservazioni degli ufo. Ciò che accade non ha niente a che vedere con misteriose strutture mentali o con inafferrabili miti, ma piuttosto con rappresentazioni, immagini, della stampa e del video. Ciò che chiamiamo mito, diceria, rinvia a delle operazioni materiali molto precise.
Per comprendere i dischi, non è necessario leggere Eliade o Jung ma invece Goody o Latour; per fare sociologia degli ufo è inutile fare appello a modifiche nella mente ma è necessario descrivere le operazioni materiali che permettono di trasformare delle percezioni, delle testimonianze, in dati scientifici. Si deve capire come la nostra civiltà ha completamente modificato il nostro ambiente ed ha ricostruito il quadro delle nostre percezioni popolandolo di oggetti nuovi costruiti su misura. Come una rete che copre il pianeta, la civiltà forma una tela di ragno dove strade collegano ogni snodo o punto. E' accanto agli assi attrezzati, accanto alle linee ferroviarie, accanto alle piste di atterraggio che possiamo ritrovare un contatto con la natura ed il mondo non costruito o modificato dall'uomo. E' là dunque che ci ritroviamo, e solamente là, nella situazione di osservatori del cielo reale, e ciò che noi possiamo vedere non corrisponde assolutamente a ciò che abbiamo appreso.
Sostituendo alle spiegazioni asimmetriche altre più simmetriche, cosa abbiamo guadagnato? Dov'è l'interesse di un tale metodo? Il suo interesse è di lasciare aperta la possibilità che esistano fenomeni nuovi da scoprire. Se il testimone di un pallone-sonda è sottoposto ad impedimenti grafici, il testimone di un eventuale fenomeno inesplicato vi sarà pure sottoposto. Noi non siamo dunque obbligati a liquidare la possibile esistenza di fenomeni inesplicati su pretesto che il testimone "dischizza" e non descrive in termini scientifici la propria osservazione - sarebbe il contrario ad essere strano.
Semplicemente l'analisi sociologica mette in evidenza il prezzo che bisogna pagare per giungere alla conoscenza scientifica. Il prezzo che si deve pagare non è quello di pensare meglio ma di dotarsi degli strumenti che permettono di tradurre queste percezioni in fatti scientifici. Se vogliamo saperne di più di un eventuale fenomeno bisogna dunque inventare delle procedure che permettono di trasferire il fenomeno alla scienza, vale a dire che permettono di passare dagli strumenti culturali agli strumenti scientifici. Non è attraverso un cambiamento di pensiero o di mentalità che si inventerà un' ufologia, ma attraverso una serie di piccoli spostamenti tanto piccoli quanto pesanti di conseguenze che, dotandosi degli strumenti adatti, riflessioni, etc. ovvero di tutte quelle cause materiali del cambiamento, permetteranno di inserire gli ufo in un'altro contesto, finalmente scientifico.
Si può benissimo prendere seriamente le percezioni dischiste e attribuirgli il diritto di appartenenza alla realtà senza abdicare al rigore del ragionamento. Si possono tenere insieme le due parti: le percezioni dei testimoni e il metodo scientifico. Non vi è affatto bisogno di marginalizzare i testimoni per avere accesso alla scienza. Si possono spiegare negli stessi termini il sapere scientifico e le credenze dischiste. Non vi è più un sapere opposto alle credenze, ed ancora per il momento il cielo non ci cade sulla testa.
Il bilancio della nuova ufologia è allora negativo? Si e no. In effetti, la nuova ufologia ha avuto l'enorme merito di interessarsi seriamente alle scienze sociali e di testare i suoi modelli sugli ufo. Prima di allora la discussione si limitava spesso ad escludere la questione culturale e a cercare di dimostrare che i testimoni non erano stati influenzati. Se la nuova ufologia si è ripiegata nel riduzionismo, non ha tutti i torti. In effetti, nelle scienze sociali, la maggior parte degli studi sul paranormale solo allo stesso modo riduzionisti. Ciò che ci può dispiacere maggiormente è che non abbia tratto tutte le conseguenze possibili dal suo interesse per le scienze sociali.
Gli ufologi interessati alle scienze sociali avevano peraltro molto bene girato la boa, ma sono piuttosto naufragati nelle scienze sociali, piuttosto che nuotarci dentro. All'inizio degli anni ottanta si sarebbe potuto pensare che si profilasse in ufologia un tentativo per fare degli ufo un oggetto di studio sociologico. Non dico attraverso le pubblicazioni di Monnerie, che non faceva altro che camuffare, dietro un vocabolario ispirato alla psicologia, una messa al rogo degli ufo, ma piuttosto delle ricerche come il "Projet Magonia" di Pinvidic, o approcci come quelli del bollettino Magonia in Inghilterra, o opere come quella di Hendry, o lavori come quelli di Toselli, avrebbero potuto condurre ad una sociologia simmetrica.
Il punto di rottura ha avuto luogo a Montlucon nel 1982. Un anno prima, durante una riunione organizzata da Therry Pinvidic a Bugue (in Dordogna), tutto era ancora possibile nel senso di una socio-ufologia non riduttrice. Gli ufologi avevano allora intrapreso un approccio sociologico pieno di promesse poiché non ancora sottomesso ad una non-credenza negli ufo. I pareri non erano ancora determinati sull' inesistenza degli ufo. Un anno dopo a Montlucon, le scienze sociali erano divenute le alleate del tentativo di liquidazione degli ufo.
D'altronde, se si rilegge il notevole lavoro di Toselli, si constata infatti che esso è stato pochissimo seguito in seno alla stessa nuova ufologia. Il suo lavoro certo è stato spesso citato e lodato, ma l'interpretazione che spesso ne è stata data, è segnata da un ritorno di ipotesi pesanti, complicate, come quelle del mito pregnante universale, laddove le analisi di Toselli insistevano innanzi tutto sulla semplicità, la banalità dei meccanismi in gioco nella percezione di un ufo. Il suo lavoro avrebbe potuto aprire la via ad una serie di analisi sottili circa il processo di percezione basato sullo studio di casi, invece ha suscitato delle generalizzazioni frettolose. Forse abbiamo troppo letto Toselli pensando alle tesi di Monnerie (mentre Toselli non cita quest'ultimo e forse non a caso). Sarebbe sufficiente un po' più di simmetria, e sarebbe sufficiente smettere di credere che ciò che succede al testimone è qualcosa di bizzarro, che necessita di una spiegazione speciale. Quando il nuovo ufologo ci spiega la psicologia del testimone ufo, crede di descrivere un fenomeno molto particolare, ma non fa altro che descrivere degli aspetti che sono comuni a tutti, ivi compresi gli scienziati al lavoro.
Si abbandonano allo stesso esercizio fuori luogo di Claude Pieplu quando ci descrive un ragioniere spiegandoci che è un vertebrato, mammifero, bipede, antropoide, etc. Ma nessuno ha apparentemente raccolto l'ironia delle affermazioni dei nuovi ufologi- a cominciare dai nuovi ufologi stessi.
E' sufficiente d'altra parte un po' di asimmetria per far si che i nuovi ufologi occupino la posizione di ingenui. Lo scettico si meraviglia della naivete con la quale i testimoni confondono la luna, i satelliti, e Venere con un ufo. Tirando le conseguenze di ciò che abbiamo detto sopra, circa la difficoltà di stabilire una equivalenza tra la descrizione degli oggetti letti nei libri e quegli stessi oggetti visti in cielo, ci si potrebbe allo stesso modo meravigliare della naivete con la quale i nuovi ufologi possono confondere che i testimoni descrivano come satelliti e rientri in atmosfera, la Luna e il pianeta Venere! Si rimprovera al testimone di lasciarsi andare a delle "elaborazioni proiettive", ma bisogna avere una mente veramente contorta - senza dubbio in ragione dell'influenza dei miti sulla scienza veicolati dalle riviste come Science & Vie - per identificare un punto che si vede passare nel cielo come quel grosso insetto metallico descritto nei libri con il nome di satellite! Quando si rovescia la prospettiva, non si è più sicuri che soggetti alle allucinazioni siano i testimoni di ufo.

NOTE

1) Una prima versione di questo testo è stata redatta più di dieci anni fa in seguito a numerose discussioni con Thierry Pinvidic, Claude Mauge, Jacques Scornaux e Bertrand Meheust. Mentre Pinvidic, Mauge e Scornaux (Meheust in modo più mitigato) consideravano che lo studio sociologico dei dischi portasse a liquidare l'idea che non vi erano fenomeni irriducibili, io pretendevo che la sociologia non permettesse un tale riduzionismo. pensavo anche che la sociologia degli ufo dovesse cominciare con la sociologia dello scetticismo. Si doveva passare da una sociologia critica ad una sociologia della critica. Avevo scoperto la sociologia attraverso la sociologia delle scienze, che rivolgendosi allo studio della produzione del sapere scientifico, rinnovava l'approccio ai fenomeni controversi come gli ufo e vietava di liquidarli come semplici errori. I nuovi ufologi conoscevano la sociologia delle scienze ma ho scoperto molto presto che ne facevano una lettura molto personale e ben poco in accordo con quello che la sociologia insegnava. da qui l'emergere di una polemica tanto confidenziale quanto nutrita tra il nocciolo duro della nuova ufologia ed il giovane studente che ero allora. All'epoca preoccupato per l'ottenimento dei miei titoli in sociologia, ho lasciato da parte questo testo. Oggi, dopo la pubblicazione del notevole saggio di Meheust sull'ondata belga (Retour sur l' "Anomalie belge", Marseille, Le Livre bleu, 2000), penso che sia ora di fare uscire questo testo un po' polveroso ma le cui idee non sono invecchiate per la semplice ragione che non sono mai state veramente discusse.
2) Paris, Ed. de Minuit, 1974.
3) Cf. M. Monnerie, «Le réseau de surveillance photographique du ciel "Resufo"», in F. Lagarde (éd.), Mystérieuses soucoupes volantes, Paris, Ed. Albatros, 1973. pp. 263-270. 4) Michel Monnerie, Et si les OVNIS n'existaient pas?, Paris, Les Humanoïdes Associés, 1977.
5) Cf. le analisi di Fernand Lagarde in Lumières dans la Nuit, n° 175, maggio 1978, pp. 29-30 e di Gilles Smiena, ibid., pp. 32-33.
6) Cf. la «Lettre ouverte d'un témoin » apparso in Lumiéres dans la Nuit (LDLN), n° 176, giugno-luglio 1978, pp. 25, 32-33, che assimilava Jaillat, Viéroudy e Monnerie, e le risposte del Groupe de Psycho. Ufologie ( Jaillat) in LDLN, n° 179, novembre 1978, pp. 35-36, e Monnerie in LDLN, n° 180, dicembre 1978, pp. 8, 33-34.
7) Jacques Scornaux, «Et si Michel Monnerie n'avait pas tout à fait tort», Lumières dans la Nuit, n° 177, agosto-settembre 1978, pp. 4-10 e n° 178, ottobre 1978, pp. 8-21 [testo apparso anche in Inforespace, n° 39, maggio 1978, pp. 14-17; n° 40, luglio 1978, pp. 25-30; n° 41, settembre 1978, pp. 21-34; n° 42, novembre 1978, pp. 24-27]; «Du "monnerisme" et de son bon usage», Info-Ovni, n° 7-8, 1981.
8) Thierry Pinvidic, «Quelques remarques sur les priorités de la recherche», Inforespace, n° 6 hors série, 1982.
9) Paolo Toselli, «Examining the IFO Cases : the Human Factor», in R. Farabone (ed.), Proceedings of the International UPIAR Colloquium on Human Sciences and UFO Phenomena, 1983, pp. 21-49 [Trad. francese in Ovni-présence, n° 33-34, dicembre 1985, pp. 42-58].
10) Ci si rapporti ad esempio allo scritto di Serge Leuba nel Bulletin de l'AESV e Ovni-Présence.
11) Vedi ad es. gli scritti di Jean Sider in Lumières dans la Nuit. Senza che nessuno di loro si sia veramente consacrato ad una analisi dell'HPS, vi fanno tutti più o meno allusione. Cf. anche: Joël Mesnard, «Le scepticisme... le vrai», LDLN, n° 296, marzo-aprile 1989, pp. 3-6.
12) Cf. la discussione tra Scornaux e Pinvidic in «Les Contes d'un scieur de branches», Dossier Ovni-Présence, n° 4, aprile 1988.
13) Cf. T. Pinvidic, «De l'amateurisme et du professionnalisme ou le regard du zoologue sur l'homo ufologicus», Ovni-Présence, n° 27, settembre 1983, pp. 4-24, 28.
14) Jean-Noël Kapferer e Bernard Dubois, Echec à la science, la survivance des mythes chez les Français, Paris, Nouvelles Editions Rationalistes (NER), 1980.
15) Mi sembra a questo riguardo particolarmente problematic che questa opera possa essere difesa come fanno razionalisti quali l'astrofisico Evry Schatzman. Quest'ultimo lamenta attacchi contro la cultura rappresentati dalle parascienze e, allo stesso tempo difende un lavoro che è la totale negazione di un lungo lavoro di comprensione delle differenze culturali effettuate da generazioni di etnologi e sociologi. I discorsi di Kapferer e Dubois sui «Primitivi», i loro «modelli di pensiero» e la loro «sopravvivenza» attraverso i miti dei Francesi contemporanei è molto più vicino alla rivista scandalistica France-Dimanche che all'etnologia. Vedi a proposito di questa opera le critiche giustificate di Michel Callon in Pandore, n° 19, giugno 1982, pp. 39-44.
16) M. de Certeau, D. Julia & J. Revel, «La beauté du mort», in M. de Certeau, La Culture au pluriel, Paris, Christian Bourgois, 198?, pp. ?.
17) E' peraltro una tale definizione che si ritrova anche presso autori come Thierry Pinvidic (cf. «Les contes d'un scieur de branche», Dossier Ovni-Présence, n° 4, p. 23) che non esita comunque a fare riferimento alla sociologia e alla storia delle scienze ed a spiegare in termini semplici e convincenti il poco interesse delle scienze sociali per gli ufo. Ricordiamoci comunque che è sempre successivamente che ci si preoccupa di spiegare il perché non ci interessava prima a un tale o tal'altro argomento.
18) Vedi l'articolo «Culture populaire» di Roger Chartier in André Burguière (éd.), Dictionnaire des sciences historiques, Paris, Presses Universitaires de France, 1986, pp. 174-179.
19) Cf. Jack Goody, La Raison graphique, la domestication de la pensée sauvage, Paris, Editions de Minuit, 1979.
20) G. Lenclud, «Vues de l'esprit, art de l'autre», Terrain, Carnets du Patrimoine ethnologique, n° 14, marzo 1990.
21) J. Goody, op. cit., p. 245.
22) Cf. per esempio: Michel Callon et Bruno Latour (éd.), La Science telle qu'elle se fait, Paris, Pandore, 1982; L'Année Sociologique, 1985 (numero speciale diretto da Bernard-Pierre Lécuyer).
23) Un tale confronto tra etnografia delle scienza e etnografia della stregoneria è spesso considerato come devalorizzante. Ma per considerarlo tale, si deve adottare noi stessi un punto di vista devalorizzante dell'"etno-sapere", cosa che la dice lunga sull'etnocentrismo di alcuni e sul sedicente errore dei sociologi nei riguardi delle scienze.
24) Vedi ad es. la tesi di Michel Bougard sul chimico pre-lavoisiano Nicolas Lemery che tratta il suo lavoro senza ridurlo a un «sapere scaduto» (La Chimie de Nicolas Lemery, Turnhout, Brepols, 1999).
25) E. Schatzman, Prefazione a G. Barthel et J. Brucker, La Grande peur martienne, Paris, NER, 1979.
26) E. Schatzman, La Science menacée, Paris, Ed. Odile Jacob, 1989.
27) M. Rouzé, «Lueurs sur les soucoupes volantes», Cahiers de l'AFIS, n° 48, ottobre 1974, p. 1; cf. e dello stesso autore: «Nouvelles lueurs sur les soucoupes volantes», Cahiers de l'AFIS, n° 94, febbraio 1980, pp. 1-17 (cf. in particolare le parole conclusive, p. 17).
28) M. Rouzé, AFIS-Science et Pseudo-Sciences, n° 174, luglio-agosto 1988, pp. 31-34. 29) B. Latour, La Science en action, op. cit., p. 441.
30) Altrove, storici come Steven Shapin sono estremamente chiari: "Una delle difficoltà tradizionali che si oppone ad un approccio sociologico delle conoscenze scientifiche riposa sul concetto che il potere e la validità della scienza sono garantite dalla sua indipendenza vis-a-vis di ogni "influenza sociale". Secondo questo punto di vista, le considerazioni sociali non intervengono che per corrompere la vera; lo specialista convinto dell'alto valore della scienza e preoccupato di difenderla contro le aggressioni deve dunque prendere delle enormi precauzioni prima di mostrare la presenza di interessi sociali nell'attività scientifica. Gli autori che appartengono a questa tradizione hanno tendenza a interpretare i testi sociologici sulle conoscenze scientifiche come delle calunnie, qualunque sia l'attenzione con cui i sociologi preannuncino differentemente le cose. Ma è stata lanciata questa battaglia tante di quelle volte che è inutile tentare di più che semplicemente ripetersi: la ragione per la quale i testi sociologici non hanno alcuna ripercussione sulle concezioni che si desidererebbe avere della scienza è che non c'è alcuna concezione particolare della quale desiderino vendicarsi", Steven Shapin, «L'histoire sociale des sciences est-elle possible?», in M. Callon e B. Latour (éd.), Les Scientifiques Et Leurs Alliés, Paris, Pandore, 1985, cap. 6, pp. 220-221. Altri autori numerosi, esprimono la stessa idea. Cf. ad es. il recente Life among the scientists, pp. 11-12.
31) Collins H. M. et Pinch T. J., 1979, «The Construction of the Paranormal: Nothing Unscientific Is Happening», in Wallis (éd.), 1979, pp. 237-270 [traduzione francese: «En parapsychologie, rien ne se passe qui ne soit scientifique... », in Callon e Latour (éds.), La Science telle qu'elle se fait, Paris, Pandore, 1982, pp. 249-289].
32) Nelle riviste, Communications (n° 51, 1990), Terrain (n° 14, marzo 1990), Ethnologie française (settembre 1993).
33) Paolo Toselli, «Examining the IFO Cases: the Human Factor», in R. Farabone (ed.), Proceedings of the International UPIAR Colloquium on Human Sciences and UFO Phenomena, op. cit, p. 21.
34) Michel Monnerie, Et si les ovnis n'existaient pas ?, op. cit, p. 204.
35) Citato da Latour in «Les vues de l'esprit», Culture technique, n° 14, giugno 1985, p. 7. 36) Michel Monnerie, Le Naufrage des extraterrestres, op. cit., p. 15.
37) Paolo Toselli, «Le facteur humain dans les observations d'ovis», Ovni-présence, n° 33-34, dicembre 1985, p. 53.
38) Paolo Toselli, «Le facteur humain dans les observations d'ovis», op. cit., p. 54.
39) André Brahic, Enfants du soleil, Paris, Odile Jacob, 1999, p. 313.
40) Vedi articoli di D. Caudron in Recherches ufologiques, il bollettino di GNEOVNI, in 1978-79, anche il dossier pubblicato dal CNEGU sull' Opération SAROS (1994).
41) J.-C. Bourret e J.-J. Velasco, Ovni, la science avance, Paris, Robert Laffont, 1993, p. 58.
42) J.-C. Bourret et J.-J. Velasco, op. cit., p. 215.
NB: Questo articolo (traduzione N. Conti) in versione ridotta è già stato pubblicato su Ufoforum, riv. del CISU© nel 2001.

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